Pubblicato il 28/11/2022, 19:04 | Scritto da La Redazione

Certi CEO non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano

Certi CEO non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano
L'ultimo caso è Bob Iger richiamato al timone Disney Ma da Steve Jobs a Kirk Kerkorian, Dorsey, Schultz, è lungo l'elenco dei chief executive licenziati e poi riassunti. Con risultati alterni, secondo molti studi. Così Paolo Matrolilli su La Repubblica - Affari e Finanza.

Le porte girevoli dei manager nelle corporation americane

La Repubblica – Affari e Finanza, di Paolo Matrolilli, pag. 12

A volte ritornano. Spesso, per la verità. In certi casi per quello che gli americani chiamano il “buyer’s remorse”, ossia il rimorso che assale il compratore quando pensa di aver fatto un acquisto sbagliato; in altri per mancanza di fantasia, che ci spinge a cercare rifugio in quello che conosciamo già. Qualunque sia la motivazione profonda, il fenomeno dei “Boomerang ceos”, amministratori delegati riassunti più volte dalle stesse aziende, è piuttosto diffuso negli Stati Uniti. Con risultati alterni, come dimostrano diversi studi, finiti anche sulla Mit Sloan Management Review. Il caso più recente è avvenuto domenica 20 novembre, quando la Disney ha licenziato il ceo Bob Chapek, 62 anni, per rimettere al suo posto Robert Iger, 72 anni. I motivi della marcia indietro sono diversi. Il primo è che nell’ultimo trimestre la compagnia di Topolino ha perso 1,47 miliardi di dollari, e il come ha imposto una riflessione. L’azienda aveva sofferto l’impatto del Covid sui suoi parchi, che però adesso si sono ripresi, tornando alla profittabilità. Allo stesso tempo pensava di recuperare quanto aveva perduto attraverso lo sviluppo del canale streaming Disney+, perché la pandemia ha cambiato le abitudini del pubblico favorendo l’intrattenimento a casa. Ció però non è successo, lanciando l’allarme sul futuro. Chapek in particolare aveva avuto difficoltà nel rapporto con i produttori di contenuti, decisivi per il successo di tutte le strategie di sviluppo, e aveva mancato di comprendere il peso sui dipendenti della disputa col governatore repubblicano della Florida DeSantis. Come quasi tutte le compagnie dello spettacolo, la Disney ha per natura un’inclinazione liberal.

Chapek però voleva limitare le interferenze con la politica, e perciò era stato lento a reagire, quando DeSantis aveva promosso la legge Parental Rights in Education, che in sostanza cancellava l’istruzione sull’identità sessuale e il genere nelle scuole elementari della Florida. I dipendenti erano rimasti sorpresi dalla risposta debole, e quando il ceo aveva preso posizione, il governatore aveva reagito togliendo alla compagnia i privilegi fiscali di cui gode nella zona di Orlando dove operano i suoi parchi più grandi e profittevoli. Così Chapek aveva allo stesso tempo deluso i suoi collaboratori, e irritato DeSantis, perdendo su entrambi i fronti. Il ritorno a Iger quindi è maturato per stabilizzare la Disney sul piano politico, ma anche perché ha un ottimo rapporto con i creativi, fondamentali per lo sviluppo dei contenuti originali e quindi delle attività di streaming che proprio lui aveva avviato. Non è un caso isolato, anzi. Il precedente più eclatante è Steve Jobs, cacciato da Apple e rimasto lontano dalla sua creatura per dieci anni, per poi essere richiamato quando sembrava sull’orlo del fallimento. Il resto è storia, ossia il maxi rilancio realizzato con iPod, iPhone, iPad, eccetera. Discorso simile per Howard Schultz, fondatore di Starbucks, richiamato in aprile come ceo per la terza volta. Oppure di William Stavropoulos, “promosso” presidente da ceo di Dow Chemical nel 2000, ma poi rinominato dal board come amministratore delegato nel 2002 per le mancanze del successore. Stessa storia alla Xerox con Paul Allaire, sostituito come ceo da Thoman nell’aprile 1999 e “promosso” presidente, ma richiamato come capo dell’azienda nel 2000.
(Continua su Repubblica – Affari e Finanza)

 

 

 

 

(Nell’immagine il logo Disney)