Pubblicato il 08/03/2016, 11:32 | Scritto da La Redazione
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Monica Maggioni: “C’è un’ultima barriera, i luoghi comuni” – I tg Rai diventano rossi (con sfumature rosa)

Rassegna stampa: La Stampa, pagina 16, di Vittorio Sabadin.

Monica Maggioni: “C’è un’ultima barriera, i luoghi comuni”

Il presidente Rai risponde ai lettori de ‘La Stampa’. “La donna nella versione politica e potere non è accettata”.

La pubblicazione su La Stampa di un articolo che conteneva apprezzamenti sulla pettinatura e sulle «guance rubizze» della Cancelliera tedesca Angela Merkel ha causato la reazione di alcuni lettori, che lamentavano i continui riferimenti riservati dai media all’aspetto fisico delle donne, un trattamento dal quale gli uomini sono risparmiati. Abbiamo così sollecitato i lettori a inviare al sito web del giornale le loro considerazioni sulla discriminazione di genere nel giornalismo e chiesto alla presidente della Rai, Monica Maggioni, di rispondere. Lo stesso era avvenuto tempo fa con le domande poste dai lettori al poeta siriano Adonis dopo le aggressioni alle donne di Colonia. Monica Maggioni è stata una delle prime inviate di guerra del Tg1 sul fronte iracheno, conduttrice del Tg1 e direttrice di Rainews 24. È forse la persona più adatta a parlare della discriminazione di genere nei media.

Una lettrice, Beatrix Napoleone, scrive che la descrizione della Merkel rappresenta un esempio di sciovinismo: non è forse bella, ma merita rispetto.

«Credo che, se un giornalista incontra una persona, sia inevitabile che dedichi un po’ di spazio a descriverla: in una personalità ci sono sempre elementi esterni che hanno un valore. Ma è indubbiamente vero che questa possibilità sembra diventare imprescindibile quando il soggetto che s’incontra è una donna. Al suo aspetto esteriore, se è grassa o magra, se è vestita bene o male, si dedica attenzione. C’è una dominante di sguardo che viene raramente riservata agli uomini».

I luoghi comuni sulle donne sono duri a morire, scrive Elisa Malizia. Le atlete e le scienziate sono «belle e brave», le donne impegnate in politica sono «pasionarie» o suffragette.

«Ha ragione. Il linguaggio stereotipato è un grande problema dell’informazione italiana e i luoghi comuni abbondano, soprattutto nei riguardi delle donne. Questo sguardo diverso sulle donne sembra una barriera impossibile da demolire. È incredibile, se si pensa a come l’evoluzione del mondo femminile sia stata straordinaria in questi ultimi anni. Eppure, anche nel linguaggio, siamo fermi alla visione delle donne che c’era negli Anni 50».

Gianni Celata e Flavia Marzano, due altri lettori, pensano che non ci sia nulla da fare: siamo un Paese sciovinista e questa è una caratteristica italiana.

«Non credo che sia così, perché siamo in ottima compagnia. Basta pensare agli apprezzamenti che negli Stati Uniti si fanno su Hillary Clinton. Ma noi ci mettiamo del nostro. Abbiamo un’eredità culturale difficile da sradicare: la donna nella versione “politica e potere” non è accettata».

A questo proposito, Luigi Bentivoglio scrive che i discutibili apprezzamenti rivolti alle donne in politica sono figli di un clima creato da Berlusconi. È lui che ha cominciato, piazzando le donne del capo.

«No, questa è una pessima eredità del nostro Paese che Berlusconi ha amplificato, ma non creato. Accadeva anche prima, a causa della nostra arretratezza culturale. La donna del capo è sempre stata uno stereotipo della politica. Si fanno ammiccamenti stupidi, pensando forse di essere simpatici, ma di simpatico c’è ben poco e spesso si colpiscono donne molto in gamba. Lo sguardo degli avversari politici va anche qui alla dimensione femminile e, a volte, la giovane età diventa un ulteriore elemento a detrazione».

Un altro lettore, Osvaldo Paglietti, ha giudicato irriguardosa la descrizione di una cantante di Sanremo comparsa su La Stampa.

«Credo che le donne dello spettacolo debbano restare fuori dai canoni. Se non ricevono critiche sgradevoli e becere, è giusto occuparsi del loro aspetto esteriore, al quale dedicano tempo e attenzioni proprio per farsi notare».

Marco Marchetti dice che all’aspetto tengono molto anche alcune conduttrici di tg della Rai, Mediaset e La7. A volte si vestono e si truccano come se l’aspetto fosse più importante di ciò che dicono.

«Ho fatto la conduttrice e sono stata per ore in camerino a farmi truccare insieme con i colleghi maschi. Posso assicurare che anche loro sono altrettanto interessati all’aspetto esteriore. La vanità unisce i sessi e non conosce barriere».

Citando un editoriale di Emanuele Felice, che ricordava come l’Italia sia al 63° posto su 136 Paesi nell’indice di differenza di genere, la lettrice Laura Buzio dice che i media potrebbero fare qualcosa. E li invita a cominciare non indicando più nei titoli la nazionalità di chi è protagonista di un fatto di cronaca.

«Si può certamente cominciare, cercando di ridurre il numero di “esperti” maschi che vengono intervistati o invitati in tv, chiamando anche donne che non sono certamente meno esperte. E sarà un gran giorno quello in cui non leggeremo più titoli nei quali si dice che un incidente stradale è stato provocato da uno straniero. Gli imbecilli, anche alla guida, sono tutti uguali».

 

Rassegna stampa: Il Giornale, pagina 6, di Laura Cesaretti.

I tg Rai diventano rossi (con sfumature rosa)

Varetto, Gruber e Annunziata Tre donne di sinistra in corsa per i Tg Rai.

Un tris tutto in rosa per i futuri Tg della Rai: sembra essere questa la carta che i nuovi vertici di Viale Mazzini dell’era renziana tengono in serbo per i prossimi mesi. Tre donne al timone, tre professioniste coi controfiocchi sulle quali sia difficile montare polemiche e alzare polveroni, nonostante la loro connotazione tendenzialmente (in alcuni casi decisamente) di sinistra: e i nomi che circolano con più insistenza corrispondono all’identikit. Sarah Varetto al Tg1, Lilli Gruber al Tg2 e a sorpresa il ritorno di Lucia Annunziata al Tg3. La prima ha credenziali di tutto rispetto, visto il solido successo del suo Sky Tg24. La seconda, dopo una lunga carriera in Rai da anchor woman e inviata di guerra e una parentesi politica da eurodeputata Ds, conduce da anni con unanimi riconoscimenti di imparzialità la trasmissione Otto e mezzo su La7, e difficilmente può essere accusata di eccessi filo-renziani. La terza, poi, non ha certo risparmiato al premier critiche pungenti sia dalla testata online Huffington Post, di cui è direttrice, come dagli schermi di Rai 3 dove conduce la domenicale rubrica In mezz’ora.

Anche se, fanno notare i maligni a sostegno dell’ipotesi che vede la Annunziata, ex presidente della Rai, in corsa per sostituire Bianca Berlinguer, da qualche tempo Huffington Post sta un po’ moderando i toni più aggressivamente anti-renziani. Il Tg3 è attualmente la spina nel fianco dei renziani, come testimoniano le frequenti sfuriate del parlamentare Michele Anzaldi, membro della Commissione di vigilanza per il Pd, contro la gestione dell’informazione politica della testata. Troppo anti-premier, troppo vicino alla minoranza bersanian-dalemiana del Pd. Sostituire Berlinguer con Annunziata allontanerebbe ogni sospetto di normalizzazione filo-govemativa, e difficilmente la redazione e la fronda anti-renziana del Pd potrebbero gridare al golpe. Andrà così? È presto per dirlo, perché il direttore generale Campo Dall’Orto non ha alcuna fretta di procedere: «Ora lavoriamo al prodotto, e tra qualche mese sceglieremo le persone che meglio lo rappresentano», ha detto pochi giorni fa a Repubblica a proposito del turn-over nei tg. Neppure a Palazzo Chigi mostrano impazienza: prima delle elezioni amministrative di giugno, nelle testate Rai non si toccherà nulla.

Del resto, fanno notare gli addetti ai lavori, il Tg1 di Mario Orfeo e il Tg2 di Marcello Masi fanno ottimi ascolti, fronteggiano bene la concorrenza e non suscitano attacchi o polemiche politiche. Diverso il discorso per il Tg3, ma anche quello può aspettare. Nel frattempo, il dg si concentra sul «prodotto» e annuncia novità nel settore dell’intrattenimento: via la morbosa cronaca nera da Domenica In e le lacrime facili dai programmi pop: «Una scelta che pagheremo in termini di ascolti, ma è questo che intendo quando parlo di servizio pubblico», spiega. Quanto all’informazione e ai talk show, vengono recisamente smentite le voci sulla soppressione di trasmissioni di inchiesta come Report. E il «marchio Ballarò» sembra destinato a restare, con un probabile cambio di testimone da Massimo Giannini ad Andrea Vianello.

 

(Nella foto Monica Maggioni)