Pubblicato il 07/02/2022, 19:04 | Scritto da La Redazione

Stefano Coletta, direttore Rai1: “Sto ragionando su Amadeus”

Coletta: «Sanremo modello di nuova tv Amadeus è il nostro Maria De Filippi»

La Repubblica, pagina 30, di Silvia Fumarola.

La rivoluzione gentile di Amadeus si espanderà in tutto il palinsesto, è un modello da replicare. Gli ascolti più alti dal 2000, per la finale oltre 13 milioni di spettatori col 65% (media complessiva delle serate 11 milioni col 58,4%), boom del pubblico giovane e dei laureati (64,1%), social impazziti, record su RaiPlay. Non ha dubbi l’amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes: «Squadra che vince non si cambia, si riparte da questo Festival». Si spinge a dire che metterebbe Amadeus sul cavallo della Rai.

Il conduttore, peraltro figlio di un maestro di equitazione, ringrazia e non si sbilancia: «Ci incontreremo con calma e ne riparleremo». Vorrà anche dormire – come dargli torto – ma oggi tornerà al suo posto a I soliti ignoti. Il direttore di Rai1 Stefano Coletta, responsabile dell’intrattenimento della prima serata lo spiega con chiarezza: «Abbiamo conquistato i giovani, indietro non si torna. Amadeus ha una grande capacità di ascolto. Sa accogliere».

Partiamo da qui: cos’ha di speciale Amadeus?
«Nonostante questa sia stata una consacrazione, il Sanremo della rinascita, Amadeus ha la capacità di restare attaccato alle radici, agli ingredienti della sua vita. Non è narcisista, non fa questo mestiere per dire “quanto sono bello”, “quanto sono bravo”, è un uomo risolto. Va in tv e si diverte moltissimo a I soliti ignoti. Contaminerà anche Affari tuoi formato famiglia, dal 19 febbraio. Ha una metodologia che gli viene dalla lunga gavetta».
Dall’evento Sanremo ai quiz: lo vede in altre vesti?
«Ci sto ragionando. Abbiamo vissuto in un clima di grande armonia, l’ho studiato e ripeto, il codice che mi ha sedotto è la sua capacità di ascolto. Amadeus è la risposta al maschile di Maria De Filippi. Penso che questa sua capacità di ascolto potrebbe essere perfetta per un emotainment al maschile. Non ne ho ancora parlato con lui, sono riflessioni di getto: sarebbe interessante».
La rivoluzione gentile ha trasformato il festivalone: ora che succederà?
«Sanremo era stato dimenticato dai giovani. Con Carlo Conti e poi con Baglioni, piano piano, il pubblico più giovane si è riavvicinato. Con Amadeus abbiamo fatto un salto. A incollarlo davanti alla tv è stata la selezione musicale che negli ultimi tre anni ha portato artisti sconosciuti alla tv generalista. Il pubblico 15-24 anni ha superato il 60%».
La media di share, il 58.4% è da record: mai così alto dal 1997. Cosa legge dietro i numeri?
«Un’aggregazione trasversale, è successo qualcosa dentro e fuori la Tv che va studiata».

In che modo si conserva questo patrimonio?
«Secondo la considerazione prevalente, la tv generalista non è guardata dai giovani. Quando la “eventizzi” il pubblico c’è: la sfida è come farlo con la lunga serialità perché è complicato tenere questi target. Vorrei provare a lavorare su Rai2».
II “festival della gioia” si è davvero sintonizzato con il sentimento degli italiani stanchi della pandemia?
«Dietro la televisione c’è un sottotesto psicologico forte. Sanremo è stata una psicoterapia collettiva di cui avevamo tutti bisogno. Le persone sono salite a bordo e non sono scese per ascoltare chi cantava le proprie ansie e voleva anche far sentire la propria la voce».
Festival fluido, libero: cosa l’ha colpita?
«Tante cose. Il monologo di Drusilla, in cui ha invitato non aderire a modelli che non sentiamo propri, è un altro incitamento a essere liberi. La libertà è stato il filo conduttore di questa edizione: Amadeus accoglie senza giudizio, sempre curioso dell’altro. In quel suo modo di essere così sobrio ha un’anima che accoglie».
Rai1 da sempre nazionalpopolare ha scoperto la complessità?
«È accaduto qualcosa di inedito: secondo me le serate che vanno oltre il 60% di share ci dicono che la rete ammiraglia è diventata una piazza in cui le generazioni si sono ritrovate a cantare e a ballare. Come negli anni ‘60 Sanremo era un pretesto per stare insieme – quando pochi avevano il televisore e ci si riuniva – oggi la percezione della libertà ha coinciso con la voglia di liberazione. Tutti insieme nella stessa piazza spensierata e allegra».
(Continua su La Repubblica)

 

(Nella foto Stefano Coletta)