Pubblicato il 17/06/2016, 15:31 | Scritto da La Redazione

Campo Dall’Orto: Alleanza tra le tv europee, la Rai racconti il Paese

Il legame con la politica è inevitabile, ma la Rai sta guadagnando e guadagnerà autonomia. I politici non chiamano più per chiedere favori

 

Rassegna Stampa: La Stampa, pagina 13, diMarco Zatterin

 

Intervista ad Antonio Campo Dall’Orto

“Alleanza tra le tv europee, la Rai racconti il Paese”

Inevitabile il legame con la politica, anche se nessuno chiama più per i chiedere favori

 

“Rai, un’alleanza con le tv europee per combattere sul mercato globale”

Il dg Campo Dall’Orto a Bruxelles per incontrare diplomatici e politici

“Faremo coproduzioni con le reti pubbliche, ognuno racconterà il suo Paese”

Presenteremo i palinsesti a fine mese, vorrei fossero un viaggio verso la contemporaneità

Eliminare il geoblocking, cioè il limite alla libera circolazione di telefilm e partite, è complesso

Per ora non abbiamo nomine da fare, siamo concentrati sui programmi della nuova stagione

II ricorso sui 150 milioni presi dal governo per gli 80euro Credo che si potrà trovare un accordo

II legame con la politica è inevitabile, ma la Rai sta guadagnando e guadagnerà autonomia. I politici non chiamano più per chiedere favori

 

 

A sentirla raccontare, si profila come una comunità europea delle produzioni televisive, pubbliche naturalmente. Antonio Campo Dall’Orto ci arriva descrivendo il progetto di una Rai sempre più in formato «media company» e impegnata a cooperare coi grandi canali generalisti del continente. È certo che «ci sia uno spazio», poiché «operiamo in contesti analoghi per tipo di pubblico e di racconto che facciamo». Il modello si pone su un altro piano rispetto ai campioni nella nuova era, i Netflix & Co., perché «con loro sono difficili le collaborazioni » e perché «le serie americane si sposano bene coi network globali, non tanto col servizio pubblico». Pertanto, «nei prossimi anni, su temi mirati, ci saranno coproduzioni » fra le “Rai” europee e «ognuno racconterà il suo Paese». Vista «la stagione di grande incertezza, è una responsabilità davvero rilevante».

A Bruxelles ha parlato di questo, per due giorni. Il direttore generale di Viale Mazzini ha incontrato commissari, diplomatici e parlamentari. «Era utile chiarire alcuni aspetti del futuro», ha ammesso in colloquio a tutto campo, svoltosi nell’agorà di Palazzo Berlaymont. Le questioni tecnologiche incrociano le ambizioni dell’azienda, influenzano palinsesti, organizzazione, prodotto, capitale umano. La parola che ritorna è «trasformazioni». Quelle dei programmi da far girare su ogni piattaforma. E quelle di una politica nazionale che «non telefona più» per chiedere questo o quello.

Cosa si aspettava dalla Commissione?

«Un sostegno per il cambiamento. La Rai punta a offrire i contenuti in qualunque forma, luogo e tempo. Questo passa attraverso le decisioni europee. La portabilità del diritto d’autore, che sarà discussa in ottobre, è un esempio chiave».

È legata alla fine del geoblocking, cioè del limite alla libera circolazione di telefilm e partite. È fattibile?

«Tutto il sistema tv è fondato sui diritti nazionali, a partire da quelli sportivi. Eliminare il geoblocking è complesso. Si può però fare un’altra cosa. Quando lo spettatore acquisisce un diritto, se è chiaramente identificabile, è giusto che possa usufruirne anche viaggiando all’estero. Dal punto di vista tecnico, da settembre saremo pronti a consentirlo. Ma serve l’azione del legislatore. Oggi, quando uno strumento riconosce che non sono nel mio Paese, mi ferma».

Pubblico e media devono diventare globali. Culturalmente, l’Italia è pronta?

«Lo è se si guarda alla facilità con cui i consumatori accedono ai contenuti mobili. Il problema è che siamo una società spaccata, un Paese in cui 24 milioni di persone non accedono a Internet. Però oltre 30 lo fanno. Su questo si costruisce».

La politica vi pressa. È stato pungolato da Calenda e da Gasparri. Come reagisce?

«Il legame con la politica è inevitabile. La Rai deve essere più autonoma nelle decisioni per poi confrontarsi con la politica nei luoghi deputati, dalla Commissione di vigilanza al dialogo con le istituzioni. La Rai non è né “contro”, né “altra cosa”. Il rapporto è più fluido se guadagna autonomia. Sta accadendo e accadrà ancora nei prossimi mesi». Antonio Campo Dall’Orto  Direttore generale della Rai Il legame con la politica  è inevitabile, ma la Rai sta  guadagnando e guadagnerà  autonomia. I politici non  chiamano più per chiedere favori

Riceve molte chiamate dai politici tipo «Mi assume questo?»

«No. Questa cosa si è consumata nel tempo. Il Parlamento si è rinnovato per il 63%. Le cose succedono nel momento in cui possono succedere».

Il suo predecessore voleva tagliare le testate giornalistiche. Il piano è sparito. Come mai?

«La visione editoriale prevale su quella organizzativa. Il vecchio progetto era animato da esigenze di efficienza e non necessariamente di servizio ai cittadini. Certo l’efficienza è importante, ma abbiamo ritenuto di partire dalle risorse che ci sono e cercare di usarle bene. Non vuol dire mantenere lo status quo, bisogna comunque evolvere. In particolare sul digitale, dove siamo in ritardo».

Come possiamo recuperare?

«È fondamentale tornare a essere parte del racconto internazionale. Abbiamo avuto degli apripista, la vittoria di Sorrentino agli Oscar e “Fuocoammare” a Berlino. Hanno dato lustro al nostro prodotto e permesso ad altri di affacciarsi all’estero. Non è un caso se Sollima dirige “Suburra” che Netflix vuol coprodurre con la Rai. Tutto questo aiuta il mercato a muoversi verso un mondo nuovo».

Intanto la domanda di notizie online batte il video.

«Un terzo del Paese si informa attraverso i media digitali, consuma più minuti su mezzi nuovi invece che sui classici. Se il servizio pubblico deve essere universale deve progredire. Il sorpasso è inevitabile. Lavoriamo sul digitale in due fasi: offrire tutti i servizi possibili e, in seguito, porre il digitale al centro del sistema».

State per presentare i palinsesti. Cosa c’è dentro?

«Sarà il 28 giugno. I direttori di rete hanno lavorato giorno e notte. Lo diranno loro».

Che tipo di messaggio volete dare? Meno gambe e più notizie? O viceversa?

«Vorrei che emergesse un’azienda plurale, che raccontasse il Paese in tutti i modi e fosse un viaggio verso la contemporaneità, per dare un servizio migliore e valore a chi paga 100 euro di canone, somma relativamente bassa, ma sempre importante».

E le nuove nomine?

«Non abbiamo nulla. Ora siamo concentrati sui palinsesti»

Che fine ha fatto il ricorso sui 150 milioni presi dal governo Renzi per gli 80 euro?

«Avanza. Non sono però un appassionato di ricorsi fra pezzi di Stato. Questo è legato alle risorse: se tutto va bene col canone in bolletta, credo che a fine anno ci saranno le condizioni per sederci con le controparti e trovare una composizione».

 

(Nella foto, Antonio Campo Dall’Orto)