Pubblicato il 19/02/2022, 17:04 | Scritto da La Redazione
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Il mercato delle telecomunicazioni in profonda crisi

Il mercato delle telecomunicazioni in profonda crisi
L’offerta di Iliad di acquisire Vodafone Italia apre il dibattito sullo stato di salute delle società di telecomunicazioni, che nel nostro Paese stanno soffrendo molto. Ecco l’analisi di Alessandro Penati sul quotidiano “Domani”.

Vodafone-Iliad, qual è il futuro delle telecomunicazioni dopo il declino?

Domani, pagina 12, di Alessandro Penati.

L’offerta da 11 miliardi di Iliad per le attività di Vodafone in Italia (per ora rifiutata) è l’ennesimo segno della necessità di riorganizzazioni, fusioni e ristrutturazioni per fermare il declino delle telecomunicazioni europee. Questo vale per tutti e, a maggior ragione, per Tim. Le telco gestiscono l’infrastruttura che trasporta il segnale digitale e commercializzano l’accesso alle reti (fisso e mobile): il segmento meno remunerativo delle comunicazioni. A monte, i fornitori di contenuti rappresentano la componente della domanda a crescita esponenziale che, oltre a trattenere gran parte del valore della comunicazione digitale, impongono alle telco i massicci investimenti nelle reti necessari a sostenere la quantità e qualità della trasmissione dei contenuti.

Già oggi i social, giochi e video streaming assorbono 70 per cento della capacità di trasmissione, un trend destinato ad accelerare con le applicazioni nel metaverso o con i mercati di Nft (Non Fungible Tokens). A valle, per la tecnologia di accesso e per il funzionamento delle reti, le telco hanno come controparte i colossi della tecnologia, a cominciare da Apple (la più grande società al mondo, con 2.800 miliardi di capitalizzazione, più del Pil della Francia). E offrono al pubblico prodotti e servizi prodotti e servizi omogenei dove la concorrenza è possibile solo sui prezzi (a danno dei margini) in un mercato frammentato a causa della regolamentazione comunitaria che impone quattro operatori in ogni paese (Iliad è venuta in Italia quando la regolamentazione ha imposto di liberare frequenze come condizione per la fusione tra Wind e Tre). In Italia il problema è aggravato dalla bassa crescita: un cliente acquisito da una società diventa così un cliente perso da un’altra.

Ridurre la concorrenza

La regolamentazione europea è il risultato della liberalizzazione del settore che, forzando la concorrenza fra molti operatori, ha rotto il monopolio dell’azienda di stato che prevaleva in ogni Paese. È stato un grande successo. La situazione di mercato però è drasticamente cambiata: la concorrenza ha eroso i margini al punto che le telco non riescono a generare risorse sufficienti all’espansione e al miglioramento delle reti, e a remunerare adeguatamente il rischio che questi investimenti comportano. È una delle ragioni perché l’Europa è il fanalino di coda nel 5G; inoltre, prima ancora di investire nella nuova rete devono finire di pagare l’acquisto delle frequenze.

Secondo il Sole 24 Ore, le quattro società telefoniche italiane dovranno pagare allo stato italiano entro il 30 settembre l’ultima rata da 4,8 miliardi per frequenze 5G costate un totale di 6,6 miliardi. Sarà una coincidenza, ma nel Pnrr, l’Italia ha destinato 6,7 miliardi di contributi per le reti ultraveloci (banda larga e 5G). La strada è segnata ed è quella degli Stati Uniti dove la concorrenza è garantita da appena tre società per tutto il Paese.

L’offerta di Iliad per Vodafone in Italia va in quella direzione ed è apparentemente in linea con quanto chiede al management di Vodafone un fondo suo azionista (Cinven): vuole che la società si concentri sui mercati redditizi (dopo l’uscita da Francia e Usa opera ancora in 21 Paesi) e per questo si fonda con altri operatori nei vari mercati. Una strada parzialmente avviata con la fusione delle reti mobili: Vodafone e Tim con InWit; WindTre e tante straniere in Cellnex; ancora Vodafone (Vantage Towers) probabilmente in Germania con DTelekom.

Bilanciare gli Interessi

La regolamentazione deve ora adottare un approccio dinamico perché un’eccessiva concorrenza beneficia i consumatori di oggi, ma può ridurre gli investimenti che avvantaggerebbero i consumatori di domani. È la stessa logica dei brevetti: la competizione è temporaneamente sospesa per incentivare investimenti benefici per i consumatori che altrimenti non si farebbero. Anche perché la strada che passa dalla produzione di contenuti è stata tentata senza successo: At&t che più di altri ci aveva creduto, ha scisso la Warner per fonderla con Discovery; BT sta facendo lo stesso per i diritti sportivi con una joint venture con Discovery la fusione della controllata inglese di Telefonica con Virgin Media non ha risolto i problemi della partecipata; e l’accordo di Tim con Dazn è stato economicamente un flop.

Le telco non hanno i mezzi per competere, non solo coi nuovi giganti Netflix e Prime video, ma anche con le vecchie major che dal cinema entrano massicciamente nello streaming: Disney con Hulu e Disney+; ViacomCbs (ora Paramount) con Paramount+; Warner-Discovery con HBO Max; e Comcast che oltre a Sky, DreamWorks, Universal Studio e Nbc ora offre lo streaming con Peacock.
(Continua su Domani)

 

(Nell’immagine il logo di Iliad)