Pubblicato il 17/02/2016, 15:03 | Scritto da La Redazione
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Anche la pubblicità alimenterà il fondo per l’editoria – Rai, concorrenti all’attacco: “Ora regole sulla pubblicità”

Rassegna stampa: Il Sole 24 Ore, pagina 8, di Marco Mele.

Anche la pubblicità alimenterà il fondo per l’editoria

Contributo dello 0,1%.

Il Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione sarà alimentato anche dai concessionari di pubblicità della stampa e dagli editoria radiofonici e televisivi, con un contributo di solidarietà, che sarà pari allo 0,1% del reddito complessivo. Lo prevede il disegno di legge che domani vedrà affidato il mandato al relatore dalla commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera. Il testo è stato adottato integrando due disegni di legge in discussione nella stessa commissione. Si prevede l’istituzione di un Fondo per il pluralismo e l’innovazione nell’informazione presso la presidenza del Consiglio, ripartito ogni anno tra la presidenza stessa e il ministero dello Sviluppo economico. Al Fondo affluiranno: le risorse statali destinate al sostegno dell’editoria quotidiana e periodica, quelle destinate all’emittenza locale, radiofonica e televisiva e una quota sull’extragettito proveniente dal canone Rai in bolletta fino a un massimo di cento milioni. Poi vi sono altre due voci destinate a incrementarlo. La prima sono quanto versato per le sanzioni comminate dall’Autorità per le comunicazioni per una serie di violazioni, in gran parte attribuibili alle televisioni nazionali e locali.

La seconda è un contributo «di solidarietà a carico di soggetti diversi». Vi sono le concessionarie di pubblicità su quotidiani e periodici, ma non gli editori (spesso, ma non sempre, le prime sono interne al gruppo editoriale), i mezzi di comunicazione «radiotelevisivi e digitali» (non è chiaro se e come si applicherà a Google e al Web), e chi effettua attività di intermediazione acquistando spazi sui mezzi, comprese le reti elettroniche, per conto terzi; quindi i centri media in primis e le agenzie di pubblicità che offrono tale servizio. Il Fondo, fatto salve le risorse esistenti per ogni settore, sarà ripartito al 50% tra Presidenza del Consiglio (stampa) e Ministero dello Sviluppo (emittenza radiotelevisiva). Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi, la revisione della disciplina dei contributi diretti all’editoria nonché delle misure di sostegno agli investimenti delle imprese editoriali, all’innovazione del sistema distributivo, ai progetti innovativi presentati da imprese di nuova costituzione, al sostegno dei processi di ristrutturazione aziendale.

Sono esclusi dai finanziamenti gli organi dei partiti, dei sindacati, dei periodici specialistici a carattere tecnico e tutti i quotidiani e periodici i cui gruppi editoriali siano quotati o partecipati da società quotate. Prevista l’incentivazione fiscale della pubblicità incrementale su quotidiani e periodici. Tra i requisiti richiesti il rispetto del contratto collettivo stipulato tra le associazioni sindacali dei lavoratori dell’informazione e delle telecomunicazioni e le associazioni del relativi datori di lavoro. Un’altra delega al Governo riguarda la revisione dei requisiti di anzianità anagrafica e contributiva per il prepensionamento dei giornalisti.

 

Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 11, di Giovanna Cavalli Francesco Di Frischia.

Rai, concorrenti all’attacco: “Ora regole sulla pubblicità”. E parte l’accusa di dumping

La7: il governo intervenga. Mediaset: serve un equilibrio diverso.

Il canone Rai in bolletta elettrica riaccende lo scontro tra la tv di Stato e le emittenti private: Mediaset e La7 chiedono al governo di intervenire sul sistema televisivo e di eliminare completamente la pubblicità in almeno un canale importante (come Rai 3). Così le major potrebbero equilibrare i loro conti dopo che la legge di Stabilità, se le previsioni fatte da Mediobanca dovessero rivelarsi corrette, concederà a Viale Mazzini un maggior gettito di circa 280 milioni nel 2016 (pari al 33% delle somme recuperate dall’evasione, come da legge di Stabilità). Soldi che vanno aggiunti al miliardo e 650 milioni dell’attuale gettito del canone e ai 700 milioni di pubblicità per un totale di oltre 2 miliardi e 600 milioni. «Quello che ha fatto il governo Renzi alla Rai è iniquo – attacca l’editore Urbano Cairo -. Assegnare a Viale Mazzini 280 milioni in più l’anno, in base alle stime di illustri istituzioni finanziarie, è uno scandalo. Inoltre negli ultimi quattro anni la tv pubblica ha fatto pure dumping, abbassando il costo della pubblicità del 38%. E abbiamo visto quello che hanno combinato a Capodanno…». E questa operazione «danneggia non solo le tv, ma anche moltissimo i quotidiani».

Secondo l’editore di La7, «l’esecutivo, che vuole portare avanti un’azione riformatrice, non può procedere in questo modo, privilegiando la Rai, che tra l’altro è la stessa azienda che viene controllata dalla politica. Un comportamento simile è dannoso per tutto il sistema dei media in Italia». Quindi «serve subito maggiore equità chiede Cairo -. Bisogna ripensare il sistema televisivo, prevedendo anche un nuovo assetto per la pubblicità: se la Rai incassa 280 milioni in più dal canone, allora si tolga completamente gli spot da due canali importanti». Del resto, ricordano i vertici di La7, in Spagna e Gran Bretagna le reti pubbliche non hanno réclame, in Germania gli spot ci sono solo dalle 17 alle 20 e in Francia niente consigli per gli acquisti dopo le 20. Opinione sposata da Gina Nieri, consigliere di amministrazione di Mediaset e direttore degli affari istituzionali e legali: «Lo spezzettamento del canone non funzionerebbe e comunque Mediaset non è interessata a concorrere per una quota di abbonamento». «Il servizio pubblico va affidato alla Rai che è una realtà adatta a questa mission e che andrebbe finanziata prevalentemente con i soldi pubblici – osserva Nieri -. Fa parte di un sistema che si tiene nel suo insieme e dunque il legislatore, entro maggio, quando si rinnoverà la concessione, dovrà regolare la quota di pubblicità appannaggio della Rai, con l’obiettivo di trovare un equilibrio per tutto il sistema dell’editoria». Nel panorama nazionale, invece, Sky, con il 93% dei ricavi da abbonamento e solo il 7% dalla pubblicità, rimane alla finestra in questa querelle.

Intanto qualche giorno fa il sottosegretario allo Sviluppo economico, Antonello Giacomeni, che ha la delega alla Comunicazione, in un incontro pubblico è tornato sul tema: «Quello della raccolta pubblicitaria della Rai è un tema vero purché si riconosca che è giusto combattere l’evasione con il canone nella bolletta elettrica». Nel testo della legge di Stabilità «è inoltre chiarito che solo parte dei soldi andrà alla Rai precisa Giacomelli un’altra parte andrà invece all’emittenza locale e all’eliminazione della tassa sulla prima casa». C’è, però, da fare una premessa fondamentale: la lotta all’evasione deve funzionare. Se la Rai recupera buona parte di quel 27% di evasori con il canone in bolletta elettrica, allora in ambienti governativi non è visto come un tabù pensare a canali pubblici totalmente privi di pubblicità, come la stessa Rai 3. Non è un caso se Antonio Campo Dall’Orto, il direttore generale della Rai, ha annunciato di voler togliere gli spot da maggio su alcuni canali come Rai Yoyo (che da solo incassa 7 milioni di euro l’anno), Rai Cinema e Rai 5. Un passo nella direzione indicata da Mediaset e Cairo. E se un milione di italiani dovesse dichiarare di non possedere la tv? Come farà l’Agenzia delle Entrate a controllare tutti?

 

(Nella foto Urbano Cairo)