Pubblicato il 25/01/2022, 15:03 | Scritto da La Redazione
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I numeri di Mediaset sbilanciati nella corsa al Colle

Mediaset resta un problema, con o senza Caimani al Colle

Il Fatto Quotidiano, pagina 11, di Giandomenico Crapis.

Quando si parla di politica e tv si punta il dito sulla Rai, ma si indica solo parte del problema. La storia è nota e va avanti da oltre un trentennio. Non è mai stata esempio di pluralismo, ma quando ci sono in ballo gli interessi del capo Mediaset diventa l’arma più forte nelle mani di Berlusconi. Con una reazione quasi pavloviana si fa strumento di propaganda (ma le lodevoli eccezioni ci sono) e non c’è giornalismo, autonomia professionale o soltanto senso del decoro che tenga. Compaiono allora, quando va bene, i laudatores del capo, quando va male, i bastonatori degli avversari. Un’ipotesi quest’ultima che abbiamo visto all’opera tante di quelle volte che a sentir parlare oggi di un Berlusconi pacificatore si fa fatica a non ridere.

Il processo di beatificazione del capo da parte dei suoi media, in primis quelli televisivi, cui in queste settimane abbiamo assistito nel tentativo inutile di spianargli la strada al Quirinale, denuncia ancora una volta un sistema malato. Ci riferiamo al sostanziale duopolio che garantisce a un unico imprenditore il possesso di quasi tutto il comparto privato e che testimonia di una questione televisiva che va oltre la Rai.

I numeri

E che di duopolio si tratti lo confermano i numeri: per esempio nella settimana 8-15 gennaio Mediaset si è accaparrata con i suoi canali (3 generalisti, 12 speciali più le pay-tv) il 35% dello share mentre un altro 35% è stato appannaggio del servizio pubblico; il resto si è polverizzato in ascolti molto piccoli a eccezione di Discovery che ha raggiunto il 7%. È un assetto antico che la rivoluzione digitale non ha scalfito. Questo già grave squilibrio diventa poi intollerabile quando a esso si aggiungono propaganda e faziosità.

Ebbene, c’è stato chi in questi giorni ha ricordato la nascita del Tg5: bisognerebbe però non dimenticare che si tratta di un tg che sa dove schierarsi nei momenti che contano. A novembre e dicembre, per dire, il tg diretto da Mimun ha concesso a Forza Italia la fetta più grossa del tempo di parola e di quello di notizia, offrendo (dicembre) al centrodestra addirittura 39 minuti di parlato, tempo che equivale a quanto hanno raccolto insieme il premier e gli esponenti di governo. Mentre al Pd, M5S e Iv, per capirci, solo 15 minuti.

Oltre il Tg5

Se dal Tg5 ci spostiamo ai principali talk di Rete4 la liturgia si fa più greve, dettata e celebrata puntualmente dalla destra; suoi i temi, suoi i protagonisti. Anche qui parlano le cifre: tra settembre e dicembre sui talk di Rete4 la scena se la sono presa, nell’ordine, Sgarbi (6 ore e 45 minuti), Salvini (3 e 51′), Crosetto (3 e 51′), Meloni (3 e 44′), Feltri (2 e 44’), tanto per fermarci ai primi cinque, con pochi altri di diverso parere a fare la comparsa per legittimare una farsa di pluralismo. Sono anni però che l’opinione pubblica si è come mitridatizzata sul problema della tv e del conflitto d’interessi. Ci si preoccupa, a ragione, della lottizzazione della Rai ma ci si dimentica del latifondo Mediaset.

Ora è vero che è stato fortunatamente scongiurato il rischio di avere un capo dello Stato padrone di mezza tv e di due terzi della pubblicità, ma in passato abbiamo avuto un premier in questa abnorme condizione, per di più sommata al controllo delle reti pubbliche.
(Continua su Il Fatto Quotidiano)

 

(Nella foto la sede di Mediaset)