Pubblicato il 13/03/2023, 17:03 | Scritto da La Redazione

Mauro Masi: Rai, o il canone o la pubblicità, così non è un vero servizio pubblico

«La Rai scelga: o il canone o il mercato»

La Verità, di Giulia Cazzaniga, pag. 11

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Torno all’esperienza dei suoi 800 giorni in Rai. In una parola?

«Mi riesce difficile. Quando entrai, comunque, rimasi letteralmente basito che una struttura pubblica a partecipazione diretta del ministero dell’Economia e con un controllo parlamentare fosse così squilibrata. Allora, poi, era la più squilibrata di sempre».

Erano gli annidi Santoro, che lei chiamò in diretta una volta… Una lite memorabile sul caso Ruby, nella quale lei si dissociava dall’impostazione della puntata di Annozero.

«Ed erano gli anni dei Floris, Guzzanti, Fazio, Saviano, Gabanelli, Dandini… Quel che ho cercato di fare, è stato riequilibrare, di dare un vero servizio pubblico. Non certo censurando, ma aggiungendo. Introdussi il programma dopo il Tgi di Giuliano Ferrara, misi Vittorio Sgarbi in prima serata…».

E furono polemiche.

«Strumentali. E poi si sa, tra gli elementi costitutivi del mondo Rai c’è il chiacchiericcio e la polemica sulla polemica. E stato inevitabile fin dagli anni Cinquanta. In ogni caso, io capii che la Rai doveva essere più equilibrata e meno partigiana».

Oggi come è messa?

«Non mi faccia domande così, non le posso rispondere perché è poco elegante che un ex capo azienda parli dei vertici o della gestione attuali».

Quindi inutile anche chiederle di Carlo Fuortes? I retroscena sul suo futuro si sprecano.

«L’ho conosciuto e stimato molto come un grande sovrintendente del teatro dell’Opera di Roma. Io peraltro sono un patito della lirica».

Sotto la sua gestione si compi il passaggio dall’analogico al digitale…

«Dopo il colore, un pas saggio storico. E poi vado fiero della difesa che feci del servizio pubblico da Murdoch: voleva comprarsi il palinsesto e portarlo sui canali satellitari pagandolo due lire – davvero, un piatto di lenticchie – e mi rifiutai. E pensare che lo “squalo” era appoggiato dalla sinistra: si vada a leggere i giornali dell’epoca».

Raccontò che tra i corridoi si respirava un «sinistrismo di maniera, ostentato in pubblico e poco praticato in privato»…

«Rimasi molto stupito che in fase di rinnovo dei contratti tanti campioni della “libertà di stampa” fossero tosi attaccati al denaro e al patere. Per carità, è sacrosanto e legittimo chiedere il giusto per il proprio lavoro, e combattere perché venga riconosciuto, ma mi faccia aggiungere che un po’ di coerenza con le proprie idee a volte non guasterebbe…».

Sanremo ha fatto scatenare un fuoco di fila. Qual è il primo obiettivo della Rai? Fare ascolti, a tutti i costi?

«Qui a parer mio si apre il grande tema del servizio pubblico».

Che secondo lei ha ancora region d’essere nel nostro Paese?

«Finché resta l’assetto attuale, è necessario che l’Italia abbia un servizio pubblico radiotelevisivo, sì, anche se siamo nel tempo delle multipiattaforme. Quello del servizio pubblico è un concetto che si declina diversamente dal punto di vista giuridico e culturale da epoca a epoca, da Paese a Paese. Se si può trovare un filo rosso tra le diverse esperienze internazionali, è che l’intervento dello Stato – attenzione: intendo come attore diretto, non come regolatore – si giustifica con l’importanza attribuita al mezzo. E cioè la tv, e la influenza sui comportamenti politici e sociali, nonché sulla opportunità di tutelare le radici e l’identità nazionale. Però…».

Però?

«Glielo dico con grande modestia ma avendo conosciuto le cose da dentro: mi sembra che si ponga oggi con imponenza un problema. Legato anche alla nascita delle nuove tecnologie».

Un problema di competizione con le piattaforme?

«No, il problema è che la Rai è nata e cresciuta come Giano bifronte. Le sue risorse vengono dal canone e dal mercato, con la pubblicità. E questo modello ha funzionato nel tempo, ma oggi dal mio punto di vista è difficile da mantenere».

Perché?

«Sintetizzo: se utilizzi il denaro del canone, devi comportarti come un vero servizio pubblico. Se vai sul mercato, l’obiettivo è fare più ascolti possibili. Si comincia a comprendere che le due cose difficilmente sono conciliabili nel mondo dominato da Internet».

Che fare?

«Bisogna decidere ed evidenziare con chiarezza cosa è finanziato dal canone e cosa dal mercato. Questo, tecnicamente è possibile in diversi modi anche ipotizzando due rami d’azienda diversi, due strutture separate, magari che fanno capo a una holding. Sempre all’interno di una struttura pubblica, chiaramente».

Per capirci: si sta immaginando che il canone paghi i telegiornali, e il mercato gli show?

«Questo spetterà dirlo al legislatore. E poi declinarlo con il contratto di servizio che la Rai stipula con le istituzioni. Disciplinando, di volta in volta, gli obiettivi. Il tema è delicato, perché poi c’è il ruolo della sommissione li Vigilanza. A cui spettano numerose decisioni importanti anI che di governance. La cosa importante è cominciare a pensare come si può uscire dall’impasse».
(Continua su La Verità)

 

 

 

 

(Nella foto Mauro Masi)