Pubblicato il 11/10/2016, 14:33 | Scritto da Francesco Sarchi
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Vivendi-Mediaset, prove d’intesa. Tre anni insieme in Premium

Vivendi-Mediaset, prove d’intesa. Tre anni insieme in Premium
L'ipotesi allo studio: Compartecipazione paritetica al 40% , con il 20%a fondi Usa, fino al break-even. Per il Biscione pagamento cash. Così Antonella Olivieri su "Il Sole 24 Ore".

 Si lavora a un’ipotesi che esclude lo scambio azionario

Rassegna stampa: Il Sole 24 ore, pagina 33, di Antonella Olivieri.

Vincent Bolloré rafforza al 20,4% la presa su Vivendi, impegnando complessivamente più della metà del valore del gruppo di famiglia sulla media company che presiede. Con il raddoppio previsto per gli azionisti da almeno due anni, arriverà al 29% dei diritti di voto a marzo (e al 40% in prospettiva). Con ciò non avrà più bisogno di alleati per sancire che Vivendi non è più una public company, bensì una società che ha nel finanziere bretone l’azionista al comando. Un’accelerazione che, per quanto riguarda il versante italiano su cui Vivendi è esposta, ha l’effetto di far rientrare lo scollamento di visioni tra la presidenza e l’azienda che, secondo le voci, ci sarebbe stato e nel breve, in particolare, di contribuire a sbloccare l’impasse su Mediaset Premium. A quanto risulta, lo schema sul quale si sta lavorando per la pay-tv del Biscione è un azionariato suddiviso, pariteticamente al 40%, tra Vivendi e Mediaset, con il 20% in mano a fondi di private equity e valido per un triennio, il tempo utile a portare Premium in pari. Senza un accordo, la vicenda rischierebbe di trascinarsi per anni nelle aule dei Tribunali. Per raccapezzarsi nell’intricata vicenda occorre fare un passo indietro.

Ad aprile Vivendi e Mediaset avevano firmato un accordo vincolante saltando la fase della due diligence preliminare che prevedeva uno scambio azionario reciproco del 3,5%, con innesto dei rappresentanti dell’altro gruppo nei rispettivi board, e il passaggio del l00% di Premium sotto le insegne francesi. Valore dell’operazione: 750 milioni, meno 120 milioni di cassa. Ma già a maggio si era iniziato a discutere perché Vivendi, una volta aperto operativamente il dossier, si era resa conto che il break-even della pay-tv italiana, ipotizzato per il 2018, non sarebbe stato raggiunto prima del 2020. In queste condizioni, facendo seguito all’accordo così come definito, Vivendi avrebbe corso il concreto rischio di dover da subito svalutare della metà la neo acquisita partecipazione. La proposta avanzata in seguito da Vivendi di rilevare inizialmente solo una quota di Premium e di entrare invece nel capitale della controllante Mediaset, come noto, ha suscitato il sospetto che il vero obiettivo dei francesi fosse un altro e di conseguenza ha provocato le reazioni del gruppo televisivo che fa capo alla famiglia Berlusconi, con un’escalation di accuse reciproche che ha portato ad agitare le carte bollate (prima udienza al Tribunale civile di Milano fissata per il 21 marzo).

Tuttavia, da una parte, Vivendi non ha fatto valere la scadenza del contratto al 30 settembre, data che era stata indicata dai francesi appunto come quella del “liberi tutti”. Dall’altra Mediaset non ha avanzato la richiesta giudiziale di procedura d’urgenza per far valere invece il contratto, mossa che pure era stata considerata in ottica di “legittima difesa”. Segno che è ancora aperta la porta per trovare una soluzione consensuale che, secondo alcuni, avrebbe buone chance di concretizzarsi entro questo mese. Da parte francese si ammette solo che ci sono continue riunioni sul tema. Da parte italiana si aspetta ancora che arrivi una proposta accettabile, pronti altrimenti a ricorrere alle vie legali, puntando a questo punto probabilmente direttamente al risarcimento danni. Secondo quanto risulta a Il Sole-24 Ore, mentre si sta lavorando a mettere a punto il piano industriale, dal lato dell’assetto azionario lo schema sul quale si sta ragionando prevederebbe appunto un periodo di compartecipazione, della durata di tre anni, per portare Premium in utile e non consolidare le perdite nel frattempo. Dunque, 4o% a Vivendi, 40% a Mediaset e 20% a fondi di private equity (si pensa ad alcuni fondi americani).

Telefonica, che ha l’11% di Premium, pur ritenendo la quota non strategica, potrebbe considerare di restare a fianco di Mediaset nel periodo interinale. Al termine, realizzato il pareggio, il gruppo presieduto da Bolloré rileverebbe il controllo di Premium. L’altra variante di rilevo rispetto all’accordo siglato a primavera è che Mediaset riceverebbe in pagamento solo contanti e non più anche la quota del 3,5% in Vivendi. Quota di cui di fatto, come è chiaro da ieri, Bollore non avrebbe più bisogno per blindare il controllo di Vivendi, superando così anche le accuse che l’operazione in terra italica fosse in realtà stata pensata per sistemare gli affari in Francia. Un accordo, su basi differenti, è ancora possibile? A quanto risulta, Tarak Ben Animar che era stato il sensale dell’intesa di aprile è ancora in campo per una ricomposizione “pacifica”.

 

(Nella foto le sedi Mediaset e Vivendi)