Pubblicato il 11/09/2016, 14:05 | Scritto da La Redazione
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Il crepuscolo di Mediaset, con i problemi di cassa e Vivendi

Malinconica Mediaset

Rassegna stampa: L’Espresso, pagina 57, di Riccardo Bocca.

Non c’è solo lo scontro tra Cologno Monzese e Vivendi. Pesa anche il senso identitario perduto. E l’incapacità evidente di produrre vere novità.

L’estate che va a spegnersi ha avuto la sua telenovela. Giorno per giorno, davanti agli occhi di tutti, si è consumato lo scontro tra Mediaset e Vivendi. Trama di una noia straziante, come spesso accade quando gli affari sono complessi, ma anche per certi versi istruttiva. Da un lato l’azienda di Berlusconi ha rinfacciato agli acquirenti d’oltralpe di non rispettare gli accordi presi ad aprile, in base ai quali avrebbero dovuto rilevare il 100 per cento della pay tv Premium (e non il 20, abbinato a una salita fino al 15 per cento nel capitale Mediaset, come ipotizzato ad agosto). Dall’altra parte, l’azienda di Bolloré ha accusato Cologno Monzese di aver dogato la valutazione delle performance di Premium. «Dati non realistici e fondati su una base gonfiata artificialmente», è stata la formula shock del dissenso.

Dopodiché, Guerra. A base di minacce, trattative e pesante contraerea da parte di Mediaset e della holding Fininvest. Uno scenario che nel profondo odora di malinconia. Niente a che vedere con l’epopea in cui ogni gesto e verbo di re Silvio appariva (a tanti) irresistibile. Ora l’aria dominante è quella dell’affanno, con il diktat di fare quanto prima cassa. Il che è possibile, e perché no auspicabile, ma s’inserisce a gran voce nella progressiva opacità del Biscione. Non è soltanto questione di strategie e denari. Anzi la cassa, in questo ragionamento, viene molto dopo, come gli ascolti ancora solidi sulle reti Mediaset, ma non per questo sintomo di qualità e salute. Prima va pesata l’agonia creativa. C’è stato un tempo in cui Mediaset trasudava empatia con la deriva umana in corso nel Paese. La regola era sovrapporre lo status di telespettatore a quello di consumatore. Un format cinico e onirico assieme. Qualcosa che sposava telecomandi e carte di credito. «Consigli per gli acquisti!», era la parolaccia magica che ha contribuito all’attuale sprofondo etico e catodico.

È la stessa Mediaset, in questo periodo, a confermare tale versione. Basta prendere atto, sul suo sito web, di cosa intende per «i programmi in arrivo sulle nostre reti». Vorrebbe essere uno scivolo nell’autunno tv, e invece è il cimitero del produrre innovando. «De Filippi, Costanzo, Del Debbio, Chiambretti…», scandiscono voce e immagini scintillanti. Poi si annunciano «15mila ore di contenuti italiani inediti, 330 programmi diversi e 15 novità assolute», ma è un fiore già appassito. A meno di non considerare l’avvio del Grande Fratello Vip come un’effettiva speranza, o la caccia alla canzone del secolo (prevista in Your song) come spazio esente da retoriche vintage. Il problema è che tra un neo-show di Gerry Scotti a base di bambini prodigio e «due serate super speciali con i comici del momento», che poi sarebbero i modesti Pintus e Pucci, neppure il nuovo riesce a essere nuovo. Anzi odora, tra una fiction e l’altra, di muffa. Perché non sa a cosa appigliarsi, perché ha perso per strada il senso. Qualunque esso sia.

 

(Nella foto la sede Mediaset a Cogno Monzese)