Pubblicato il 23/12/2022, 19:04 | Scritto da La Redazione

Fabio Fazio: “Io buonista? No, non voglio essere aggressivo”

Fabio Fazio: “Io buonista? No, non voglio essere aggressivo”
Il giornalista e conduttore, che ha scritto a quattro mani con Flavio Caroli il libro sull'arte "Voi siete qui", si racconta a Roberta Scorranese sulle pagine del Corriere della Sera, fra carriera, vita privata e l'emozione di intervistare Papa Francesco.

«Conobbi mia moglie a scuola dandole un bel voto alla recita Sbagliai a cantare al Festival»

Corriere della Sera, di Roberta Scorranese, pag. 33

Alle sue spalle c’è una gigante grafia del Cervino. Perché?

«Perché è la prossima vetta che vorrei raggiungere. Ma non so se alla mia età…».

Appena 58 anni.

«Ma mi sento un boomer, già è tanto che io sia riuscito ad arrivare, camminando, sul Monte Bianco. Hervé Barmasse, straordinaria guida alpina che mi onora della sua amicizia, mi ha lasciato una dedica di incoraggiamento».

Non tutti conoscono questa sua passione per la montagna.

«Sono tante le cose che di me non si conoscono. E c’è da dire che mi sento molto a disagio nel parlare di me. Cerco di fare mia la lezione del grande Enzo Biagi: l’intervista perfetta è quella in cui chi fa domande resta un passo indietro, lasciando spazio a chi deve rispondere».

Con Flavio Caroli, suo grande amico e compagno d’ avventure televisive, ha scritto «Voi siete qui», un libro sull’arte. E lei in questo caso non fa solo domande, vero?

«Per la maggior parte sì, Flavio è il grande esperto. Io faccio la parte di quello che vuol saperne di più, cosa vera, peraltro. Con esempi, aneddoti e analisi da parte sua, abbiamo cercato di far passare il messaggio che l’arte non è qualcosa di freddo e distante, ma è vicina a noi. E per strada, nella vita, nelle case dove entriamo».

Lei colleziona opere d’arte?

«No, ma colleziono ricordi. In vent’anni di Che tempo che fa ho avuto la fortuna di incontrare artisti, architetti e designer straordinari. Ricordo per esempio Vico Magistretti. O Ettore Sottsass. Quello che più mi ha colpito è stato JuEsempi e amici Enzo Biagi fu un maestro, Saviano è un gigante, il talento di Litttzzetto indiscutibile. Di Carlo Fruttero ho un bellissimo ricordo e la sua macchina per scrivere a casa lian Schnabel: semplice, rigoroso, umile».

Che cosa voleva fare da ragazzo?

«il giornalista».

Ce l’ha fatta, no?

«Più o meno. Nella mia testa il giornalista vero è ancora quello che passa le ore in redazione o per strada a cercare le notizie. A casa mia, a Savona, non mancava mai il Secolo XIX, era una bibbia. Ma anche La Stampa e, ovviamente, il Corriere della Sera. Ho un grande rispetto per i giornalisti, tanto è vero che ho avuto l’onore di conoscere bene Biagi».

Lei Io invitò in trasmissione nel 2004, in un momento difficile della sua vita.

«Mancava dalla Rai da due anni, da quando era stato ignominiosamente cacciato (la trasmissione Il fatto venne chiusa nel 2002 con una coda di polemiche, ndr). Fu un rischio perla mia carriera? Certo. Lo rifarei? Ovvio. Ho sopportato per anni l’etichetta di buonista, non è stato facile, mi creda Non sono un buonista, cerco solo di non essere un professionista dell’aggressività. Anche perché non lo so fare».

Vogliamo chiarire meglio questo punto?

«Ci sono giornaliste e giornalisti che vengono invitati in tv o che scrivono libri solo perché utilizzano l’arma dell’aggressività, dell’intrusione nelle vite degli altri. Ma così si smette di essere giornalista, si diventa qualcosa d’altro. Non dimenticherò mai la lezione che ricevetti da Fernanda Pivano. Mi disse che Hemingway una volta corresse un tema a sua nipote perché la bambina aveva iniziato il componimento con la parola “io”. Ci vorrebbe meno “io”, secondo me».

«Io» e «Dio», due termini che ll grande Scalfari accostava volentieri con spirito critico. Però lei ha Intervistato ll Papa. Com’è?

«Incredibile, se posso usare questa parola. Quell’uomo per me è una costante fonte di conforto. Quando mi sembra che tutto vada a rotoli, io rileggo le sue parole, così vere e piene di umanità. Era da tempo che, tramite i suoi bravissimi collaboratori, cercavo di invitarlo in trasmissione. Lui, la prima volta, mi disse: “Fabio, non è ancora il momento, quando arriverà ce ne accorgeremo entrambi, accadrà e basta”».

E poi che cosa avvenne?

«Poi un giorno mi trovavo in studio a fare il montaggio del programma, quando suonò il telefono. Numero sconosciuto. Di solito non rispondo mai quando non riconosco chi chiama. Però quel giorno, non so perché, risposi. Dall’altra parte arrivò una voce: “Sono il Papa”. E io dissi: “Oh, mamma mia”. E lui: “No, al massimo può dire oh, Papa mio”. Iniziò così una delle avventure più belle della mia vita».

Me ne racconta un’altra?

«In trasmissione da me sono davvero venuti tutti. Posso raccontarle l’emozione di intervistare un grande scrittore come David Grossman, il quale aveva da poco perso un figlio. Non parlammo mai di quella perdita, ma lasciammo che trasparisse dalle sue parole. Spesso è più importante quello che non viene detto. Lo capisco adesso, che sono vicino alla pensione».

La pensione?

«Eh cara mia, ho quasi sessant’anni, lavoro da 40 e se dovesse passare la cosiddetta “quota 1o3” io tra due anni lascio. Ho fatto tanto, ho visto tanto, ho una bellissima famiglia. La pensione non mi spaventa».
(Continua sul Corriere della Sera)