Pubblicato il 08/02/2017, 13:33 | Scritto da La Redazione

Il mitico cartone tv Mazinga Z torna dopo 45 anni

Mazinga Z compie 45 anni e festeggia con un nuovo film

Rassegna Stampa: Quotidiano Nazionale, di Andrea Bonzi.

L’invasione di Mazinga Z e dei robottoni giapponesi

Gli italiani costruiscono auto sportive, i tedeschi elettrodomestici affidabili, i giapponesi robot d’acciaio alti come palazzi. Tipo il Mazinga Z, capostipite dei titani d’acciaio di Go Nagai, creato nel 1972. Quarantacinque primavere, dunque: un compleanno che sarà festeggiato con un nuovo lungometraggio a cui sta lavorando la Toei Animation, annunciato per ora da una misteriosa locandina fiammeggiante. Un anniversario che non può lasciare indifferente un’intera generazione – i quarantenni di oggi – investita in pieno dal fascino dell’animazionegiapponese.

LA PRIMA APPARIZIONE

Mazinga Z spuntava da un’enorme piscina, con le acque che si aprivanoquasi a suggerire una connotazione biblica. Un piccolo aereo a decollo verticale si inseriva nella testa del robot: da lì Koji Kabuto (in italiano Ryo) lo pilotava. Ma quello che colpì gli spettatori più piccoli era il favoloso arsenale del guerriero gigante: dal ‘raggio termico’ che fuoriusciva dalle piastre rosse sul petto, al ‘pugno a razzo’ che si staccava per colpire i nemici e ritornava poi nella posizione iniziale. Nomi indimenticabili, anche perché il pilota li ripeteva a ogni utilizzo. Una mossa geniale per appassionare i bambini, già stregati dal fatto di poter ‘dominare’ questi colossi pronunciandone il nome (lo stesso meccanismo psicologico alla base dellafrequente passione dei piccoli per i dinosauri, se ci si pensa).

BUONI E CATTIVI

E poi il cast di contorno. Gli alleati, prima fra tutti Aphrodite A, automa dalle sembianze femminili che lanciava i seni come razzi (con effetti sulle menti dei ragazzini ancora tutti da approfondire) e veniva regolarmente fatta a pezzi durante ogni combattimento, per riapparire fresca come una rosa la puntata successiva. E poi i nemici, dalle venature horror. Prendete il Barone Ashura, col viso per metà uomo e per metà donna: ai sottoposti urlava ordini con la faccia maschile; ai superiori si rivolgeva più dolcemente col lato femminile. Una personalità complessa, diciamo. Infine, l’orda di mostri, che scatenavano la fantasia dei disegni dei bambini.

UNA SAGA COMPLESSA

A dirla tutta, in Italia, il Mazinga Z arrivò buon ultimo. Il primo anime (così si chiamano le serie o i lungometraggi di animazione giapponese) a fare capolino nella penisola fu Goldrake, che in realtà è il terzo tassello dell’universo di Nagai (il secondo è il Grande Mazinga). Atlas Ufo Robot – questo il nome scelto per la serie dalla Rai, che la trasmise per la prima volta nel 1978 sull’allora Rete 2 – è in realtà un sequel vero e proprio di Mazinga Z. Actarus, il pilota di Goldrake, è infatti un alieno (con buona pace di Trump) giunto sulla terra per sfuggire alla vendetta di Re Vega e pronto a difenderla dai nuovi assalti. La sua spalla, che arriverà a guidare prima un disco volante, poi un improbabile Goldrake 2 e che da noi venne ribattezzato Alcor, è in realtà lo stesso Koji Kabuto, relegato al ruolo di comprimario da un robot più avanzato del vecchio Mazinga Z. Lo schema narrativo era sempre lo stesso: un gruppo di amici, ognuno con un proprio robot, si oppone all’invasione episodio dopo episodio, fino alla vittoria finale, raggiunta generalmente al prezzo di grandi sacrifici (e con i robot generalmente semidistrutti). Il successo, grazie anche a sigle italiane molto orecchiabili che ancora oggi i vecchi appassionati si trovano a canticchiare, fu clamoroso.

L’INVASIONE DEI ROBOTTONI

Le creazioni di Nagai hanno figliato decine di personaggi. Vale la pena ricordare almeno Getta Robot e Jeeg Robot (“Miwa, lanciami i componenti”, declamava Hiroshi, trasformandosi letteralmente nella testa dell’automa), ma negli anni ’80 fu una vera invasione dal Sol Levante. Un’invasione del tutto incontrollata tanto che, si scoprì poi, c’erano anche alcune reti che neppure avevano pagato i legittimi diritti per la trasmissione alle società giapponesi. Una marea di titoli che neppure le richieste di censura delle associazioni di genitori e simili, preoccupate per i contenuti ‘violenti’ degli anime robotici, potevano arginare. Proteste basate spesso sulla bugia che questi cartoon fossero generati a computer (quindi freddi e senz’anima), mentre negli studi giapponesi, in quegli anni, il processo produttivo era interamente fatto a mano su carta e lucidi. Ma l’era della post-verità, per alcuni, era già iniziata.

 

(Nella foto Mazinga Z)