Pubblicato il 01/08/2016, 16:03 | Scritto da La Redazione
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Marcello Veneziani: In Rai me la tiravano dietro. E vi stupite degli stipendi?

Marcello Veneziani: “Gli stipendi Rai e quelle che te la tirano dietro?”

 

Rassegna stampa: Libero, pagina 9, di Luca Telese.

Il giornalista e saggista: “I cedolini d’oro sono espressione delle stagioni politiche. Salvini e la Meloni bravi, ma serve di più. Di Maio? Sarà un naufragio”

Marcello, sei contento che il centrodestra abbia un nuovo leader?

«No. Non credo che lo abbia».

Parisi non è la figura giusta per rilanciare la coalizione?

«Non si recupera un largo consenso con una figura non antagonista rispetto a Renzi».

Parisi non lo è?

«Assolutamente no: lui è un liberale, giusto?»

Lo dice lui stesso.

«Quindi non ha senso proporlo. Perché mai si dovrebbe desiderare una alternativa liberale a Renzi? Renzi è già, tecnicamente, liberale. Parisi vuole ricostruire una gamba moderata».

Non capisco: Renzi e il suo governo, hanno grandissimi limiti, ma almeno su una cosa non possono essere attaccati: sono “moderati”.

«Spiegati».

Martina è estremista? Del Rio radicale? Padoan è un bolscevico? Vuoi riscrivere le geografie politiche?

«No, semplicemente capirle. Se nel 1994 sfidavi Occhetto aveva senso definirsi “liberali e moderati”. Ma se nel 2016 sfidi Renzi ti servono altre caratteristiche: queste due lui le ha già. Su questo terreno sai già che perdi».

E da dove dovrebbe ripartire il centrodestra?

(Sospiro, sorriso) «Hai una decina di ore a disposizione?»

Marcello Veneziani è uno degli intellettuali più apprezzati del centrodestra, anche se è lontano dai riflettori: ha portato in scena in mezza Italia il suo monologo, ha metabolizzato la fine del suo mandato in Rai con un sospiro di sollievo: «Accettare è stato un errore. Lo scandalo stipendi stupisce solo chi non conosce viale Mazzini».

Iniziamo da qui: a che ti riferisci?

«Ogni stipendio d’oro è come una pietra miliare, la memoria di un’era geologica trascorsa».

In che senso?

«Tra quelle buste paga ci sono ancora contratti demitiani, veltroniani… la Rai incorpora le stagioni politiche e le assunzioni una nell’altra, come fossili».

E quindi?

«Che si stupisca la gente lo capisco, che lo facciano i giornalisti no».

Torniamo al centrodestra.

«Ripartiamo da lui, Silvio Berlusconi. Ha subito un golpe giudiziario che avrebbe ammazzato chiunque, non è caduto».

Parli della decadenza?

«Di tutto: la decadenza dal Senato, e la lettera della Bce. Due anni di guerra a cui ha resistito in modo incredibile».

E oggi?

«È il padre fondatore di una coalizione. Ha introdotto il bipolarismo. Ma oggi c’è una novità che non molti hanno capito, spero lui sì».

Quale?

«C’è Renzi e lui non può più candidarsi: la sua missione è consumata, finita».

Dicevi dei “moderati”.

«Ripeto. “Moderati” è una parola insensata. Ci sono forse pericolosi estremisti e noi siamo “moderati”»?

Io no, ma qualcuno a destra può essere tentato.

«Nel mondo da Trump a Putin tutto quello che si oppone alla sinistra ha contenuti forti, identità, capacità di battaglia contro il senso comune».

Dipende anche dagli avversari.

«Appunto. Il Pd è per l’economia di piano? Chi lo dice raccoglie sonore risate».

E tu che argomentazione useresti?

«Gli altri rappresentano i poteri economici: establishment, vincoli europei, finanza…».

Parisi non può sfidarli su questo?

«Non credo che voglia! Ha una bella immagine ma non è un leader di appeal. È “un amministratore delegato”. Qui serve un condottiero».

Sei un po’ cattivo con lui?

«È Berlusconi che lo ha definito così. Viene chiamato con un incarico, fa il tecnico su mandato».

Meglio Salvini?

«Salvini motiva di più, ma non è il leader. Lui interpreta un filone, la Meloni un altro. Fanno bene il loro lavoro ma serve una sintesi in più».

Chi?

«Non faccio totonomi, disegno un identikit».

Vai.

«Il centrosinistra è il tempio del politicamente corretto. Il primo atto di un leader antagonista è non riconoscersi nel politically correct».

Questa secondo molti azzurri sarebbe una deriva populista?

«Mi meraviglia che lo dicano loro: Berlusconi ha vinto proprio quando lo ha fatto, e in maniera scientifica».

La destra esiste ancora come identità politica?

«Bella domanda. Dopo la fine di An c’è un’area di opinione che è come sospesa, ma non si riconosce in uno spazio politico».

E Fratelli d’Italia?

«La Meloni, con dignità, interpreta un parte di questa identità. Ma molto resta fuori».

Cosa le manca?

«A lei nulla. Intorno a lei tutto. Manca un mondo: giornali, intellettuali, radicamento territoriale».

E può crescere?

«Può: ma deve costruire una realtà più grande, trascendere i limiti di un partitino che le sta stretto».

Cosa ha distrutto l’unità della destra?

«Due-tre errori di Fini che ancora non sono stati capiti. Ha rotto con Berlusconi, forse era scritto: ma ha sbagliato, perché lo ha fatto troppo tardi o troppo presto».

Secondo errore?

«Mentre apriva questa sfida titanica, Fini ha rotto anche con la sua storia. Non puoi avere due nemici insieme, in politica, mai».

E poi?

«Non puoi dare messaggi contraddittori. Rompere con Berlusconi per andare a sinistra? Folle».

Sei nostalgico?

«Il contrario. Sono fra chi non voleva più un dignitoso partito neofascista, ma almeno un partito di destra. Che facesse qualcosa di destra dal governo».

Anche tu sei stato “destra di governo”, però. Anche tu hai fallito.

«Alla Rai? Questo è certo».

Perché?

«Appena nominato diventi un satrapo. Anche ai tuoi stessi occhi».

Sei così severo?

«Quando ho provato a fare delle cose mi sono trovato in una solitudine totale».

Ad esempio?

«Tentai di fare RaiFutura, un laboratorio di format e talenti. Nulla di quel che volevo ha preso forma».

Ti sei mai montato la testa?

«Mai».

Sei stato corteggiato come membro del Cda?

(Ride) «Molto. Tante ragazze che improvvisamente ti considerano un sex symbol».

Fammi un esempio.

«Vorrei incorniciare una intercettazione del portavoce di Fini con un tipo che gli diceva più o meno: chiedi a Veneziani di fare entrare quella soubrette?»

E lui?

«Dice: “Veneziani pensa solo alle minchiate culturali”. Medaglia».

Sei lepenista?

«La Le Pen non va imitata. Ma capita».

Perché?

«È riuscita a fuoriuscire dal l’estremismo e dal folclore».

Sei antieuro?

«Il problema non è lasciare l’Europa, ma rifarla».

E oggi si può?

«Oggi si diventa potenziali premier solo per comparsate tv. Mi riferisco ai M5s».

Non credi a Di Maio?

«Sarà un mezzo naufragio. Possono vincere qui o lì, ma non hanno gli strumenti politici primari».

Raccolgono bene il consenso…

«Sì, ma come? Vivono del mito della verginità: “Non ho precedenti votatemi”. Follia».

Sono d’accordo con te, ma vincono.

«La loro virtù è anche il loro tallone d’Achille. Vincono perché ventilano una innocenza che non può restare tale».

Di Maio e Di Battista hanno padri di destra.

«Vengono dalla storia missina, si vede: hanno respirato in culla parole chiave come “onestà” e “antisistema”. Ma solo queste non bastano a costruire un progetto».

Anche tu vieni da lì.

«A 15 anni fondo una sezione a Bisceglie e divento segretario del Fronte della gioventù».

Eri anticomunista?

«Anti-moroteo e ami-democristiano. In antitesi al potere, che da noi aveva quella faccia. I comunisti per me erano avversari ideologici, non nemici».

Te ne vai presto.

«A 17 anni. Avevo divorato Prezzolini, Evola, Mishima, il fascismo sociale, che io leggevo in antitesi al nazifascismo».

Perché lasci la politica?

«Mi aspettavo molto, ho avuto una grande delusione. Toccavo con mano elettoralismi e convenienze».

Diventi giornalista.

«Ho iniziato a scrivere per il Tempo, edizione pugliese».

Vieni assunto?

«Nel 1980. A Roma!».

Raccontami di Ciarrapico?

«Era l’unico che aveva i mezzi per fare attività editoriale. Lo convinsi ad acquistare il catalogo dei libri del Borghese, le edizioni Volpe: Berlo Ricci, Spengler Junge».

Che rapporto avevi con lui?

«Gli davo del lei, zero battute. Emerse presto un dissenso tra noi. Lui era affascinato dall’idea del fascismo come impresa eroica e militare. Aveva appena comprato Fiuggi, voleva la Rizzoli».

E come finisce?

«Un giorno mi fa: “Veneziani, voglio affidare la casa editrice a mio figlio”. Punto. Avevo 32 anni, moglie e due figli a carico».

Fondi Italia settimanale.

«Il mio figlio prediletto».

E dopo?

«Vado all’Indipendente con Feltri. Faccio nascere Lo Stato. Poi con Vittorio uniamo il suo Borghese e Lo Stato. Diventiamo amici».

Finché?

«Vittorio decide di fondare Libero. Un giorno scopro che il nostro inserto non è stato pubblicato. Gli chiedo: “Perché?”. E lui: “Lo sopprimiamo”. Vendeva 25mila copie!».

Netto.

«Molto. Vittorio è così: senza rancore, me ne vado. Scrivo sul Messaggero e La Repubblica, chiamato da Antonio Polito».

Poi torni a scrivere sul Giornale e poi su Libero.

«Ma a destra ho dei problemi».

Di che tipo?

«Me la prendo con un fenomeno che definisco “La pascalizzazione”. Non era un argomento popolare, per intuibili motivi».

E oggi come ti senti?

«Colgo i messaggi. Mi sento come il fu Mattia Pascal. Mi godo la mia morte civile».

La sinistra coccola i suoi intellettuali e la destra li maltratta?

«Perché la sinistra ha l’idea dell’egemonia e sa come praticarla».

E la destra?

«Ha un’idea militare: figure di riferimento sono il prete e il soldato».

Credere, obbedire e combattere?

«Già. Io sono per “Pensare, dubitare e dibattere”. A destra non ti perdonano di essere intellettuali, c’era molto da dubitare».

E poi?

«A sinistra sono faziosi e leggono solo a sinistra. A destra sono obiettivi, e quindi non leggono nulla».

Sembri disincantato.

«Ho sempre coltivato una grande simpatia per i vinti, dagli atzechi ai mohicani: lo sono diventato».

Ti compiaci nel culto della sconfitta?

«No. I vinti vincono in cielo».

 

(Nella foto Marcello Veneziani)