Pubblicato il 04/07/2016, 11:32 | Scritto da La Redazione
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La Rai in mano agli amici di Vanity Fair

Vanity Rai: da Verdelli a Bignardi, una grande famiglia

 

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 6, di Tommaso Rodano.

Le ultime nomine della tv pubblica attingono a piene mani da un gruppo di colleghi che si è formato (anche) nella rivista di moda e costume. Tra cui Lerner, Romagnoli e Gramellini.

Altro che lottizzazione: vanyficazione. Nel senso della rivista di moda e costume. C’era una volta la Rai di Umberto Eco, Furio Colombo, Angelo Guglielmi: quelli del Gruppo ’63, l’avanguardia culturale del Paese. Oggi l’élite di viale Mazzini attinge da altri serbatoi: la nuova Rai a trazione renziana negli ultimi mesi si è riempita di giornalisti e professionisti dello stesso giro, un circolo che si è raccolto attorno alle pagine patinate di Vanity Fair. Si è partiti dal responsabile editoriale Carlo Verdelli che fu alla guida del settimanale dal 2004 al 2006 e si è scesi sempre più giù. Da New York a viale Mazzini Quella italiana è la versione più giovane della rivista di moda e cultura fondata dal newyorkese Condé Montrose Nast nei primi anni del ‘900. In Italia Vanity Fair compare brevemente come mensile nel 1990, diretta da Paolo Pietroni, per chiudere i battenti dopo meno di due anni. Poi torna in edicola come settimanale nel 2003. È un discreto successo editoriale: anche in questi anni di crisi nera del settore, la rivista mantiene vendite vicine alle 100mila unità (ad aprile 2016, ultimo dato Ads, sono circa 92mila). Verdelli è stato il suo secondo direttore: l’incarico a Vanity dal 2004 al 2006, durante il quale viene insignito del prestigioso Premiolino, è uno dei mattoni della carriera che lo porta prima a dirigere la Gazzetta dello Sport, poi ai vertici della tv pubblica. In mezzo, la carica di vice presidente esecutivo di Condé Nast in Italia, il gruppo editoriale che pubblica appunto VanityFair, oltre che Vogue, GQ, Glamour, Wired e una serie di altre testate.

Lo squadrone siamo noi Dalla nomina di Verdelli in poi (novembre 2015), la squadra del giro Vanity in Rai è stata progressivamente arricchita grazie a una sostanziosa campagna acquisti. La tessera più prestigiosa del mosaico è la direzione di Rai 3, affidata a Daria Bignardi. L’ex La7 ha iniziato a collaborare con la rivista nel 2005, proprio nel biennio della direzione Verdelli. La giornalista è tuttora titolare di una rubrica “barbarica” sul settimanale cartaceo (ultima puntata: “I capelli di Beyoncé e la fatica di essere buoni”) e di un blog sul sito internet (che riprende gli stessi articoli). Proprio la Bignardi ha richiamato all’ombra dell’agonico cavallo di mamma Rai la stessa persona che le aveva concesso per la prima volta l’ingresso nella corte di viale Mazzini: fu Gad Lerner a volerla nella redazione di Milano Italia ben 25 anni fa. Lerner, sotto la regia di Daria, torna sulla terza rete con una trasmissione sull’Islam contemporaneo. Fino al 2013 aveva una rubrica fissa su Vanity Fair (poi tagliata brutalmente in contemporanea con la risoluzione del suo contratto con La7). Il secondo acquisto di Verdelli dal serbatoio Condé Nast è quello di Pino Corrias, ex collaboratore anche del Fatto e firma storica di Repubblica, fino a febbraio titolare di una rubrica fissa su Vanity Fair: Todo Cambia. Corrias è stato chiamato a viale Mazzini proprio per fare il vice di Verdelli, una posizione in cui è approdato negli ultimi giorni anche Francesco Merlo: l’altro incrocio ricorrente nella Rai di era renziana è con Repubblica. C’è anche Gabriele Romagnoli. Penna di prestigio tra le altre di Repubblica (appunto) e Vanity Fair. Poi la direzione di GQ (ovviamente edito da Condé Nast) e infine l’arrivo a Saxa Rubra, da febbraio 2016, come direttore di Rai Sport.

Il circolo peraltro non comprende solo giornalisti. Anche il nuovo direttore della comunicazione della Rai di Campo Dall’Orto si è fatto le ossa nella stessa azienda dei nomi sopracitati: Giovanni Parapini ha lavorato quattro anni per Condé Nast Italia da responsabile pubblicitario di Vogue e ca va sans dire Vanity Fair. Nei nuovi palinsesti Rai ci sarà più spazio pure per Massimo Gramellini. L’editorialista della Stampa ha perso la sua rubrichetta al termine di Che tempo che fa di Fabio Fazio, ma non scomparirà dal sabato sera della terza rete. Anzi: avrà una trasmissione tutta sua in prima serata, nella quale si occuperà di stilare la personale classifica delle dieci parole della settimana. Quasi superfluo aggiungere che anche Gramellini scrive su Vanity Fair, dove cura la rubrica della posta Ricominciamo. Condé Nast una storia d’amore Insomma, il servizio pubblico s’è inzeppato di professionisti cresciuti, a vario titolo e in diversi periodi, all’ombra delle riviste di Condé Nast, ma i rapporti non finiscono lì: nel 2015 la Rai ha siglato un accordo con gli editori di Vanity Fair per la realizzazione di un canale telematico sul sito della compagnia. Si chiama CNLive Cinema, è online dal 15 maggio 2015, ha una sezione dedicata ai video prodotti da Rai Cinema Channel.

Prima ancora, la casa editrice di Vanity aveva siglato un altro accordo con la tv di Stato. A marzo 2014 Condé Nast ha lanciato sui canali Rai un nuovo format pubblicitario chiamato Type. Gli esperti del settore li definiscono pomposamente “premium brake”, ma di altro non si tratta che di clip pubblicitarie “d’autore”, la prima delle quali fu lanciata durante un’interruzione di Che tempo che fa. Nulla destinato a cambiare in modo irreversibile la storia della televisione e dell’editoria, ma la conferma che quella tra la compagnia con base a New York e il cavallo morente con base a viale Mazzini è diventata una piccola grande famiglia.

 

(Nella foto Daria Bignardi)