Pubblicato il 02/02/2017, 14:35 | Scritto da La Redazione

Michele Santoro: il servizio pubblico, i colleghi e i politici

Michele Santoro si confessa a Libero: tutti i segreti su Berlusconi, Renzi e i colleghi

Rassegna Stampa: Libero Quotidiano, di Pietro Senaldi.

Michele Santoro: “La Rai dev’essere una forza che traina gli altri; per questo c’è il servizio pubblico, per fare quello che gli altri non fanno”.

Michele?
«Sì? Dimmi…».

Non è più la Rai. Privatizziamola?
«No. Ridiamola ai più capaci e torniamo a fare progetti anziché comprare format dall’estero. Altrimenti sì, per tenerla a pezzi com’ è tutta la tv oggi, tanto vale privatizzarla».

La Rai sta facendo un buon servizio pubblico in questa campagna elettorale sul referendum?
«La qualità del servizio pubblico dipende da tre elementi: i tg, dove il governo, qualunque sia, ha da sempre più voce degli altri, le tribune politiche, dove la Rai è in ritardo…».

Rispetto a Mentana?
«Non solo, perché i numeri di Enrico sono ridotti. La Rai è in ritardo rispetto alla necessità di progettare nuovi format di tribuna politica».

E il terzo elemento?
«L’approfondimento. Qui la Rai ha perso la leadership. Non può pensare di affrontare la prima serata con Vespa, non ce la fa».

Il flop della prima serata mi sembra più Politics
«Flop annunciato. Il conduttore arriva da un target risicato, quello di Sky. In più non è popolare e non gli hanno messo a disposizione una squadra adeguata, ha intorno solo ragazzini».

Non ha abbastanza autori?
«Quella di autore è la qualifica più abusata della tv. Ormai sono in centinaia a definirsi tali ma per me sono come i parcheggiatori abusivi, gestiscono spazi per i quali non hanno le carte in regola. I veri autori televisivi in Italia non sono più di 15, venti a essere buono».

L’ hanno anche messo di fronte a un gigante…
«La sovrapposizione danneggia tutti, anche a Floris, che meriterebbe di più».

Perché il pubblico dell’approfondimento politico si è ridotto?

«Perché quello più colto e giovane scappa, preferisce le serie tv, è stanco di guardare programmi datati e stanchi. Io mi comporto allo stesso modo, davanti ai programmi d’approfondimento ho la sensazione di perdere tempo. Poi se c’ è un evento a forte intensità drammatica, lo guardo. Ma non sempre c’ è».

Perché la Gruber funziona?
«È brava, è breve, viene dopo il tg ma in anticipo sulla prima serata e contro ha format vecchi, ma non faccio nomi, evito di crearmi altri nemici».

I talk orientano il consenso?
«Molto. Innanzitutto perché, sebbene abbiano – relativamente – stancato, raggiungono tutti insieme ogni settimana un pubblico di trenta milioni di persone. E poi perché sono portati a mettere in evidenza e far crescere temi, fenomeni e personaggi che non trovano spazio nei tg. Sono più trasgressivi, più aperti alle tesi “anti-immigrati”, anti euro, alla denuncia del potere e dei disagi della gente. Per questo chi governa è da sempre insofferente verso i talk».

Non sono un po’ troppi?
«Decisamente. Prima c’ erano tre-quattro grandi programmi d’ approfondimento nei quali si concentravano le migliori qualità giornalistiche. Ora fioriscono miriadi di sottospecie di talk. Un tempo, per usare una metafora, c’ erano poche sfide di Champions, oggi ci sono tante partite di classifica medio-bassa».

Come se ne viene fuori?
«Prima di smarrirsi, Freccero aveva centrato la questione: va ricostruita la seconda serata: Chiambretti, Arbore, Lerner, Minoli, siamo tutti nati lì. Era un laboratorio che ha prodotto tante cose e consentiva di crescere. Se si ripristinasse la seconda serata, nascerebbero di colpo dieci programmi nuovi e si restituirebbe senso alla prima serata».

Ma la seconda serata è stata abolita per ragioni di budget…
«E così ci siamo ridotti a programmi di tre ore che alternano Bersani e le feci dei cani, senza volerli accomunare con questo esempio. L’unica via per uscirne sarebbe concentrare il meglio delle professionalità in prima serata e dedicare la seconda alla creazione di nuove risorse, puntando sul disordine creativo».

Ne hai parlato con il direttore generale Rai Campo Dall’Orto?
«Certo. È persona colta è sensibile ma il problema è che non è dotato di una macchina operativa, non basta un capo. Il più grande genio della tv è stato Guglielmi, ma aveva un tessuto intermedio fortissimo: Voglino, Tantillo, Ghezzi, Criscenti, il sottoscritto. Oggi manca il tessuto intermedio».

L’informazione Rai ha un responsabile, Carlo Verdelli…
«Bravo giornalista ma serve tempo prima di diventare esperti di tv. È difficile. E poi Renzi glielo darà questo tempo? Se davvero fa una seconda serata tutto disordine poi Renzi la vede, si accorge che c’ è qualcosa di nuovo e magari si spaventa perché pensa subito al complotto».

La Bignardi, che ha esperienza, ha fatto un buco nell’acqua…
«La rete regge e perfino migliora ma Daria paga l’ insuccesso di Politics, che ha un valore simbolico forte perché la Rai lì aveva la leadership».

Mandare via Porro è stata una stupidaggine?
«Di stupidaggini la Rai ne ha fatte tante. Io fui il primo a intuire le capacità televisive di Porro; certo poi i personaggi devi farli crescere, magari in seconda serata, e lui ne aveva bisogno…».

Cosa ne pensi dell’epurazione della Berlinguer dal Tg3?
«Un avvicendamento fatto male, che ha dato adito a sospetti, ma non uno scandalo. Non si può parlare di editto bulgaro per lei, le hanno dato un programma con carta bianca».

Dovevi collaborarci anche tu, poi cos’ è successo?
«Ma ho collaborato, anche se senza guadagnarci, solo per amicizia e affetto. L’ho confortata, l’ho rassicurata sulla fascia oraria, che lei temeva. L’ho anche aiutata a formare la squadra e nella scenografia».

E poi cos’è successo?
«Lavorare con me non è facile. Non sono uno che si limita a dare consigli e inevitabilmente chi vuol fare il direttore preferisce sentire il programma come figlio suo e andare avanti da solo; così ho liberato Bianca dalla mia presenza».

Hai fatto una serata a ottobre su Rai 2, con ottimi ascolti. Ora un’ altra a inizio dicembre ma dopo il referendum: come mai un ritorno in Rai così centellinato?
«Non ne voglio fare di più: penso che si siano rotti i meccanismi narrativi e serva tempo per cercarne altri. A che servono tutti questi tg ogni mezz’ora che ti aggiornano sulle informazioni che trovi già su internet? Meglio spendere soldi per avere delle troupe in Libia o in Siria. Ma costa e richiede lungimiranza».

Le nuove generazioni ti hanno deluso?
«Forse non dipende neanche da loro. Il giornalista oggi è uno sfigato, guadagna poco e non sa neppure se avrà la pensione, logico che la qualità del lavoro ne risenta. Perché non c’è nessuno oggi che massacri Renzi con un attacco sulle banche, ma con pezze d’appoggio, non ideologico o raffazzonato?».

Già, perché?
«I giovani sono distratti da altro, non hanno la nostra forza e voglia di battere i marciapiedi. Sono più colti ma sempre inchiodati sui pc».

Manca l’ideologia?
«Ideologia oggi è diventata una brutta parola ma contiene un sistema valoriale».

I tuoi fan sembrano molto ideologizzati: la tua lettera su Facebook nella quale hai criticato il fronte del No al referendum ti è valsa feroci critiche…
«Quando ho iniziato con Samarcanda, ogni sera partivamo con il motto “Comunque la pensiate, benvenuti a Samarcanda“. Nei tempi di Facebook e Internet però non si argomenta, si condivide o si contesta. Il mio metodo è diverso, io cerco di fare analisi, di dire cose interessanti, di porre problemi».

Forse molti tuoi fan non l’hanno capito: ti hanno incasellato come anti-berlusconiano e anti-casta e si aspettano questo anche ora che governa il Pd?
«Piano. Ho una community di oltre un milione e 100mila persone e dopo la mia lettera su Facebook non ho registrato cancellazioni. C’ è un dibattito in corso, e anche chi mi scrive “venduto” poi si sforza di spiegarmi perché».

Grillo ti attacca sul bilancio della tua puntata in Rai di ottobre, dice che costi troppo…
«Se vuole rompere i coglioni, Grillo venga qui con il suo commercialista, da cui non si separa mai, a verificare tutti i conti».

Torniamo alla lettera sul referendum: perché l’ hai scritta?
«Prima una premessa. Questo referendum non mi piace, per riformare la Costituzione avrei voluto una nuova assemblea costituente su base proporzionale. Non è sufficiente dire che siccome Berlusconi si è sfilato a metà via non era più necessario cercare il consenso».

E nel merito ti piace?
«Sono da sempre a favore di una revisione delle leggi che renda l’Italia meglio governabile, tanto più oggi, dove le grandi resistenze della società alla globalizzazione rendono necessario un rafforzamento della politica. Di positivo poi c’ è che la riforma distingue l’ attività delle due Camere e il tentativo di risoluzione del conflitto tra poteri centrali dello Stato e Regioni».

Quindi voterai Sì?
«Conservo una posizione terza. Sicuramente andrò a votare ma magari farò scheda bianca, anche l’ astensione ha un profilo politico».

Se ti astieni, chi te l’ ha fatto fare di inimicarti tutti in rete?
«Ho posto un problema politico: non è vero che non sappiamo che cosa accadrà dopo il referendum».

Che cosa accadrà?
«Se vince il Sì, Renzi si rafforza e conosciamo tutti il modo in cui affronta i problemi».

E ti piace?
«In tante cose lo ritengo insufficiente ma non sono d’ accordo con chi lo accusa di fare solo una politica votata alla ricerca del consenso. Io penso ce la metta tutta».

Ma con risultati scarsi…
«Cerca di fare quel che può e sa, ma non basta. È sinceramente convinto che la sua politica di incentivi frammentati serva a rimettere in moto il Paese; io non credo, vorrei che si investisse su settori strategici, infrastrutture, tecnologia. Sogno il ritorno a una politica statale lungimirante.
Gli 80 euro li avrei spesi in edilizia popolare per giovani coppie».

Allora sei rimasto comunista?
«Non credo più all’intervento risolutivo dall’alto. Metterei le finanze pubbliche al servizio del territorio e dei più capaci, premierei i progetti dei privati con iniziativa».

E se vince il No che accade?
«Lo scenario diventa molto più confuso».

Si torna al proporzionale e alle preferenze con una grande coalizione Renzi-Berlusconi?
«Sì, così io mi sparo e buonanotte. Ho sempre combattuto proporzionale e preferenze perché per me agevolavano la mafia».

Bersani e compagni direbbero che fai terrorismo mediatico…
«Per me è insopportabile che Bersani dica che non accade nulla se vince il No, trovo ipocrita la sua bonomia. E D’ Alema poi, che insiste a dire che se ne tornerà in Europa a fare non si sa che cosa, forse qualche progetto sul socialismo per riportarci a un’ altra era. Per Massimo ormai è più facile avere successo come vignaiolo che come politico».

Truccano la loro lotta di potere a Renzi come lotta per la difesa delle istituzioni?
«In parte. Ma in parte sono davvero presi dalla nobile discussione socialdemocratica interna al Pd. Sono ciechi: non capiscono che la crisi che ha investito le socialdemocrazie è senza ritorno. Dopo la morte del Pci si sono illusi di salvarsi con le socialdemocrazie ma anche queste sono il passato. Ma anche la socialdemocrazia è in crisi perché è in crisi il modello verticale dello Stato, che aveva in comune con il comunismo. Quindi bisogna cercare una nuova strada, interattiva, con la partecipazione dei cittadini. La società oggi è verticale e interattiva».

Anche Renzi ha una gestione politica molto verticale…
«È il suo limite, e se perderà, perderà per questo. E mi dispiacerà, perché come dice Berlusconi, Renzi è l’ unico leader che l’ Itala ha».

Ma davvero se perde il referendum esce di scena?
«Il rischio c’è. Lui nel Pd e in Parlamento non ha legami solidi. Stanno tutti con lui perché comanda ma se perde, perde tutto e nel Pd si apre una lotta senza quartiere».

Sta sbagliando qualcosa il premier nella campagna elettorale, è onnipresente?
«Non è giusto tenere il Paese ostaggio del referendum per mesi e non doveva entrare in maniera così massiccia in campagna elettorale. Cerca l’ uno contro tutti, ma poi fa anche la parte di Maurizio Costanzo. È straordinario dal punto di vista energetico. Però un leader deve anche governare un gruppo dirigente e un partito con varie anime».

È la sua natura…
«Diffidente e provinciale, che lo porta a parlare solo con persone troppo vicine a lui».

Bankitalia ha detto che se vince il No al referendum sono guai: i poteri forti gli tirano la volata?
«Le conseguenze negative del No sono ovvie. Noi non siamo gli Stati Uniti, tanto solidi da potersi permettere Trump. E non siamo neppure la Gran Bretagna, che forse riuscirà ad assorbire perfino la Brexit. Noi siamo l’ anello debole dell’Europa».

A questo punto la penso come Grillo: a dicembre chiudono Politics e lo danno a te. Per questo hai scritto la lettera su Facebook.
«Bravo. Ma guarda che le prime serate in Rai me le hanno offerte da mo’, sono io che non le voglio fare».

Perché non hai più il bersaglio, il tuo amico Berlusconi. Chi l’ ha ammazzato: le donne, Fini, la Merkel, Santoro e Travaglio?
«Non l’ ha ammazzato nessuno, ha 80 anni e ancora “rompe le scatole”.
Gli auguro lunga vita, umanamente mi è sempre stato simpatico. E credo che la cosa sia reciproca, o almeno così mi ha sempre manifestato quando ha potuto. Anche se bisogna stare attenti, lui è capace di ammazzarti mentre ti sorride».

Ma riuscirà a rialzarsi?
«Doveva avere la forza di lavorare al futuro. Questo è il suo grande limite, non riesce a uscire di scena».

Dice di non trovare l’ erede…
«La persona che gli piace di più è Renzi. Lui sogna di essere riabilitato prima dalla giustizia europea e poi dal premier. A quel punto potrebbe addirittura passare il testimone, ma solo a Renzi, beninteso».

Allora realizzerà il suo sogno: se Renzi perde il referendum, Silvio lo aiuta e il gioco è fatto…
«Non credo, se Renzi perde il referendum, l’ appoggio di Silvio potrebbe essere per lui il colpo finale».

Ti accusano di aver resuscitato Berlusconi con la famosa puntata di Servizio Pubblico in cui il Cavaliere spazzolò la sedia di Travaglio. In campagna elettorale…
«Quel gesto fu un segno di disprezzo. Solo in Italia avrebbe potuto portare consenso, nelle democrazie più evolute si sarebbe rivelato un boomerang. Da noi invece è diventato un cult macchiettistico e il pretesto di chi aveva sbagliato tutto per coprire le responsabilità della sconfitta elettorale».

Quanti voti è valsa a Berlusconi quella mossa?
«Troppo pochi. Ne avesse portati di più, magari sottraendoli a Cinquestelle, avrebbe consentito a Bersani di vincere le elezioni».

Cos’hai pensato quando l’hai visto tirare fuori il fazzoletto?
«Ti dico cosa mi ha detto Celentano, commentando il gesto subito dopo: “Berlusconi ora è davvero finito”.Certo, lui era partito molto giù di morale quella sera, poi si è caricato nello scontro, durante la trasmissione. È stato un climax, vatti a rivedere la curva degli ascolti, qualcosa tipo Italia-Germania 4-3».

Vedi che l’hai galvanizzato tu?
«Gli ho fatto da Gerovital. A un certo punto mi si avvicinò per dirmi: “Ma quanto ci stiamo divertendo…”. Che ti posso dire? Io in conduzione mi coinvolgo, mi diverto».

A sinistra non ti hanno ancora perdonato…
«Scalfari mi accusò di aver venduto la Fontana di Trevi come nel film di Totò e Peppino, anche se in realtà era Nino Taranto. È dura essere indipendenti».

E Travaglio ti ha perdonato? Lui è un vedovo di Berlusconi…
«No, lui è molto contemporaneo. Io amo ragionare, vedere i punti interessanti degli avversari, Marco punta diritto alla verità, un po’ come fa la rete. Solo che in rete le verità cambiano di continuo. Per me invece la verità è irraggiungibile».

Di chi sono invece le responsabilità della sconfitta della sinistra a cui accennavi?
«Il disastro italiano inizia quando, caduto Berlusconi nel 2011, Bersani perde tempo e anziché opporsi a Napolitano e chiedergli di portare l’ Italia al voto, acconsente al governo dei tecnici e dell’ idraulico Monti. Che andava bene a Berlusconi».

Spiegamela di più…
«Fino ad allora, M5S era un movimento di protesta residuale. Poi per un anno e mezzo, Monti e tutti gli altri hanno lavorato per Grillo, che non ha dovuto far nulla per schizzare al 25%, nessuna rivoluzione, nessun assalto al Palazzo d’ inverno».

È stato sottovalutato?
«I primi sentori si ebbero con le affermazioni di De Magistris e degli arancioni, a Napoli e a Milano. Il Pd non era stato capace di presentare candidati credibili. Poi vennero i referendum, tutti si aspettavano la svolta e invece loro fecero il governo Monti. E anche la Gabanelli, per dire il vero ci mise del suo».

Perché dici questo?
«Quel servizio di Report che ha cancellato dalla scena Di Pietro per gli scandali di Italia dei Valori ha spalancato un portone a Grillo».

L’onda delle destre travolgerà l’ Unione Europea?
«Sono stato a Bruxelles da europarlamentare, una palla mortale, nessuna anima politica nessun sentore di vera democrazia. L’ Europa è un’ idea che si è cloroformizzata».

Fammi una previsione sull’ eurofuturo.
«Cacciari dice che alla fine la globalizzazione spazzerà via tutti i populismi, io credo invece che cose strane e dolorose accadute nella storia abbiano la possibilità di ripetersi. Temo bisognerà passare attraverso una catarsi».

Ti ha sorpreso la vittoria di Trump?
«No, perché la Clinton era un candidato troppo debole e compromesso. E poi è stato sbagliato esibire così tanto Obama, ha oscurato Hillary esaltandone le debolezze e ricordato ai bianchi che per due volte avevano votato un nero, risvegliando rigurgiti razzisti».

Il 6 e 7 dicembre nelle sale cinematografiche arriva Robinù, la tua opera sulla paranza dei baby camorristi: ti darai definitivamente al cinema?
«Sperimento. Robinù ti fa capire un pezzo di realtà di questo Paese, dove i bambini a 8 anni girano armati».

Pensi che possa servire a qualcosa, i ragazzi di Mary per sempre sono finiti tutti male…
«I miei sono già in carcere».

Ci può essere una soluzione?
«La mia natura pietrosa, comunista, per dirla con Jung, mi dice che una soluzione ci dev’ essere. Ma anche un cattolico ti darebbe la medesima risposta. La politica si può rassegnare, le persone che credono in qualcosa, no».

 

(Nella foto Michele Santoro)