Pubblicato il 25/02/2022, 15:04 | Scritto da La Redazione
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Stefano Coletta: Ho fatto 10 anni da precario in Rai

Chi ha vinto davvero a Sanremo

Il Venerdì de La Repubblica, pagina 46, di Concetto Vecchio.

«Vietato lamentarsi» recita la targhetta alle spalle della poltrona dell’uomo più potente della tv italiana. Quando affiora dalla stanza 543, quinto piano di viale Mazzini, il direttore di Rai1, Stefano Coletta, 56 anni, si scusa per il ritardo di tre minuti. In pochi lo conoscono tra il grande pubblico, ma è stato l’artefice del Sanremo dei record. Il bacio anti sfiga di Amadeus, imposto da Fiorello sul palco dell’Ariston, ha portato bene anche a lui.

Coletta, lei passa per un intellettuale prestato alla tv.
«Non sono né intellettuale, né colto, ma semplicemente uno a cui piacciono i libri. Vengo dalla gavetta e ho sempre lavorato tantissimo, spinto dalle radici semplici e dallo spirito di sacrificio dei miei, abruzzesi di Roio del Sangro».
Quando era direttore di Rai3 l’hanno paragonata ad Angelo Guglielmi.
«Anche qui non sono d’accordo. L’unica comunanza è la formazione letteraria, mi sono laureato con una tesi su Saba e il matricidio, ma Guglielmi è stato un genio televisivo che ha inventato da zero marchi che sono sopravvissuti fino ai giorni nostri».
Cosa chiedono gli italiani alla tv?
«Una narrazione. Da direttore di Rai3 cercai di costruire la rete come un romanzo popolare. Bisogna parlare a tutti, ma questo intento pop deve essere profondo, carico di senso, occorre unire radici di memoria e di futuro».
Per esempio?
«Sono appassionato alle vite comuni delle persone. Una delle prime trasmissioni che mi inventai fu Non ho l’età. Raccontava gli amori tardivi, quelli degli anziani. Mi avevano sempre detto che i vecchi non amano vedersi raccontati. Venni perciò sconsigliato a procedere. Corsi il rischio e andò benissimo».

Come lo spiega?
«Erano storie di speranza, che rivelavano che la vita può sempre sorprenderti. E anche i più giovani rimasero affascinati dall’elemento dell’imprevedibilità: quelle passioni parlavano anche a loro».
La sua idea di servizio pubblico?
«La parola chiave è inclusione dentro il racconto del Paese reale. Per me anche Ballando con le stelle deve essere espressione del tempo che viviamo. Con Milly Carlucci, che è una professionista caparbia, ci siamo divertiti a costruire un format dove tutti questi elementi fossero presenti».
Confesso che non ho mai visto Ballando con le stelle.
«Guardi che si può trovare della poetica anche in Tale e quale show di Carlo Conti».
Quindi il suo mantra è il nazionalpopolare intelligente?
«Mi piace l’idea della contaminazione dei generi. Ho voluto che si parlasse di libri ad Oggi è un altro giorno, alle 14 su Rai1, un’ora in cui in genere prevale l’intrattenimento leggero. E così quel pubblico ha imparato a conoscere Benedetta Craveri ed EmanueleTrevi intervistati da Serena Bortone».

E funziona?
«Altroché. A volte abbiamo raggiunto il 18 per cento di share».
Quindi c’è una domanda di cose profonde?
«L’ho capito con le lezioni di Massimo Recalcati che ho voluto a Rai3. Sono stato il primo a portare la psicoanalisi in televisione».
Cosa le ha rivelato il boom di Sanremo?
«Abbiamo azzeccato la voglia di vivere un evento collettivo dopo due anni di pandemia: anche questo è servizio pubblico ma soprattutto, grazie al lavoro di Amadeus, abbiamo intercettato tutte le generazioni, a partire da quelle più giovani».
Quando le ho telefonato l’altro giorno mi ha detto: “Sono contento per Sanremo, ma certo la felicità è un’altra cosa”.
«Glielo dice uno che ha consacrato la vita al lavoro. È un buon periodo, faccio quel che desidero, non solo per dovere».
Com’è diventato direttore Rai?
«Non pensavo di diventarlo. Sono qui da trent’anni: programmista, autore, capostruttura, vicedirettore al palinsesto. Poi, cinque anni fa, dopo l’abbandono di Daria Bignardi, Mario Orfeo mi promosse direttore di Rai3».

Com’era entrato?
«Nel luglio del 1991. Una mia amica, che lavorava a Radio2, mi disse che cercavano dei giovani da inserire nella struttura della prosa radiofonica. Mandai il mio curriculum alla responsabile Lidia Motta. Mi convocò nel suo ufficio, in via Asiago, e mi esaminò per tre ore».
Tre ore?
«Sì, una lunga chiacchierata sulle mie aspirazioni. Il giorno stesso mi chiamarono dalla Rai proponendomi un contratto di tre mesi alla redazione di ChiamateRoma 3131. Avevo 26 anni».
Niente raccomandazioni, quindi?
«Mai avute».
È vero che contò una zia, la segretaria di Gianni Letta?
«Ho scoperto dai giornali di avere una nuova zia. Fa sempre piacere l’agnizione familiare. Peccato non sia vero. Lina Coletta è figlia come me di due roiesi. Si chiama Coletta, come tanti in paese, dove sono tutti imparentati, ma tra noi la parentela non c’è».
La Rai non è il regno della politica?
«Sì, ma la politica sa anche riconoscere la competenza e l’onestà di chi ci lavora».

Quindi lei fu assunto giovanissimo?
«No, no. Prima mi sorbii dieci anni di contratti a termine: e lì ogni volta ti devi sudare il rinnovo. Per arrotondare facevo supplenze di italiano e latino nei licei: quindi ero doppiamente precario. L’esperienza più formativa si rivelò in un istituto privato».
Quale?
«Il Nazareno, vicino a piazza di Spagna. Mi chiamò padre Rossi, era il 1994, portai una classe alla maturità. È il liceo dei vip, vi avevano studiato Carlo Verdone e Christian De Sica. Ero severissimo e appassionato, quello è un lavoro che mi sarebbe piaciuto fare per tutta la vita».
Perché scelse la Rai?
«Anche per un fatto di guadagno. Nel 2001 la brava capostruttura Lucia Restivo mi propose finalmente l’assunzione. Avevo 35 anni».
(Continua su Il Venerdì de La Repubblica)

 

(Nella foto Stefano Coletta)