Pubblicato il 22/11/2016, 14:30 | Scritto da La Redazione
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Guelfo Guelfi: Giudicate la Rai per gli ascolti

Guelfo Guelfi: Giudicate la Rai per gli ascolti
Il membro del cda di viale Mazzini, in quota Pd, sulle pagine del quotidiano “L’Unità”, analizza i successi della stagione della tv di Stato.

Rai, parlano gli ascolti

Rassegna stampa: L’Unità, pagina 14, di Guelfo Guelfi.

Capita con una certa frequenza che il muro del 40% sia sfondato. Che gli italiani trascorrano la loro serata televisiva sintonizzati sulla Rai. Capita se gioca la Nazionale e questo non sorprende, ma se capita trainati dalla fiction sui Medici, o dai 5.701 mila che non mollano La classe degli asini, combinati con i 2.570 mila che hanno seguito Pechino Express e i 2.623 mila che restano con la Gabanelli e il suo Report, allora credo che si possa dire che il prodotto conta e che il prodotto c’è. Poi ci sono i gusti. Rocco Schiavone, vice questore, qualcuno lo fa arrabbiare, provoca interrogazioni parlamentari, si fa le canne e più che essere manesco ricorda di esserlo stato e lascia che si creda che è pronto ad esserlo. Gli ascolti di Schiavone, oggi alla terza puntata, sono stabilmente intorno ai 4 milioni di spettatori alcuni dei quali si dicono commossi da quella presenza femminile, morbida, motivo di quell’instabilità. Anche Carta Bianca, altro genere, è una nuova bella presenza, 1 milione e 307mila spettatori; Fuori Roma di Concita De Gregorio mentre scrivo fa oltre 1 milione.

I numeri ballano: un po’ meglio, un po’ meno, ma Ia media, il dato di realtà è che uno come Mika, alias Micliael Holbrook Pennirnan Jr., sfonda al debutto 3.312 mila e consente che la televisione pubblica sopporti meglio la qualità di Fiorello su Sky e possa guardare con simpatia lo Young Pope di Sorrentino, 1.500 mila spettatori a puntata, proposto su una piattaforma che per quanto determinata e capace costa qualcosina di più dei 90 euro in bolletta. Il mondo è fatto così. Corre verso realtà alle quali dobbiamo arrivare preparati. La Rai digitale solo quindici mesi fa non esisteva. Se ne parlava, era un qualcosa a cui avremmo dovuto provvedere. La notizia che si sia provveduto, che Rai Play spunti e s’imponga su utenze giovani che davamo per disperse non si trova nella cronaca, nel confronto. Perché davvero quella è una novità nel panorama dell’offerta e delle modalità d’uso del prodotto audiovisivo nel nostro Paese.

Questa è una vecchia storia fanno più righe i flop di Politics che i ronds de jàmbe di Bolle, 3,5 milioni di spettatori. I numeri, se troviamo il tempo di guardarli, descrivono un Paese, il nostro, che a sera ha ancora voglia di uno spettacolo come quelli di Carlo Conti. Tale e Quale non molla i suoi 5 milioni da affezionatissimi. La signora della porta accanto ha ancora voglia di fiction come Braccialetti Rossi e non disdegna le belle sorprese come Donne i mini film scritti da Andrea Camilleri che raccoglievano 4 milioni di telespettatori. Ecco intorno a questo, intorno ai risultati, infuria la polemica che tiene stretto in mano il pretesto: “il pensiero unico”, “il bavaglio”, “I compensi”. Va beh credo che si sappia che in Rai il tetto ai compensi non può superare 240 mila euro annui. Giusto o ingiusto che sia è ormai una realtà. Che questo tetto si applichi anche agli artisti invece è ancora cosa da discutere. Continueremo a competere sul mercato dell’offerta radio televisiva. A darci ragione o torto saranno le cose di cui ho cercato di parlare: i risultati d’ascolto e di gradimento.

 

(Nella foto la sede romana Rai)