Pubblicato il 07/01/2022, 19:03 | Scritto da La Redazione

Elio: Il bello di Italia’s Got Talent è che non si litiga tra giudici

Elio: «Io non rompo e già stato rotto tutto»

Il Venerdì di Repubblica, pagina 108, di Alba Solaro.

A Elio, “quello delle Storie Tese“, al secolo Stefano Belisari, classe 1961, si potrebbe applicare quello che lui dice di Enzo Jannacci: «È una persona seria, che sa anche far ridere». Oggi che il non prendersi sul serio è diventato un lusso, lui torna a lusseggiare in tv (ormai ci ha preso gusto, «e ovviamente non c’è paragone con i guadagni che fai a teatro o con la musica»). Dal 19 gennaio sarà al bancone dei giudici di Italia’s Got Talent, su SkyUno e Now, assieme a Frank Matano, Mara Maionchi, Federica Pellegrini, la conduttrice Lodovica Comello. «Italia’s Got Talent mi ha attirato da subito» dice «perché ha tutti gli aspetti buoni di X Factor e non quelli cattivi».

Quali sarebbero?
«La competizione tra i giudici, i colpi bassi, i litigi, quelle robe insopportabili. A IGT mi sono divertito come un pazzo senza litigare con nessuno».
Ha promesso di insegnare il milanese a Federica Pellegrini, che nella scorsa edizione si esibiva in romanesco.
«Ma no, era per giocare. Anche se baratterei volentieri con un insegnamento del veneto».
Le dà fastidio la romano-centritudine della televisione pubblica?
«Non la sento. Sarà che mi accompagna fin da quando ero piccolo. Mi farebbe molto più strano se le trasmissioni Rai fossero veneto-centriche».
Se avesse una sua televisione, come sarebbe?
«Ah, io farei come la Rai degli anni Sessanta».
Cioè?
«Le trasmissioni iniziano alle cinque del pomeriggio. Prima niente».
E dopo?
«Mettiamo programmi per i più piccoli. È il mio pubblico preferito: quello degli undicenni. L’età dei miei figli».

Che l’adoreranno quando si smutanda in diretta come alla finale di X Factor 2015. La sensazione è che la tv la cerchi perché è l’elemento di rottura, quello dissacrante. È ancora così?
«Non lo so. Questa cosa non mi è mai andata giù. In realtà spero che mi chiamino per altro. A X Factor, oltre che per dare una nota di leggerezza a un tavolo altrimenti pesantissimo, mi cercarono per la competenza. Questo fatto della rottura credo che ormai non esista più. Cosa vuoi rompere ancora? È stato rotto tutto».
Su Wikipedia la presentano come «cantautore, flautista, comico italiano». Si riconosce?
«Solo flautista. Comico immagino lo abbiano scritto dopo Lol».
In effetti a Lol ancora ricordano l’esibizione travestito da Gioconda che suona al flauto la musichetta di Braccio di Ferro.
«Come tante cose nella vita, imparare a suonare il flauto è stato un caso. Ero piccolo, a scuola c’erano i corsi di musica classica. Io avrei voluto fare il pianoforte, ma ho commesso l’errore di andare alla riunione di assegnazione degli strumenti senza la mamma, come avevano invece fatto gli altri. Così mi hanno appioppato il flauto».
Con le Storie Tese non c’è un genere che non abbiate osato. Ce ne sarà però uno che non sopporta.
«Certo: la trap, le robe che vanno forte adesso. Mi risultano incomprensibili».
Che musica ascolta oggi?
«Sempre la solita. Gentle Giant, Genesis, Led Zeppelin, Beatles. Non riesco ad appassionarmi a niente che sia uscito ultimamente. Mi è piaciuta Madame, ci ho passato una giornata insieme e mi ha colpito».

Il 14 gennaio riparte da Ferrara il tour teatrale di Ci vuole orecchio, lo show dedicato a Enzo Jannacci. Ha detto di volergli rendere giustizia perché non è mai stato considerato per quel che era davvero.
«Io ho la mia idea, che potrebbe anche non essere giusta: il problema è che faceva ridere. Qui da noi è una “colpa”. Guarda com’è stato considerato Totò quand’ era in vita. Jannacci era un genio che sapeva anche far ridere. Ma con una canzone poteva strapparti le budella».
Era stato compagno di scuola di suo papà al liceo Berchet.
«Una volta che l’ho incrociato in Rai ho provato a dirglielo: “Sai che mio papà era in classe con te?”. E lui, nessuna reazione. Era un tipo strano. Non che io non lo sia (scoppia a ridere, ndr.)».
La canzone di Jannacci che ama di più?
«Tra quelle scelte per lo spettacolo, mi piace moltissimo Aveva un taxi nero. Il testo è di Dario Fo, la musica di Fiorenzo Carpi, ed è un ritratto di quella Milano degli anni 60 con dentro la follia di tutti loro. Milano è una città che viene raccontata quasi sempre dal punto di vista dell’efficienza, della produttività. E si tralascia quel certo modo di vivere anche assurdo che è proprio tipico milanese e che Jannacci raccontava molto bene».
(Continua su Il Venerdì di Repubblica)

 

(Nella foto Elio)