Pubblicato il 26/03/2024, 12:04 | Scritto da La Redazione

Auditel, relazione annuale 2024: stop alle auto-misurazioni

Auditel, relazione annuale 2024: stop alle auto-misurazioni
Si è svolta poco fa la relazione annuale di Auditel alle Istituzione. Ecco il testo completo del presidente Andrea Imperiali.

70 anni di tv e 40 di Auditel: la relazione al Parlamento

Si è svolta poco fa la relazione annuale di Auditel alle Istituzione. Ecco il testo completo del presidente Andrea Imperiali.

Un grazie alla Presidenza della Camera, e in particolare al Presidente Lorenzo Fontana, per averci nuovamente concesso ospitalità in questa prestigiosa e meravigliosa sede. E un cordiale saluto ai presenti – in sala e in streaming – che ringrazio per l’eccezionale opportunità di illustrare tutte le novità che hanno caratterizzato – e stanno caratterizzando – il percorso evolutivo di Auditel nel contesto di un mercato televisivo sempre più globalizzato e attraversato da continui cambiamenti. Prima di addentrarmi nella Relazione voglio ricordare una ricorrenza importante: nell’anno in cui la televisione italiana compie 70 anni, Auditel festeggerà il suo quarantesimo compleanno. Il 3 gennaio 1954 (infatti) 70 anni fa, è nata la Tv italiana. Il 3 luglio del 1984, 40 anni fa, nasce Auditel. Un doppio anniversario che, naturalmente, evoca tanti ricordi e per cui si potrebbero spendere molte parole, oltre a quelle che hanno già animato, in questo primo scorcio del 2024, articoli, saggi e numerosi eventi rievocativi sulla storia della nostra televisione.
Ma la doppia ricorrenza ci offre, soprattutto, l’occasione per fare una riflessione prospettica che, partendo dai cambiamenti indotti dalla tecnologia, dall’offerta di contenuti e, soprattutto, dal mutare dei comportamenti di consumo, volga lo sguardo in avanti; e, (soprattutto), permetta di intravvedere una evoluzione possibile. Non possiamo che cominciare, quindi, dai principali fattori di cambiamento che in questo lasso di tempo hanno caratterizzato il percorso evolutivo della televisione. Naturalmente non lo faremo sotto il profilo storico, sociologico o culturale: a ciò hanno già provveduto voci competenti ed autorevoli. Piuttosto ci soffermeremo su alcuni passaggi significativi che, dal nostro particolarissimo punto di osservazione, hanno riguardato il piccolo schermo.
Per cominciare, il piccolo schermo si è trasformato nel grande schermo: il 5° Rapporto Auditel-Censis rivela, infatti, che, nel tempo, sono costantemente aumentate le dimensioni dei televisori nelle case degli italiani, dove la presenza di una Tv principale di (addirittura) 55 pollici sta diventando, ormai, la norma. E c’è un altro trend significativo in corso. La Ricerca di base Auditel – l’indagine condotta in collaborazione con IPSOS, che fotografa sette volte l’anno la società italiana, le strutture familiari e le loro interazioni con i media – certifica che, rottamati 40 milioni di apparecchi con tubo catodico, oggi il Paese è popolato da ben 120 milioni di schermi digitali – di cui oltre 97 milioni connessi – attraverso cui si fruiscono regolarmente i contenuti televisivi.

Più schermi connessi

Proprio la moltiplicazione degli schermi ha segnato, negli anni, il passaggio dalla visione prevalentemente lineare di contenuti integrali alla visione on demand di contenuti prevalentemente frammentati in brevi clip che sintetizzano l’originale. Contestualmente c’è stato anche il passaggio – graduale – da una fruizione condivisa (con la famiglia riunita davanti al cosiddetto “focolare domestico”) ad una visione, invece, marcatamente individuale, personalizzata e, tipicamente, in mobilità. Come hanno reagito i broadcaster di fronte a questi cambiamenti? La TV italiana è nota per la creatività e originalità nei contenuti.
Si può discutere di tutto, a livello continentale, ma non della varietà e della qualità editoriale della nostra offerta televisiva: programmi unici, serie e format di intrattenimento di grande successo, prodotti originali che sono stati esportati e adattati in diversi Paesi. Ebbene, proprio facendo leva su questa intelligenza editoriale, la TV italiana si è adattata prontamente alla nuova realtà, che segna il passaggio dalla scelta dei contenuti intermediata nei tempi attraverso la griglia del palinsesto (quello che veniva definito l’orologio sociale del Paese) alla scelta disintermediata, 24 ore su 24, mediante un catalogo on-demand. Non basta. Con il tramonto dell’analogico e l’arrivo del digitale, abbiamo assistito a un’autentica rivoluzione anche sotto il profilo dell’innovazione tecnologica.
L’Italia, infatti, ha investito significativamente nella modernizzazione delle infrastrutture di trasmissione televisiva. E l’adozione precoce e la rapida diffusione del digitale terrestre, e dell’alta definizione, hanno conferito al Paese un vantaggio significativo in termini di qualità e varietà dell’offerta; facendo contestualmente emergere una preziosa capacità di adattamento da parte dei nostri editori nel trasformare i modelli trasmissivi e distributivi per gestirli – sempre di più – in logica multi-ambiente e multi-device. E con successo.

Qualità e quantità

Facendo leva su quantità e qualità, ritualità e innovazione, infatti, nella stagione televisiva 2022-2023 i broadcaster italiani sono riusciti a crescere nella Total Audience (+1,4% rispetto alla stagione precedente), hanno raggiunto giornalmente oltre il 90% dei telespettatori e hanno conquistato l’82,3% del totale del tempo dedicato alla visione TV. Risultati importanti, cui ha contribuito, non poco, l’ascolto incrementale generato proprio dagli schermi digitali: c’è stata, infatti, una crescita del 20,3% per le visualizzazioni e del 25,1% in termini di tempo speso, numeri che consentono di definire la nostra industria televisiva come “la più resiliente” (anche a livello continentale). Sul fronte advertising, infine, siamo passati dalla pubblicità sincronizzata con la programmazione (addirittura osmotica, se pensiamo a Carosello) alla pubblicità asincrona, disaccoppiata e personalizzata, ma soprattutto ottimizzata non più sulla base dei programmi bensì sui diversi profili di consumo: la cosiddetta addressable advertising. Cambiamenti epocali, quindi, per la TV italiana. Che nell’arco di 70 anni, rimanendo – sempre – centrale nella nostra società e contribuendo – sempre – alla modernizzazione del Paese, ha dimostrato di saper costantemente mutare, trasformandosi gradualmente da mezzo classico, a carattere diffusivo, a media digitale, prevalentemente interattivo.
Anche per Auditel, nell’arco di 40 anni, sono intervenuti molti cambiamenti, ma sempre a partire da un punto fermo: la Società, infatti, ha da subito adottato, consolidandolo nel tempo, il modello di governance riconosciuto (poi) come il più evoluto a livello internazionale, ovvero il Joint Industry Committee (JIC), l’organismo a controllo incrociato che riunisce tutte le componenti del mercato televisivo (i broadcaster, gli investitori pubblicitari, le agenzie e i centri media). La maggioranza del Consiglio di amministrazione è costituita dalla componente mercato, mentre i soggetti rilevati svolgono un ruolo prevalentemente di controllo e vigilanza.
Una intuizione visionaria e vincente.
Una scelta che è divenuta lo “standard” negli altri Paesi europei e che a breve, sulla spinta delle nuove dinamiche di mercato sopra richiamate (a partire dall’esplosione delle piattaforme streaming), potrebbe essere adottata anche negli Stati Uniti. Il JIC, infatti, è stato ed è capace di assicurare molteplici garanzie:
– massima rappresentatività di tutti i soggetti che operano sul mercato;
– standard e convenzioni condivisi dall’intera industria;
– totale trasparenza per tutti i soggetti, che operano in maniera sempre visibile e
tracciabile, a vantaggio della concorrenza (e, in ultima analisi, dell’innovazione);
– nessun uso distorto e distorcente dei dati a scopo commerciale, o comunque
diverso da quello per cui vengono raccolti;
– modalità di controllo evolute e dirette, su tutta la filiera, in piena sintonia con gli
organismi di vigilanza. Non basta.
Se fino a ieri si pensava che i sistemi di rilevazione degli ascolti contribuissero solo a stabilire una misura del ritorno degli investimenti pubblicitari, oggi (più che mai) sono diventati un presidio fondamentale della concorrenza e della democrazia digitale, giacché…
– sono gli unici che possono certificare con precisione le reali preferenze dei consumatori;
– risultano indispensabili nella corretta distribuzione del finanziamento pubblico;
– mettono a nudo, per contrasto, i pericoli insiti nel gap informativo – lo squilibrio nella
accessibilità e nella verificabilità dei dati – che impatta sul funzionamento del mercato, con implicazioni sempre più rilevanti in termini economici, di concorrenza, di sicurezza e anche di data protection;
– contribuiscono, in ultima analisi, all’integrità e all’equità complessiva del sistema, con evidenti ricadute anche sul pluralismo e sulla qualità dell’informazione.
Ma c’è di più. Per anni e anni si è temuto che organismi come il nostro potessero cristallizzare la competizione in questo delicato settore; e, in qualche modo, blindare le posizioni dominanti.
È accaduto esattamente il contrario. Auditel e le sue consorelle (italiane e europee) hanno contribuito al costante allargamento del mercato e alla crescita plurale dell’offerta di contenuti.
E, infatti, nell’arco temporale che va dalla storica liberalizzazione delle trasmissioni via etere – sancita il 28 luglio 1976 dalla Corte Costituzionale – e passa attraverso il primo switch off del 2012, la concorrenza è cresciuta in maniera esponenziale: alle 7 storiche emittenti pubbliche e private se ne sono aggiunte ben 373, per un totale di 380 canali TV oggi rilevati da Auditel.
E c’è ancora di più. Si temeva che la massima rappresentatività alla base del JIC, con la presenza di tutti i soggetti del mercato negli organismi societari, potesse paralizzare operativamente Auditel e limitarne la capacità di essere al passo con le evoluzioni dell’industria; e che ciò potesse avvenire per l’incrociarsi di veti nella dinamica decisionale, tipica degli organismi popolati da troppi soggetti, tutti in concorrenza fra loro (un po’ come accade nei vertici degli organismi europei…).
Invece, tutti – senza eccezioni – hanno sostenuto compatti l’evoluzione del mercato; spesso l’hanno anticipata; e, in ogni caso, il dialogo e il confronto indotti dal nostro modello partecipativo non hanno mai costituito un freno per l’innovazione e il cambiamento, anzi.
Lo certificano alcune supporting evidence del percorso innovativo che anche Auditel è riuscita a compiere in questi anni. E che è utile qui ricordare…
– Il passaggio dal panel al SuperPanel, il campione più numeroso al mondo in rapporto alla popolazione.
– L’attivazione del sistema censuario e la sua successiva integrazione con il sistema campionario, per la rilevazione degli ascolti su tutte le piattaforme e tutti i device.
– L’evoluzione incessante delle più moderne tecnologie di rilevazione (tag digitali, CUSV, modelli statistici, algoritmi, cloud, soluzioni di machine learning) per gestire il passaggio dallo schermo unico alla frammentazione degli schermi, dei contenuti e delle modalità di fruizione.
– Infine, l’autonomia operativa e, soprattutto, la piena proprietà intellettuale delle soluzioni, che limita la dipendenza dai fornitori e garantisce – allo stesso tempo – l’integrità degli asset e il controllo diretto di ogni fase del processo di rilevazione.
Quanto precede non solo ha favorito l’innovazione del sistema, ma ha permesso anche di porre il nostro Paese all’avanguardia nel confronto internazionale in questo delicatissimo settore.
L’Italia, infatti, non ha come unico primato il Panel più numeroso al mondo…
– È il primo Paese ad avere già completato l’integrazione tra sistema campionario e sistema censuario.
– Il primo ad aver pubblicato la Total Audience, integrando in modo nativo la Smart TV.
– Il primo a rilevare al suo interno anche la pubblicità online e quella addressable.
– Il primo, su esplicita delibera di AGCOM, a rilevare integralmente un soggetto OTT
(la britannica BARB utilizza solo il panel; la francese Mediametrie muoverà quest’anno i primi passi…).
Non basta.
– Il nostro è anche il primo Paese al mondo ad aver fatto nascere un codice di
tracciamento univoco per tutti gli spot video, il CUSV, che rileva la performance dei video pubblicitari su tutte le piattaforme, integrandolo direttamente nella misurazione.
– È il primo Paese al mondo ad aver notarizzato (certificato) i dati e i database, attraverso blockchain, per garantire l’assoluta trasparenza della raccolta e del processo produttivo e renderli immediatamente verificabili dagli organi di vigilanza.
– È il Paese all’avanguardia, infine, nell’impiegare sofisticati sistemi di machine learning e intelligenza artificiale per computare ed elaborare una massa di dati ogni giorno sempre più voluminosa (parliamo di circa 25 volte il volume dei dati che raccoglievamo solo un anno fa…).
In sintesi, grazie al suo modello, – e alla felice intuizione di chi ci ha preceduto – Auditel si è fatta trovare pronta e preparata per intercettare e sostenere l’evoluzione del settore. Come dimostra, in ultimo, la rilevantissima novità di sommare all’ascolto tradizionale della TV anche il prezioso ascolto aggiuntivo generato sulle piattaforme digitali, restituendoci così una fotografia completa dello stato di salute della nostra industria, che vede mantenere – in alcuni casi addirittura accrescere (come abbiamo detto) – i propri ascolti, a dispetto di un contesto competitivo sempre più complicato.

I ringraziamenti

Permettetemi, perciò, di rimarcare i meriti che hanno avuto – e hanno – molti soggetti, nell’aver favorito e nel continuare a perseguire l’evoluzione di Auditel. Anzitutto, il nostro sistema televisivo: moderno e orientato al mercato, come dimostra la resilienza – un unicum a livello internazionale – che, dati alla mano, conferma giorno dopo giorno. I broadcaster italiani, infatti, pur ingaggiati in una competizione fra loro (sempre) vivace e a tratti aspra, hanno saputo ritrovarsi sempre uniti nell’individuare un interesse collettivo, collocarlo al di sopra dell’interesse di parte e agire a sostegno di un settore la cui delicatezza e importanza non sfugge a nessuno.
Sintetizzo il mio personale giudizio con un aggettivo: encomiabili. Anche gli utenti pubblicitari meritano un plauso. Hanno costruito nel tempo un mercato sano, evoluto, di qualità, fortemente auto- regolamentato, saldamente ancorato a principi di trasparenza e responsabilità. Un’eccellenza di cui andare fieri nel confronto internazionale. Merito da ascrivere, senza dubbio, al grande lavoro svolto dal presidente di UPA, Lorenzo Sassoli de Bianchi, che voglio ringraziare (una volta di più) per aver fortemente creduto nel processo evolutivo di Auditel, senza mai far mancare il suo supporto nell’attuazione di ogni singolo passaggio di una complessa roadmap. Voglio, poi, sottolineare il ruolo fondamentale che hanno avuto le Autorità di Regolazione, sempre in perfetta sintonia con i tempi del mercato – dalle repentine mutazioni alle nuove, conseguenti esigenze normative – a cominciare da AGCOM (la “nostra” Autorità di Regolazione), che ha consentito alla Società di svilupparsi con puntuali atti di indirizzo e delibere visionarie, in una dinamica costruttiva e con un approccio sempre evoluto e moderno. Grazie presidente Lasorella.
Non dimentico, ovviamente, le Istituzioni, dalla Banca d’Italia all’ISTAT, con cui il rapporto di collaborazione si è fatto sempre più stretto. E non smetterò – mai – di essere riconoscente ai presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, che ci ospitano anno dopo anno e ci riservano (sempre) grande attenzione e partecipazione. Ringrazio, infine, i presidenti delle Commissioni parlamentari e i rappresentanti del Governo, che sono oggi qui con noi: la vostra presenza è motivo di grande orgoglio per la nostra Società.

Il futuro

Che cosa ci dobbiamo attendere, quindi, e che cosa prevediamo per l’immediato futuro? La risposta non può prescindere da uno sguardo d’insieme del quadro internazionale. Oggi sul mercato globale dello streaming – che vale 154 miliardi di dollari – operano 27 diverse piattaforme. Nel 2012 c’era solo Netflix. Questo eccesso di offerta non potrà che spingere verso una fase di consolidamento e concentrazione, dinamica destinata a rafforzare ulteriormente la dimensione egemonica di pochi soggetti globali che già dispongono di dimensioni di scala impressionanti. E, infatti, l’anno si è aperto con l’annuncio del clamoroso deal siglato da Disney, Fox Sports e WBD per dar vita a una joint venture che gestirà, in modalità B2B e B2C, i diritti TV dello sport USA (NFL, NBA, MLB e NHL).
Parallelamente, in risposta alle nuove dinamiche di consumo, si assiste alla costante convergenza dei modelli di business e delle linee editoriali: AVOD e SVOD convivono, ormai, sulle piattaforme streaming, così come l’offerta sia di contenuti on demand che di grandi eventi live. Proprio la qualità e la varietà dei contenuti saranno sempre più destinate a fare la differenza, a rappresentare il vero driver di successo nell’economia dell’audiovisivo.
Lo indica – chiaramente – l’esplosione della spesa per la creazione e l’acquisizione di nuovi titoli, che nel 2023 è sì rallentata, ma dopo una crescita triple digit (+229% dal 2017) e dopo aver segnato il record annuale di prime visioni nel 2022: sono state ben 599. Tutte dinamiche da seguire con attenzione perché sono destinate ad aumentare sempre più la pressione competitiva dei giganti globali, in rotta di collisione con gli operatori europei.

2024 anno decisivo

Il 2024 si annuncia decisivo sotto molteplici punti di vista: basti pensare che nell’arco di 12 mesi sarà chiamato alle urne il 51% della popolazione mondiale, inclusi i 400 milioni di cittadini della UE. Proprio le elezioni europee e i conseguenti nuovi assetti istituzionali, con la normativa che sta prendendo forma sull’evoluzione dei sistemi di intelligenza artificiale, offrono l’opportunità di completare in logica di trasparenza, equità e soprattutto sostenibilità, il quadro regolatorio dell’Unione in un settore cosi delicato per l’interesse generale.
È un lavoro urgente e non più differibile. Non possiamo permetterci, infatti, di compiere con l’intelligenza artificiale gli stessi errori e di avere gli stessi ritardi e gli stessi vuoti legislativi che hanno caratterizzato la crescita e lo sviluppo disordinato del settore digitale. Tantopiù avendo la consapevolezza che le leve dell’intelligenza artificiale sono nelle mani degli stessi giganti tecnologici già oggi in posizione dominante. Tantopiù, aggiungo, avendo la certezza che l’intelligenza artificiale – per limitarci al mercato dei media – è portatrice, di nuovi disequilibri oltreché di rilevanti pericoli sul fronte della privacy.
Al primo importante passo, compiuto il 2 febbraio scorso, ossia l’approvazione, all’unanimità, dell’AI Act da parte dei rappresentanti permanenti dei 27 Paesi, dovranno seguirne altri per arrivare alla sua implementazione. A quanto pare, tuttavia, occorreranno almeno un paio d’anni per raggiungere questo traguardo. Un tempo enorme, ahimè, rispetto alla rapidità che caratterizza la digital age. Speriamo, quantomeno, che sia speso bene, ovvero per introdurre i fondamentali principi della trasparenza e della responsabilità; e per rimuovere i gravi squilibri già in atto. A cominciare dai non più tollerabili paradisi fiscali europei, che, esaurita la funzione per la quale ieri furono concepiti, oggi, in un settore cruciale come quello dei media e dell’audiovisivo, alterano la concorrenza, frenano l’innovazione e allargano il divario finanziario fra i giganti globali e gli attori continentali.
Senza trasparenza, senza parità competitiva, senza equità fiscale è davvero inimmaginabile garantire a tutti i soggetti un reale level playing field, ossia la possibilità di competere nei 27 Paesi all’interno di un quadro legislativo unico, che protegga i consumatori, garantisca un uso etico e responsabile della tecnologia e includa – naturalmente – anche i sistemi di misurazione. E a proposito di sistemi di misurazione…

Regole chiare

La pratica dell’auto-misurazione non è più tollerabile. Viceversa, siamo e restiamo convinti che la trasparenza e l’imparzialità di sistemi di misurazione indipendenti e condivisi costituiscano la pietra angolare su cui costruire la casa comune dei servizi media.
– Perché, orientando l’allocazione delle risorse economiche e contribuendo a definire le politiche di finanziamento pubblico, possono equilibrare le dinamiche competitive
– Perché possono colmare i gap informativi che incidono sui diversi mercati connessi, ossia i nuovi mercati dell’economia dell’attenzione, e impattano l’integrità e la sostenibilità di settori con profili di rilevante interesse generale.
– Perché, infine, con un corretto e tempestivo tracciamento dei cambiamenti nei comportamenti di consumo, possono garantire un vero pluralismo e una compiuta democrazia dell’informazione.
Bene ha fatto, quindi, l’Unione Europea con il Media Freedom Act a sollevare per la prima voltala centralità, la rilevanza e il ruolo fondamentale che i sistemi di misurazione possono svolgere a garanzia di una corretta competizione nell’economia dell’audiovisivo.
Ma occorre fare di più. E superare, con provvedimenti stringenti, la mancanza di trasparenza che grava sull’intero sistema. Diversamente, si mette a repentaglio non solo la corretta competizione, ma (in fin dei conti) anche la democrazia digitale, ossia il nostro sistema industriale, la qualità dell’informazione, la libertà e il pluralismo dei media dell’Unione e la stessa identità culturale dei cittadini europei (per non parlare, naturalmente, dei rilevanti riflessi sull’occupazione a cui stiamo – purtroppo – già assistendo).
È essenziale, quindi, in questo quadro, conferire una veste giuridica ai JIC europei (agli organismi come il nostro), affinché siano posti nelle condizioni di integrare tutti i soggetti del mercato e, soprattutto, siano investiti di un legittimo interesse sotto il profilo delle qualificazioni di data protection proprio al fine di svolgere il loro compito in maniera completa e accurata e nell’esclusivo interesse pubblico. Bisogna fare presto. Bisogna recuperare velocemente il tempo perduto.
Avviandomi alla conclusione, non posso né voglio dimenticare che nel 1984 tra i fondatori di Auditel c’erano Silvio Berlusconi, figura imprescindibile nella storia della televisione italiana; Sergio Zavoli, giornalista caposcuola e, al tempo, presidente della Rai; e Biagio Agnes, che della Rai è stato indimenticato direttore generale. Credo sia doveroso per tutti noi onorare la loro memoria in questa sede, e in questa doppia ricorrenza, sottolineando che tutti e tre non ebbero mai timore di lanciarsi in sfide apparentemente impossibili. Una lezione da tenere a mente di fronte alle sfide, appunto, che ci attendono. Sfide che, nell’esclusivo interesse del mercato, Auditel è pronta ad affrontare con sempre maggiore rigore e – soprattutto – con crescente, civile passione. Grazie per l’attenzione.

 

(Nell’immagine il logo di Auditel)