Pubblicato il 04/03/2016, 13:34 | Scritto da La Redazione

Direttori e conduttori Rai: il regime di De Benedetti – Rcs, il mercato fa il tifo per Cairo

Rassegna stampa: Il Giornale, pagina 8, di Fabrizio De Feo.

Direttori e conduttori Rai: il regime di De Benedetti

La rete dell’editore: da Giannini a Verdelli, chi oggi occupa posti chiave nella tv di Stato ha un passato a “Repubblica”. Il centrodestra denuncia: “È il padrone dell’informazione”.

Con la fusione la rete dell’Ingegnere controllerà più del 20 per cento dell’informazione italiana. Rcs scende in Borsa ma smentisce la fusione con il Sole 24 ore. La Grande Concentrazione. Il giorno dopo la fusione delle due società editoriali L’Espresso e Itedi e il matrimonio tra Repubblica e Stampa, la politica si interroga con timidezza pari all’indignazione riservata in tempi recenti all’operazione Mondadori-Rizzoli sui riflessi della nascita di un grande polo da 750 milioni di ricavi capace di controllare circa il 25% dell’informazione italiana. Alla Camera, in un Transatlantico in formato giovedì pomeriggio, con i trolley nascosti dietro le poltrone e la testa all’orario del treno in partenza, non si respira certo la preoccupazione che in altri tempi quelli dei girotondi e degli appelli degli intellettuali per la libertà di informazione era di ordinanza. Difficile sentir risuonare la parola «pluralismo» oppure imbattersi in ragionamenti sui riflessi politici, editoriali, identitari, di relazione con il territorio innescati dalla rivoluzione editoriale appena consumata. Di domande ce ne sarebbero. Ad esempio: quale sarà il prossimo passaggio, la prossima conquista o la prossima tentazione di Carlo De Benedetti?

Come si svilupperanno ora i rapporti tra la maggioranza renziana e il nuovo polo editoriale, certo non ostile al premier? Senza dimenticare la presenza in Rai di professionisti e giornalisti di rango che possono vantare un passato nel gruppo dell’Ingegnere o collaborazioni recenti o lontane nel tempo con Repubblica come l’ex vicedirettore del quotidiano, Massimo Giannini, oggi conduttore di Ballarò; il neodirettore di RaiSport, Gabriele Romagnoli, il direttore editoriale dell’informazione Rai, Carlo Verdelli (il cui curriculum è però segnato soprattutto dalla lunga militanza in Rcs) o il vicedirettore del Tg2 Stefano Marroni. Di certo il trait d’union naturale per questa operazione sarà Mario Calabresi, oggi direttore del quotidiano di Largo Fochetti dopo una carriera iniziata all‘Ansa e poi sviluppatasi tra Stampa e Repubblica. Naturalmente restano da superare alcuni passaggi. L’Antitrust attende i dati dell’Agcom sulle sovrapposizioni delle vendite provincia per provincia per esprimersi. Ma certo non sembra esserci nel Paese e in Parlamento un clima da tempesta montante. I grillini si disinteressano del caso. Nel Pd si leva una voce solitaria, quella di Michele Anzaldi che giudica la fusione «una cosa negativa perché meno pluralismo c’è, peggio è, ma vista la crisi mi pare un atto dovuto».

L’ex direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, non vede rischi per il pluralismo, «piuttosto da milanese mi preoccupa il destino del Corriere della Sera». Il leader della minoranza Pd, Gianni Cuperlo, individua nella concentrazione editoriale «un elemento di preoccupazione» e fa notare come Repubblica ultimamente, vista la sua linea editoriale sia meno «giornale-partito» e più «partito-giornale». Sulle barricate sale comprensibilmente il centrodestra. «De Benedetti è il nuovo padrone dell’informazione in Italia. Che ne dice Renzi? Un conglomerato di interessi e finanza di questo tipo è una cosa mai vista» attacca Renato Brunetta. Augusto Minzolini un passato da cronista politico di razza proprio alla Stampa fa rilevare la «mastodontica concentrazione di potere editoriale» e paventa un rischio di subalternità per il quotidiano torinese, oltre a soffermarsi sulla differenza antropologica dei due giornali nel rapporto con la politica. Va dritta al punto Daniela Santanchè: «Povero Avvocato, consegnano il suo giornale al suo principale nemico. Dove sono i giornalisti e il loro sindacato? Se i protagonisti fossero stati altri sarebbe già scattato lo sciopero? E invece tutti zitti, allineati e coperti».

 

Rassegna stampa: MF, pagina 3, di Andrea Montanari.

Rcs, il mercato fa il tifo per Cairo

L’editore-pubblicitario, socio al 4,6%, viene visto come il potenziale nuovo socio forte. Mentre restano da decifrare le possibili mosse di Della Valle e Bonomi. Mediobanca e Unipol garantiranno stabilità e continuità. Intanto l’incertezza pesa sul titolo a Piazza Affari: -7,8%.

Tutte, o quasi, le strade portano a Urbano Cairo. Lo pensano gli addetti ai lavori, lo sostiene il mercato e lo ipotizzano gli analisti. Del resto, di tutti i soci di Rcs Mediagroup il patron della Cairo Communication, che ha il 4,6% del gruppo di via Rizzoli, è l’unico che abbia esperienza diretta e vincente nel business editoriale e quando prese la guida di La7 dimostrò di saperci fare con i risanamenti drastici di business mal gestiti. Solo che Cairo per ora si tiene alla larga dalla contesa Rcs; da mesi va ripetendo di non essere interessato e di essere concentrato sulle sue attività, Torino Calcio compreso. Eppure ieri Equita sim in un report è tornata alla carica: «Una soluzione potrebbe essere l’aggregazione di Rcs con Cairo Communication, che ha una forte credibilità nel generare efficienze che potrebbe emergere se prendesse il controllo» della Rizzoli. Inoltre la società dell’imprenditore piemontese ha una cassa di oltre 100 milioni «e quindi il nuovo gruppo avrebbe un leverage inferiore a 2,5 volte l’ebitda», specifica l’analisi di Equita. «Per Cairo, in caso di un’eventuale aggregazione, la creazione di valore sarebbe tangibile solo in caso fossero attuabili sinergie pari al 10% della struttura di costi di Rcs». Non va però trascurato il fatto che in questo momento le attenzioni di Cairo sono tutte per La7, che ha chiuso il 2015 con un ebit negativo di 4,9 milioni e una raccolta pubblicitaria in flessione del 7,7%, mentre gli ascolti (dati Auditel di gennaio) sono fermi al 3,3%. In più, da mesi deve guardarsi le spalle dall’agguerrita concorrenza di Sky Italia, che ha rilevato il canale 8, e di Discovery, che preso possesso 01 canale 9.

E nell’ambito di questo scenario che più di una fonte di settore interpellata da MF-Milano Finanza suggerisce di valutare con attenzione il merger Cairo-Rcs, che garantirebbe una potenziale significativa crescita a entrambe le società, visto che si metterebbero a fattor comune il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport e i periodici e la tv di Urbano Cairo per un vero polo multimediale che potrebbe contrastare la forza di Espresso-Itedi. In ogni caso non sarebbe un matrimonio semplice. Per una serie di fattori: Cairo non è intenzionato a investire tutta la cassa nel gruppo di via Rizzoli, che vanta comunque numerosi soci storici tra i quali andrebbe trovato un accordo, dopo che gli ultimi anni, caratterizzati da una gestione in qualche modo riconducibile a Fca (16,73%), non hanno portato a risultati brillanti. Da qui anche la volontà dell’ad Sergio Marchionne di uscire dal business. Come dimostra anche il comunicato diramato martedì a corredo delle nozze tra Stampa e Repubblica, nel quale si faceva riferimento a tre salvataggi nella storia recente di Rcs. Tale nota ha irritato il comitato di redazione del Corriere della Sera, che ha pubblicato un duro comunicato di risposta in merito alla gestione del gruppo.

La casa automobilistica di Torino, che ha un anno di tempo per cedere pro-quota ai suoi azionisti la partecipazione in Rcs (a Exor andrà il 5%), uscirà definitivamente di scena, avviando una nuova fase di ricerca del nuovo azionista di riferimento. Situazione «di continuo cambiamento» che, per l’ad di Unipol-Sai (4,6% di Rcs) Carlo Cimbri, «non consente al management di portare avanti il proprio progetto». Anzi, per il ceo della compagnia assicurativa «i soci di buonsenso devono avere come priorità quella di dare stabilità. Noi ragioniamo in tal senso. Dobbiamo tutelare il nostro investimento garantendo stabilità». Perciò per ora Unipol-Sai non movimenterà la partecipazione. Così come non si chiameranno fuori Mediobanca (6,5%) e Intesa Sanpaolo (4,18%), anche perché devono definire con l’azienda l’intervenuto sul debito (487 milioni). Sul futuro assetto proprietario di Rcs un ruolo potrebbe essere giocato da Diego Della Valle (7,32%), che con l’uscita di Fca, con la quale in passato si è trovato in forte disaccordo, diventerà il primo socio di Rcs. Qualcuno ipotizza un asse Della Valle-Cairo, ma non ci sono conferme in questo senso. E se per ora non entrerà in partita la Techint della famiglia di Gianfelice Rocca, continuano, nonostante le smentite di rito, le voci di un avvicinamento di Andrea Bonomi (Investindustrial) al dossier. «Urbano Cairo può essere un polo aggregante e potrà rastrellare tutte le azioni che andranno sul mercato e che l’azionista Fca non vorrà», ha dichiarato a Class Cnbc e MF-Dowjones Giovanni Tamburi, presidente e amministratore delegato di Tip e azionista di Fca con una quota inferiorel’1%, aggiungendo che «la creazione di un polo editoriale va esattamente nella direzione chiesta dal mercato; credo che darà grandi vantaggi».

hi sicuramente non sarà, per vincoli di legge, della partita è Silvio Berlusconi. Con il rinnovo per il 2016 del divieto per un editore televisivo di possedere quotidiani e viceversa, introdotto dalla legge Gasparri, Mediaset o Fininvest sono fuori dai giochi. Infine, c’è da segnalare che chi involontariamente, e temporaneamente, si ritaglierà un ruolo nell’azionariato di Rcs è Marchionne. L’ad di Fca, che ha in qualche modo innescato il risiko editoriale di questi giorni, essendo socio in prima persona di Fca con l’1,13%, si ritroverà infatti in mano una piccola partecipazione sia nell’Espresso che in Rcs. Intanto la situazione di incertezza sull’assetto azionario ieri ha pesato su Rcs, il cui titolo è risultato il peggiore di Piazza Affari: -7,8% a 0,56 euro per azione.

 

(Nella foto Urbano Cairo)