Pubblicato il 24/12/2021, 19:02 | Scritto da La Redazione

Adesso Piersilvio Berlusconi vuol fare il content provider

MfE, per l’espansione studia una società internazionale di produzione contenuti

Il Sole 24 Ore, pagina 38, di Andrea Biondi.

Una “content factory” internazionale: una società produttrice di contenuti sulla quale fare leva per poter giocare la propria partita sullo scacchiere internazionale. Ci sarebbe anche questo nel progetto di espansione di Mediaset, impegnata nella costruzione di un polo tv free paneuropeo da tempo considerato come basilare in un momento caratterizzato dall’avanzata di giganti, del web e del video on demand, che dalle parti di Cologno si ritengono contrastabili solo irrobustendosi e solo facendolo su scala europea e non nazionale.

Il tutto, dunque, è pensato all’interno di un piano di espansione internazionale che ha avuto come antipasto la nuova sede legale (ad Amsterdam), il cambio di denominazione sociale (da Mediaset a MfE-Mediaforeurope) e la nuova struttura azionaria a doppia categoria (A e B) con diversi diritti di voto (10 per ogni B), più congeniale anche a operazioni di M&A e usata negli Usa, per esempio, in Discovery o ViacomCbs.

La content factory

A quanto risulta al Sole 24 Ore, sulla creazione di una content factory per contenuti internazionali si sarebbe iniziato a lavorare con anche qualche esplorazione fra professionisti del settore della produzione audiovisiva. Va detto che non c’è nulla di definito e che si tratta ancora di uno dei cantieri in cui sta prendendo forma il nuovo corso di una Mediaset che nel settore della produzione c’è già con Taodue, come con Rti (che produce intrattenimento, fiction e news), Medusa (che produce e distribuisce film) e in Spagna Mediterraneo (società che produce e distribuisce fiction, intrattenimento, film, documentari).

Quello cui però si starebbe pensando in MfE è una società su scala internazionale che, qualora dovesse vedere la luce, nei fatti rappresenterebbe anche un “ritorno” per Mediaset, dopo la poco fortunata esperienza di Endemol fra 2007 e 2012. Oggi però scala e risorse – è la convinzione a Cologno e non solo – rappresentano conditio sine qua non per affrontare una sfida difficilissima. I giganti del video on demand hanno impresso un ritmo che rischia di fare grande selezione. Si pensi solo ai 17 miliardi di dollari in contenuti originali per Netflix nel 2021 o gli 11 miliardi di dollari (dai 7,8 miliardi dell’anno precedente) messi in campo da Amazon per la sua Prime Video. Oltreoceano il 2022 dovrebbe anche essere l’anno di Warner Bros. Discovery, colosso che nascerà dall’acquisizione, da parte di Discovery, di Warner Media (Cnn, Hbo) ceduta da At&t: big delle tlc in Usa.

La società «sarà uno dei principali investitori mondiali in contenuti premium e sarà posizionata per arrivare ai consumatori con quella che è l’offerta di contenuti più completa sotto un unico tetto», ha dichiarato nei giorni scorsi, commentando l’ok dall’Antitrust Ue, il presidente e ceo di Discovery e futuro ceo della società combinata David Zaslav. A questo occorre aggiungere la presenza sul mercato di players globali come il leader di mercato Banijay (un gigante dopo aver acquisito Endemol e guidato dall’italiano Marco Bassetti) e Fremantle (in cui a capo dell’Europa c’è un altro italiano: Andrea Scrosati) oltre ad attori più continentali come Itv Studios; Bbc Studios; All3Media; Mediawan.
(Continua su Il Sole 24 Ore)

 

(Nella foto Piersilvio Berlusconi)