Pubblicato il 11/04/2016, 11:32 | Scritto da La Redazione

A settembre parte Mediaset Vivendi – Disney cerca l’Ad

Bolloré lo chiama già il “Netflix Latino”, al via con film e serie tv. Il colosso Usa punta al digitale.

 

 

Rassegna stampa: La Stampa, pagina 15, di Leonardo Martinelli.

Mediaset e Vivendi, il Netflix “latino” nasce a settembre con film e serie tv

Alleanza estesa alla spagnola Telefonica e aperta a un gigante Usa (Fox o Warner).

Film e serie televisive in stile Usa. Ma anche le fiction più adatte all’Europa del Sud, con puntate più lunghe, che gli americani non producono. E c’è perfino l’ambizione di coinvolgere star a stelle e strisce. A tutto questo punta il tandem Vivendi-Mediaset con il suo Netflix europeo (a Vincent Bolloré piace tantissimo chiamarlo «latino»). Una piattaforma di contenuti on demand e disponibile online, proprio come Netflix, dovrebbe nascere già in settembre e potrebbe da subito coinvolgere Telefonica in Spagna. Oltre a questo mercato, comunque, e alla Francia e all’Italia, Bolloré e Berlusconi puntano alla Germania. Si darà vita a un’unica società produttiva di contenuti, da rendere disponibili sulla piattaforma. Non solo: come indicato dal quotidiano le Figaro, Vivendi e Mediaset sarebbero in trattative con alcune major americane, in particolare Fox e Warner, così da inserirle nella società.

Ma per produrre cosa? Come indica una fonte vicina al dossier, «sono tre tipi di prodotti: i film, europei, ma con standard americani e anche con star Usa, come Brad Pitt o Kevin Spacey. Poi le serie tv, con un numero elevato di puntate (una quarantina) ed episodi sui 40 minuti di durata. Infine, le fiction con una decina di puntate, ognuna lunga fino a due ore». Sono quelle sul modello di Montalbano o di Task Force, novità di Mediaset con Raoul Bova. Tra serie e fiction, ne potrebbero essere già messe in cantiere una decina da qui a 4-5 anni. La prima tappa, mettere sulla piattaforma di vendita dei contenuti, è abbastanza facile e non richiede grossi investimenti. Bisogna innanzitutto accorpare le attività simili dei nuovi partner. Vivendi ha CanalPlay in Francia e Whatchever in Germania. Da sottolineare: CanalPlay va male. Ha perso negli ultimi mesi circa 300mila abbonati, scendendo sotto i 600mila, anche per la concorrenza di Netflix. Sempre per la distribuzione di contenuti on demand su Internet, Mediaset dispone di Infinity in Italia. Poi in Spagna Telefonica (Vivendi ha l’1% del capitale di questo gruppo) ha creato Yomvi, che è una filiale di Movistar+, la pay tv dell’operatore telefonico.

Tutte queste società per il momento possono contare (mettendo dentro anche Yomvi di Telefonica) su appena 2,5 milioni di abbonati. Insomma, poca cosa rispetto ai 75 di Netflix (32 fuori dagli Usa). Ma l’obiettivo è mettere il piede sull’acceleratore, attingendo anche al bacino degli utenti delle pay tv di Vivendi, Mediaset e in più di Telefonica (12 milioni in tutto). Sul fronte della produzione, Vivendi e Mediaset, che è presente in Spagna mediante il 41% di Telecinco, metterebbero insieme le loro risorse. Si assocerebbero poi i media di Telefonica e forse, come abbiamo visto, una major americana. Inoltre, in quest’ottica vanno considerati certi recenti investimenti di Vivendi. La sua filiale StudioCanal ha preso delle partecipazioni nella spagnola Bambu Productions, famosa per le serie Velvet e Grand Hotel. E anche in due società inglesi del settore, Urban Myth Films e Sunny March Tv. Infine, Vivendi ha acquisito il 26% di Banijay, numero tre mondiale della produzione audiovisiva. Sì, Bolloré stava preparando il colpo da tempo.

 

Rassegna stampa: Affari&Finanza, pagina 16, di Arturo Zampaglione.

La Disney cerca il nuovo ad nel digitale

Era arrivato un quarto di secolo fa nel quartiere generale della Walt Disney company a Burbank, in California, portandosi dietro la sua esperienza alla Morgan Stanley. Era diventato quasi subito direttore finanziario del gruppo, finalizzando le maxi-acquisizioni di Pixar (7,4 miliardi di dollari) e Marvel Entertainment (4 miliardi). Aveva guidato il settore dei parchi. E dal 2010, promosso Coo (Chief operation officer), era il numero due della “multinazionale dei bambini” e soprattutto l’erede in pectore del chief executive Bob Iger. Ma la settimana scorsa Thomas Staggs, 55 anni, ha gettato la spugna, annunciando le sue dimissioni (e rinunciando a un compenso che l’anno scorso ha superato gli 8 milioni di dollari). Rimarrà come consulente fino a settembre. La ragione di un gesto che ha avuto subito ripercussioni a Wall Street? Staggs aveva capito che il board del gruppo avrebbe finito per cercare altrove il nuovo ceo e ha deciso di andarsene prima di qualsiasi umiliazione. Il suo abbandono costringerà probabilmente Iger, 65 anni, a rimandare di un po’ di tempo il suo pensionamento, previsto per il 2018. Ma non dovrebbe influire sui conti della multinazionale, che continuano a dare molte soddisfazioni: l’anno scorso il fatturato del gruppo, che ha in tutto 185mila dipendenti, ha raggiunto 52,4 miliardi di dollari, con utili netti per 8,3 miliardi. Il titolo è sceso rispetto al massimo di 122 dollari dell’agosto scorso: ma giovedì scorso era ancora scambiato sui 96 dollari, portando la capitalizzazione di borsa a 157 miliardi.

E più in generale la Disney, che ha la rete tv Abc, la casa di produzione cinematografica, i parchi di divertimenti oltre a operazioni di franchising, resta saldamente il secondo gruppo americano nel settore media dopo Comcast, proprietaria della Nbc. Resta un dubbio: perché la promozione di Staggs è diventata d’improvviso traballante? Perché il board ha preferito puntare su altri cavalli anche a costo di innervosire gli investitori? La vera ragione, secondo gli analisti, è che le qualifiche finanziarie di Staggs, che in altri tempi gli avrebbero spianato la strada, si sono rivelate superate e insufficienti: la società cerca ora un chief executive che abbia più dimestichezza con i contenuti mediatici e con le nuove tecnologie, che diventano il grande terreno di confronto nei media. Non stupisce, quindi, che un altro nome abbia cominciato subito a circolare per la successione di Igor: quello di Sheryl Sandberg, Coo di Facebook e numero due di Mark Zuckerberg, che già siede nel consiglio di amministrazione della Disney.

 

(Nella foto Vincent Bolloré)