Pubblicato il 03/02/2017, 16:05 | Scritto da La Redazione

Adriano Aragozzini racconta il suo Sanremo anni ’90

Sanremo, le memorie pop di Aragozzini

Rassegna stampa: Quotidiano Nazionale, di Marco Mangiarotti.

Canta lui, splendori, miserie, passioni, tradimenti, segreti e trasgressioni. I suoi 50 anni di canzone italiana. Adriano Aragozzini, giornalista, manager, produttore, direttore artistico del Festival di Sanremo dal 1989 al 1991, firma “Questa sera canto io”, dietro le quinte della scena musicale italiana, dei suoi rapporti privati con i più grandi artisti italiani e stranieri. Dai primi anni ’60 ai giorni nostri, sesso compreso. E love story con Tina Turner.

Adriano i tuoi rapporti di lavoro, da Paoli a Modugno, passano sempre da un’amicizia.
«Li ho sempre impostati così, era l’unico modo per giustificare sacrifici e investimenti, per ottenere risultati. Io ho lavorato con tutti, anche se i miei preferiti erano i cantautori, Gino e Luigi Tenco, la mia storia più lunga, 40 anni, l’ho avuta con Modugno. Ma lo Stadio Olimpico di Roma con Claudio Baglioni fu invidiato da tutti i suoi colleghi».

Racconti i retroscena del mondo della canzone senza omissioni?
«Solo il 10, il 20 per cento, non ho voluto scendere nel gossip o mancare di rispetto a qualcuno, solo scrivere quel che succedeva veramente. Magari dopo averne riparlato con loro. Paoli rideva quando gli ho ricordato che si portava sei o sette signorine in albergo (due volte c’ero pure io). Ci siamo divertiti. Una vota ha sparato con un fucile ai piccioni di una gara di tiro, facendola interrompere, dalla suite romana all’Hermitage, dove aveva portato un pinguino. Nessuno sapeva dove l’avesse preso, quando non sapevamo che fare dicevamo “andiamo a vedere il pinguino di Paoli”. Finché è sparito».

Un’avventura piccante riguarda anche Modugno.
«Eravamo in Brasile e avevamo puntato una splendida modella, ci siamo fatti i dispetti e lei a un certo punto è sparita. L’abbiamo poi trovata in camera con Marcello, il figlio di Mimmo, che non sapeva se ridere o arrabbiarsi».

Come è cambiato Sanremo dalla tua prima volta negli anni Sessanta?
«Era tutto più piccolo, si stava tutti al Savoy, il teatro del casinò aveva 230 posti. Quando mi chiamò Biagio Agnes, direttore generale della Rai, cambiai tutto, c’erano gli interpreti internazionali e la grande orchestra, facevamo sei sette successi l’anno. E gli ascolti superavano il 70 per cento. Il festival di oggi con i vincitori dei talent, Maria De Filippi, bravissima ma volto Mediaset, non lo capisco»

Inedito è il diario di Aragozzini che batte l’intero Sudamerica per piazzare artisti italiani in un mercato vergine che fece poi la loro fortuna.
«Un lavoraccio, non c’era nulla. Discografia, manager, promozione. Ti rispondevano: i dischi li pubblico se me li porti dall’Italia. Non esistevano telefonini, fax ed e-mail, ogni Paese era diverso e non andavano d’accordo fra loro. Ma Nicola Di Bari diventò uno degli artisti più famosi del Sudamerica. E pure in Spagna, quella di Franco, dove io pagavo in lire e incassavo pesetas che non potevo spostare».

Com’erano Las Vegas e New York per un impresario italiano?
«A Las Vegas comandavano gli ebrei, lasciavano solo le briciole grasse agli italiani. A Broadway la mafia si occupava di costruzioni più che di concerti. Ma quando un boss del clan Genovese mi chiese di portare suo nipote a Sanremo dovetti inventarmi una bella storia».

Mimmo Modugno, dopo l’ictus, alla Carnegie Hall è uno dei flash più forti della mia memoria.
«In piedi con il bastone che cantava “Volare” e la gente impazzita, mi sono commosso. Anche se il suo ritorno a Broadway nell’84 fu salutato dal “New York Times” come un miracolo italiano».

 

(Nella foto Adriano Aragozzini nel 1991 al Festival di Sanremo)