Pubblicato il 13/07/2017, 15:33 | Scritto da La Redazione
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Netflix: c’è qualcosa che non va, le nuove serie non decollano

Netflix: c’è qualcosa che non va, le nuove serie non decollano
Gli ultimi titoli (Gypsy, Castlevania, Girlboss, Frontiere) non hanno fatto centro. I successi maggiori arrivano dalle riedizioni di quelle vecchie. Così Gianmaria Tammaro su "La Stampa".

Netflix, segnali di crisi: le nuove serie stentano a decollare

Rassegna stampa: La Stampa, di Gianmaria Tammaro.

Cominciamo mettendo i puntini sulle i: Netflix non è una televisione via cavo, non è e molto probabilmente non sarà mai Hbo; non vive di pubblicità, la sua idea di lavoro è legata a doppio filo alla libertà creativa, e il suo modello produttivo è fortemente condizionato dalla continuità di crescita (più persone si abbonano, più si può spendere). Quindi è naturale che le sue serie originali aumentino, e che quelle recuperate da altri network, l’archivio di vecchi titoli, stiano diminuendo. Ed è altrettanto naturale che se uno show non va bene venga cancellato. È la legge del mercato, è così che funziona ovunque – anche, tanto per fare un esempio, alla Hbo che nonostante il fior fiore di nomi coinvolti, la qualità della scrittura e la bellezza della storia, ha dovuto cancellare Vinyl.
Con Netflix il discorso è più complicato. Netflix, negli ultimi anni, ha dovuto contrarre debiti – si parla di circa 800 milioni di dollari – per sviluppare nuove serie. Il problema sorge qualora queste serie non riescano a imporsi. Sono gli effetti collaterali della sovrapproduzione: fare tanto, spesso, non vuol dire fare bene. Gli ultimi titoli rilasciati da Netflix – Gypsy, Castlevania, Girlboss, Frontiere – non hanno fatto centro. Se ne è parlato poco e, cosa forse anche peggiore, se ne è parlato male. Si salvano pochi esempi come Glow (ma quanto è stato visto? E quanti abbonati ha portato alla piattaforma?). Il successo di 13, serie ispirata all’omonimo romanzo di Jay Asher, è un caso piuttosto isolato. Per certi versi, ha ricordato quello di Stranger Things, uscito in questo periodo l’anno scorso. Per altri, ha colto perfettamente lo spirito che Reed Hastings, ceo di Netflix, ha voluto infondere nella sua creatura: la viralità. Che è diversa dal successo di critica e di pubblico: diventare virali vuol dire essere ovunque. Essere visto ma soprattutto essere commentato. Essere trend topic, un tormentone. Anche questo, però, non coincide – non sempre, non per forza – con la qualità.

Quindi che cosa rimane? Le conferme. Le vecchie serie che, esplose tempo fa, in piena golden age della televisione, hanno già attirato un pubblico vasto e interessato. La già citata Stranger Things 2 con l’annuncio della data di uscita (27 ottobre) e il primo poster ufficiale, è riuscita a tornare sulla bocca – e sulla tastiera – di tutti. È ridiventata virale. Stessa cosa per BoJack Horseman: con un tweet, l’account ufficiale del cartoon ha fatto sapere che la nuova stagione sarà disponibile in streaming il prossimo 8 settembre. C’è attesa – non così grande, a voler essere onesti – anche per i Defenders, team-up dei quattro supereroi di casa Marvel (Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage e Iron Fist), che verrà pubblicata il 18 agosto.

Per gli altri titoli, c’è un problema piuttosto evidente. Nessuno è riuscito a convincere – nella corsa agli Emmy ci sono sempre i soliti noti, come The Crown o Stranger Things. Non ci sono The WireSoprano, sicuramente non c’è Game of Thrones su Netflix. Non ancora, almeno. I progetti più ambiziosi hanno avuto una battuta d’arresto. Marco Polo, per esempio, è stata cancellata dopo la seconda stagione – e in molti, tra critica e spettatori, non volevano nemmeno questa. La stessa cosa è successa a Sense8, su cui però Netflix è riuscita a cambiare prospettiva, e a riavvicinare il pubblico.

Quello che abbiamo oggi è una piattaforma con moltissime possibilità, diversi sbocchi produttivi, un’idea piuttosto decisa di creatività. Ma anche con problemi legati al pubblico: averne uno così vasto, circa 100 milioni di persone, richiede anche un compromesso sui contenuti – che non possono accontentare solamente una piccola parte – e sui costi. Se la peak tv, l’abbondanza di titoli e l’impoverimento della qualità, è un fenomeno che ha colpito le televisioni via cavo già qualche anno fa, per Netflix, forse, il peggio è cominciato proprio adesso: bisognerà aspettare altri titoli, come Ozark con Jason Bateman, per capire quale direzione prenderà in futuro. Voler cambiare a tutti i costi le regole del gioco, distruggendo la concorrenza e destabilizzando il mercato (tutto costa di meno, arriva subito e deve puntare a risultati sempre più difficili), ha le sue controindicazioni. E visto che siamo ancora nell’inesplorato, Netflix è tutta in divenire.

 

(Nell’immagine il logo Netflix)