Pubblicato il 11/06/2016, 15:09 | Scritto da La Redazione

Va in onda la partita della tv

Nel 2013 su scala mondiale il tempo speso dalle persone davanti alla televisione era in media di tre ore e 19 minuti al giorno

Rassegna Stampa: Milano Finanza, pagina 30, di Andrea Montanari

Va in onda la partita
Dopo aver comprato Mediaset Premium, Vivendi si prepara a sfidare Sky nella prossima asta dei diritti tv del calcio. La Rai, in fase di aggiornamento, sta a guardare. Ma premono nuovi player come Netflix
Nel 2013 su scala mondiale il tempo speso dalle persone davanti alla televisione era in media di tre ore e 19 minuti al giorno. L’anno scorso si è ridotto a tre ore e 14 minuti. Una flessione significativa che colpisce il mezzo, la tv, più diffuso al mondo e che ha il maggiore peso in termini di influenza sulla spesa e sui consumi, per via della comunicazione pubblicitaria. Ma questa minore attenzione per il piccolo schermo non è certo legata a un disamoramento della gente all’informazione e all’intrattenimento. È semmai il segnale di un cambiamento dei comportamenti e dei gusti personali. «Non c’è una fuga dalla televisione. Questa anzi gode di ottima salute. Semmai è in atto una trasformazione e si va sempre più verso contenuti non lineari, la cosiddetta catchup tv», sostiene Sahar Baghery, director of global research & content strategy della società di consulenza Eurodata Tv, che ha elaborato il dato sul consumo medio di televisione, in occasione della 13° edizione del Forum Europeo Digitale, organizzato da Comunicare Digitale e UltraHd Forum, andata in scena a Lucca giovedì 9 e venerdì 10 giugno. «Il calo nel tempo medio di visione della tv tradizionale registrato dall’indagine fa specifico riferimento a Nord America, Europa, Middle Est e Asia», continua Baghery, «mentre in Sudamerica e Africa i dati sono in crescita».

Questo fenomeno è dovuto al radicale cambiamento di tecnologie, infrastrutture e capacità produttiva dei grandi network e broadcaster internazionali. Anche perché, come ha fatto notare, sempre durante il Forum di Lucca, Massimo Bertolotti, responsabile Innovazione ed Engineering di Sky Italia, il futuro porta inevitabilmente alla visione di contenuti in realtà virtuale. «È stimato che nel 2025 il business della virtual reality varrà circa 35 miliardi di dollari. Di questi ben 7,3 saranno legati all’intrattenimento e agli eventi live», specifica Bertolotti. «A sostenere questo segmento di mercato ci sarà anche il venture capital, i cui investimenti nella realtà virtuale sono stimati in 3,5 miliardi di dollari». Il segmento, sempre nel 2025, conterà su 175 milioni di utenti. Senza trascurare poi un aspetto strettamente tecnologico: lo sviluppo della tv in 4k (Mediaset ha già sperimentato la finale di Champions League con questo formato e la Rai lo farà per gli Europei in accordo con Eutelsat) e della modalità di fruizione in UltraHd al quale puntano i principali produttori mondiali di televisori. È in questo scenario che si va definendo la guerra tra i tanti operatori tradizionali del comparto (broadcaster, produttori di contenuti, major, operatori tlc) preoccupati anche dall’arrivo di over-the-top come Netflix e Youtube o dei colossi tecnologici e dell’e-commerce Usa quali Apple o Amazon, o di social network come Facebook e Snapchat.

 

E l’Italia è, per importanza del mezzo televisivo (vanta la maggior penetrazione europea in fatto di ascolti medi giornalieri, dell’ordine di 25-26 milioni, e conquista quasi il 60% della torta pubblicitaria complessiva), uno dei Paesi su cui si concentrano le attenzioni dei network. Il processo è in atto. Netflix è arrivato da pochi mesi e ancora non si conoscono i dati relativi agli abbonati, ma dovrebbero essere nell’ordine delle centinaia di migliaia. Tuttavia l’atteso boom non si è verificato anche per i problemi legati alla banda larga. Ma la partita sta per entrare nel vivo. Come dimostrano alcune mosse fatte dagli operatori del settore. A partire dall’acquisto da parte di Vivendi del 100% di Mediaset Premium, nell’operazione che entro agosto porterà il Biscione nell’azionariato del gruppo che fa capo a Vincent Bolloré con il 3,5%. Obiettivo di Bolloré è forzare la mano e sfidare Sky Italia sul fronte dei contenuti, leggasi calcio, anche in vista dell’asta per i diritti del triennio 2018-2021 che partirà nella primavera del 2017. Puntando magari a un’alleanza commerciale con Telecom Italia, il gruppo tlc italiano guidato da Flavio Cattaneo, di cui peraltro Vivendi è primo azionista. Anche perché il trend che sta emergendo nei principali mercati europei è la volontà degli operatori di tlc di muoversi in prima persona nella produzione di contenuti, senza limitarsi a essere hub per la trasmissione di contenuti di gruppi tv terzi, come avviene in Spagna con Telefonica e in Inghilterra con British Telecom. E come probabilmente accadrà in Germania con Deutsche Telekom, che probabilmente parteciperà all’asta per i diritti tv della Bundesliga assieme alla pay tv di Ruper Murdoch e a nuovi sfidanti quali Amazon e Google, attraverso Youtube o altri operatori online.

 

Per rispondere all’ attacco di Vivendi-Mediaset Premium, Sky sta definendo una nuova strategia imperniata sulla presenza su tutte le piattaforme (free, pay, web e streaming), ma che ruoterà su accordi con le principali case di produzione indipendenti, quali Freemantle, Cattleya, Palomar, che potrebbero consorziarsi e altre dopo l’accordo paneuropeo siglato in aprile con Sony. E come riferito nei giorni scorsi da MF-Milano Finanza, anche con progetti insieme alla Luxvide dei Bernabei (una serie tv internazionale di finanza basata sul libro I Diavoli del banker Guido Maria Brera, tra i fondatori di Kairos sgr). Contestualmente, poi, ai piani alti del gruppo tv guidato da Andrea Zappia si lavorerebbe a un progetto di natura pubblicitaria, ancora in fase embrionale. Sarebbe la targettizzazione verticale degli spettatori separando la platea televisiva digitale terrestre da quella satellitare a pagamento, in modo da associare offerte commerciali diverse, rivolte a due pubblici distinti, a uno stesso programma o evento, come SkyTg24. Proprio sul fronte pubblicitario, Mediaset tramite la concessionaria Publitalia (ha il 58-59% della raccolta nel segmento tv), sta rafforzando il progetto della branded content television ovvero i programmi (serie tv o reality) sponsorizzati da marchi industriali. Business che già quest’anno vale più di 60 milioni. Un mercato che in Italia vale 180 milioni come ha calcolato l’Osservatorio Branded Entertainment. Per arginare Mediaset e Sky, la Rai del direttore generale Antonio Campo Dall’Orto vuole accelerare l’ammodernamento della tv di Stato: entro l’anno tutti i canali saranno trasmessi in Hd e in simulcast. E sta rivoluzionando la struttura manageriale interna, non sempre con facilità e successo, provando a costruire nuovi contenuti e puntando allo storytelling. Anche se resta sempre in bilico il tema della raccolta pubblicitaria su almeno un canale pubblico (Rai3), tema legato al possibile maggior gettito che il gruppo di viale Mazzini dovrebbe ottenere con il canone in bolletta Enel. Intanto rilancia anche l’altro broadcaster americano ormai consolidato in Italia come Discovery. Martedì 14 ci sarà la presentazione della nuova offerta digitale e sul bouquet di Sky, con l’obiettivo nel medio periodo di rafforzare i contenuti originali di Eurosport facendo leva su eventi quali le Olimpiadi. Nel contempo, la tv guidata da Marinella Soldi ha da poche settimane siglato un accordo che permetterà agli utenti della nascente Vodafone Tv di fruire dei contenuti dei canali free to air (Nove, Real Time, Dmax, Giallo, Focus, K2 e Frisbee). Chi è a caccia di contenuti originali e locali è Netflix, l’over-the-top di Reed Hastings che sta conquistando l’Europa e che, secondo alcuni, potrebbe chiedere il calcolo dei propri ascolti, che ovviamente hanno una dinamica differente da quella delle tv tradizionali.

 

Il tema dello share è al centro del dibattito dei broadcaster che sono anche azionisti dell’Auditel, la società di ricerca che da luglio rileverà i dati di un nuovo campione composto da 15.700 famiglie, che terrà in considerazione anche gli ascolti su pc, smartphone, tablet, oltre al conteggio della cosiddetta visione in differita, sistema utilizzato oggi dal 36% degli italiani (in Europa siamo al 50%) e che vede in primo piano Sky. È in quest’ottica che toccherà tenere sotto controllo le mosse di Apple con la sua tv e anche il colosso Google-Youtube, big del mercato pubblicitario che vale ormai 1,25-1,3 miliardi (secondo operatore del mercato italiano dopo Mediaset). Ma proprio Youtube in questi giorni deve far fronte a una mini-rivoluzione in atto in Italia. Perché oltre 60 youtuber che sommano un bacino di fan complessivo di 20 milioni di persone hanno deciso di abbandonare la piattaforma Usa per passare all’italiana Blasteem. La scissione potrà essere davvero uno scossone per il mondo del video online. E che potrebbe essere stata incentivata dal nuovo azionista del progetto torinese, ovvero Mediaset, che tramite Rti ha rilevato a marzo il 40% del gruppo che fa capo alla Showlab guidata dall’ad Corrado Camilla.

(Nella foto, un’immagine di archivio)