Pubblicato il 08/06/2023, 13:02 | Scritto da La Redazione

Come vedono la Rai i Francesi?

Come vedono la Rai i Francesi?
"Tele-Meloni". È questo il soprannome che la stampa italiana ha dato alla Rai, il gruppo radiotelevisivo pubblico. Secondo la stampa, il governo di Georgia Meloni ha preso il controllo della "principale impresa culturale" del Paese. Un colosso con cinque canali televisivi generalisti, otto canali tematici e tre stazioni radiofoniche nazionali. Così su Les Echos.

In Italia, la Rai è scossa dal ritorno del controllo politico

Les Echos, di Olivier Tossieri e Fabio Benedetti Valentini, pag. 22

“Tele-Meloni”. È questo il soprannome che la stampa italiana ha dato alla Rai, il gruppo radiotelevisivo pubblico. Secondo la stampa, il governo di Georgia Meloni ha preso il controllo della “principale impresa culturale” del Paese. Un colosso con cinque canali televisivi generalisti, otto canali tematici e tre stazioni radiofoniche nazionali. Un gruppo che impiega quasi 13.000 persone, tra cui 1.760 giornalisti. In un Paese in cui la popolazione vfeillissani rimane fedele alla televisione come principale fonte di informazione, il canale Rai è certamente sempre stato essenziale per il mondo politico. Tanto più che occupa ancora il primo posto sugli schermi transalpini con il 36,7% della quota di mercato. D’altra parte, è il secondo sul podio in termini di introiti pubblicitari. Nel 2022, questo mercato rappresenterà oltre 3,5 miliardi di euro, in calo di oltre il 5% rispetto all’anno precedente. Il suo rivale, il gruppo privato Mediaset, ha fatto la parte del leone, con quasi 2 miliardi di dollari australiani, in calo del 32%. I ricavi della Rai sono scesi del 7,5% a poco meno di 704 milioni di euro. Distinzioni strategiche permanenti. Roberto Sergio è stato nominato amministratore delegato e Glampaolo Rassi, stretto collaboratore di Giorgia Melon, è entrato a far parte della direzione generale. Queste nomine fanno seguito alle dimissioni di Carlo Fuortes. In carica da meno di due anni, l’ex amministratore delegato ha giustificato la sua uscita con le pressioni esercitate su di lui dalle autorità di controllo, affermando di essersi rifiutato di accettare modifiche alla linea editoriale e alla programmazione che non “considerava nell’interesse del Re”. Il governo ha appena piazzato le sue pedine in posizioni chiave all’interno dell’azienda. Alcuni deplorano la tradizionale “lottizzazione” che in Italia permette ai partiti di spartirsi il servizio pubblico. Il gruppo radiotelevisivo pubblico italiano sta entrando nell’era Meloni e sta facendo nomine basate più su criteri di fedeltà che di competenza. Questa situazione sta causando “distrazioni strategiche permanenti” che impediscono all’azienda di modernizzarsi e di sviluppare un’ambiziosa strategia digitale, sostiene François Godard di EndersAnalysls.

Questo “indebolisce l’intero ecosistema audiovisivo italiano”, osserva. Dopo le riforme introdotte da Matteo Renzi nel 2015, il governo ha avuto maggiore voce in capitolo nella nomina degli amministratori delle società. Inoltre, sono state abolite le direzioni specifiche per ogni canale. Questa mossa è simile a quella di altri gruppi radiotelevisivi pubblici in Europa. Ma alcuni dipendenti temono che questa mossa porti a concentrare le scelte editoriali in poche mani, minacciando il pluralismo. “1.e momentetr tenuto di un nuovo storytelling'”, ha scritto l’amministratore delegato Roberto Sergio in una lettera ai dipendenti. Sempre più persone lasciano l’azienda, tra cui Fabio Fazio, conduttore di punta del programma “Che tempo che fa“. Alcuni la vedono come un’opportunità di risparmio: secondo la stampa italiana, il suo programma costa 450.000 euro a serata. Ma per altri la sua partenza è il segno di un’azienda fragile che non riesce ad allinearsi a metodi di gestione efficienti. I programmi di Fazio generano grande audience e alti introiti pubblicitari, e attirano ospiti di caratura internazionale (Papa Francesco, Emmanuel Macron, Barack Obama, ecc.). Roberto Laganà, membro indipendente del consiglio di amministrazione, deplora il fatto che ciò indebolisca Ral in termini editoriali e crei incertezza per quanto riguarda gli ascolti. Chiunque sia al potere non vuole rinunciare alla lotta contro di essa. Non c’è una vera strategia per modernizzare l’azienda, il suo management, rinnovare l’offerta…”. E qualsiasi erosione dello share di audience e degli introiti pubblicitari della Rai farebbe il paio con gli affari del suo acerrimo rivale, Mediaset, il colosso dell’audiovisivo di proprietà di Silvio Berlusconi e della sua famiglia.
(Continua su Les Echos)

 

 

 

 

(Nella foto )