Pubblicato il 16/09/2019, 17:03 | Scritto da Emanuele Bruno
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Rai1: il problema non è il calo di ascolti, ma la perdita di autorevolezza

Rai1 sta perdendo la sua reputazione

Bella stagione avara di soddisfazioni per la prima rete pubblica. Il day time di Rai1, anche in assenza sostanziale di concorrenza, non ha fatto faville e a non andare bene è stato soprattutto il pomeriggio, che comunque si doveva confrontare con una linea di soap dell’ammiraglia del Biscione sempre efficace, e in cui ha esordito molto bene la novità turca Bitter Sweet. Il preserale e l’access hanno funzionato, anche se è indubbio che l’ultima conduzione di Reazione a Catena, quella con Gabriele Corsi, era stata più efficace di quella attuale di Marco Liorni. Il programma in un anno ha perso quasi mezzo milione di spettatore e quasi 3 punti di share. Anche al sabato, oltretutto, Liorni ha continuato e ora ha ripreso a perdere, al pomeriggio, nella sfida tra Italia Sì! e Verissimo. Tornando alla griglia estiva, della programmazione di prima serata l’unica idea che rimane indubitabilmente memorabile e va considerata vincente, da parte della direzione di Teresa De Santis, è stata quella dell’uso espanso delle Teche Rai.

Dalla Padania senza furore

Tornando ai problemi del day time, le cose non sono cambiate molto nei primi giorni di settembre: al mattino il padaneggiante Roberto Poletti non sta incantando i meter e più tardi Elisa Isoardi sta soffrendo e perdendo contro Forum, faticando a raggiungere il 12% con La prova del cuoco. Più tardi poi La Vita in diretta versione Matano-Cuccarini sta perdendo regolarmente contro le soap di Canale5 e contro Pomeriggio Cinque e sembra improbabile che nelle prossime settimane (e poi quando torneranno in scena le trasmissioni di Maria De Filippi), il trend possa cambiare. Ma si tratta di problemi endemici della rete guidata dalla De Santis, equivoci e noie che durano da anni.

Qualcosa si è aggravato e potrebbe peggiorare ancora, è vero, ma più in generale c’è da registrare come non sia stato uno scandalo, il risultato portato a casa dal punto di vista quantitativo finora dalla gestione De Santis. La sua difesa sul tema però è suonata molto come una excusatio non petita.

In occasione della conferenza stampa di presentazione di Domenica In, De Santis ha provato a dare alla stampa numeri positivi che rivalutassero il lavoro condotto; e ha osservato, per esempio, che «Io e te di Pierluigi Diaco è cresciuto di mezzo punto e La vita in diretta estate di un punto e due». Ha aggiunto che a suo modo di vedere le cose, più “scientifico”, anche i debutti autunnali non erano stati affatto deludenti: «Vorrei evidenziare – ha spiegato De Santis -, che il day time di quest’anno è in linea come ascolti con quello dello scorso anno e che la partenza di programmi nuovi o con conduttori nuovi spesso determina momenti d’incertezza».

Ma comunque sia e qualunque sia la lettura giusta di dati di ascolto che per adesso sono per definizione in movimento, non è solo per questi motivi – forse –, che vale la pena sostenere, come fanno molti osservatori e critici in questa fase, la tesi che il direttore di Rai1 meriti di essere sostituita.

Un punto chiave sono proprio le indicazioni, tutt’altro che incoraggianti, che arrivano dai battesimi di settembre: molto sotto media è partito Tale e quale show, idem Un passo dal cielo 5, ma anche sotto le attese auspicabili è andata la serata evento di Andrea Bocelli, ali di libertà. E il ritorno di Miss Italia sull’ammiraglia dopo i tanti anni di esilio a La7 non è stato fenomenale.

Colpa della direttora? Colpa della congiuntura? Colpa del pubblico, che non riconosce più il valore di una proposta solo un po’ più sofisticata? Colpa del cambiamento sociale, che oramai ha reso più improbabili e infrequenti i momenti di aggregazione nazionalpopolare? Colpa del caldo, che a un certo punto è tornato a imperare?

Le ragioni dei flop

Sono probabilmente e marginalmente valide tutte queste ragioni e costituiscono indubbiamente discrete, piccole attenuanti per De Santis. Ma certe sensazioni di tipo più hard che arrivano sulle palesemente incerte prestazioni di Rai1, rete leader da tantissimi anni del nostro scenario tv, sono per alcuni versi più preoccupanti. I meter, cioè, sembrano indicare – come è successo in una recente fase storica dall’altra parte della barricata, a Cologno –, che si stia cominciando a spendere (sperperare secondo qualcuno), il tesoretto di credibilità che si era accumulato e sedimentato in intere ere precedenti di programmazione (nel caso della Rai di servizio oltre che di intrattenimento). In questa prospettiva, i dati che assumono valore simbolico sono quelli riguardanti due o tre caposaldi della rete.

Il calo robusto di Alberto Angela con Superquark, ma anche le performance insufficienti di Francesco Giorgino, quando è stato chiamato a raccontare sull’ammiraglia la crisi politica dall’8 di agosto in poi, in un contesto e con un clima politico che prima avrebbero automaticamente prodotto un’attenzione crescente a Rai1, sono due elementi e ingredienti chiari del processo in corso. E a pagare dazio, se questa tesi fosse vera (vedi partenza floscia di Un passo dal cielo), potrebbe essere un altro cespite importante del patrimonio di Rai1: la fiction di produzione. Si tratta di un assett premium della rete, ma va incastrato in un progetto più largo, multiforme, coraggioso, polifonico, ma anche coerente e organico di racconto del presente. Ci vuole una visione complessiva sul ruolo e l’immagine della Rete, in sostanza, perché altrimenti è fatale che anche i risultati di audience di questa tipologia di prodotto, che sembravano intangibili all’usura, diventano aggredibili.

In sostanza, il punto di vista che si fa avanti, ben oltre i risultati di ascolto spuntati da questa gestione, è che da questa direzione emerga un’idea incerta e approssimata delle dinamiche e degli sviluppi della contemporaneità, e di conseguenza una barcollante espressione della propria leadership.

Gli spettatori di Rai1 fanno già e faranno sempre più fatica ad avere come prima scelta la proposta dell’ammiraglia se questa stessa non produce un’idea di sé chiara e compiuta. Con un’identità fioca, con pochi cambi nel palinsesto – e molti degli innesti effettuati di natura cosmetica o palesemente legati a dinamiche di spoil system –, Rai1 ha lasciato senza battere ciglio ad altre offerte il compito di presidiare la rivoluzione-restaurazione dell’8 agosto e tutto quello che è successo dopo, con il ruolo supplente de La7 sempre più evidente presso alcune fasce di pubblico e quello complementare di Rete4 crescente presso altre fasce (quelle tendenzialmente più sovraniste).

Rai1 perde autorevolezza

I problemi di Rai1 – quest’estate, ma anche in avvio di stagione e in prospettiva – non conseguono quindi solo dagli ascolti in calo. Ma dalla perdita di centralità e autorevolezza, patrimonio di cui una componente importante è ovviamente il Tg1. Il discorso quindi vale per la proposta di contenuti e l’offerta di news e invece prescinde, per molti versi, dal piano industriale. Non è il progetto dell’ad Fabrizio Salini il punto. Ma più semplicemente la linea editoriale della rete guida.

Ma forse le responsabilità non sono tutte di direzione di rete e direzione di testata. Alla base di questo deficit di chiarezza nella proposizione editoriale dell’ammiraglia c’è la stessa scommessa persa che ha portato alla frantumazione dell’esecutivo gialloverde. Pensare che la linea di un Rete – come quella di un governo -, possa essere la somma delle visioni di due blocchi sociali diversi, è probabilmente un ossimoro. Quello che non ha funzionato al governo, neanche con l’escamotage del contratto, meno ancora può funzionare nella tv.

 

Emanuele Bruno

 

(Nella foto Teresa De Santis)