Pubblicato il 28/12/2015, 13:33 | Scritto da La Redazione
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Rassegna stampa – Pierluigi Battista: “Il canone Rai e la concorrenza sleale”

Rassegna stampa – Pierluigi Battista: “Il canone Rai e la concorrenza sleale”
L’editorialista del “Corriere della sera” se la prende con la tassa della tv di Stato, che sfalserebbe il libero mercato, mettendo in difficoltà i competitor di Viale Mazzini. A partire da Urbano Cairo, editore de La7… e socio del “Corriere”.

Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 45, di Pierluigi Battista.

Il canone Rai e la concorrenza sleale

È davvero desolante come il semplice contatto con il potere della Rai sciolga ogni opposizione, dissolva ogni proposito innovatore, tenti chiunque a mettere piede nel grande carrozzone della lottizzazione sfrenata. È bastata una presidenza nella commissione parlamentare di vigilanza della Rai, un organismo plumbeo da Paese del socialismo reale ai tempi dell’Urss, per invitare i seguaci di Grillo a sedersi alla tavola imbandita del sottopotere di viale Mazzini. E appena giunto a Palazzo Chigi, Matteo Renzi ha dimenticato i suoi conclamati propositi di star fuori dal banchetto Rai, sfiorando addirittura la tentazione liberale dello smantellamento di una roccaforte del dirigismo statalista, per altro democraticamente consacrato dalla disattesa volontà popolare espressa in un referendum. Ora è tempo di una «riforma» della Rai che rafforza la presa della politica sulla Rai. È tempo di non discutere più della legittimità della tassa definita «canone» che ingrassa la Rai producendo quella che un competitore come Urbano Cairo definisce giustamente un caso di palese e iniqua «concorrenza sleale» in un mercato libero e aperto.

Ora c’è il canone nella bolletta della luce: pagare e silenzio. Perché pagare, non è più lecito chiederlo. Bisogna obbedire e accettare come verità rivelata la litania dei beneficati Rai secondo la quale «tutti» i Paesi europei godrebbero di un canone per la loro tv pubblica: non è vero, alcuni non lo prevedono: altri, come la Gran Bretagna e la Spagna, pongono fortissime e severissime limitazioni agli introiti della pubblicità. Ma da noi si pretende tutto: pubblicità e canone, supposto «servizio pubblico» e intrattenimento di mercato, incasso monopolistico di una regalia di Stato e possibilità di competere sul mercato con concorrenti che, privati della regalia del canone, partono svantaggiati in un mercato falsato.

Oramai non se ne parla più, della liceità di una tassa nata nel Medioevo tecnologico e trasferita nel mondo dello smartphone e del tablet. Non si discute nemmeno sulla nozione di «servizio pubblico» che per gli incassatori della tassa dovrebbe giustificare l’obbligo di un aiuto di Stato. Si continua a confondere «pubblico» con «statale», con il risultato di rendere «servizio pubblico» qualunque prodotto erogato dalla tv di Stato, solo perché è di Stato: e questa sarebbe la rottamazione culturale dei vecchi lacci corporativi? Si guadagna con il canone e si perde l’innocenza. Ma quanto è irresistibile il potere della Rai?

 

(Nella foto la statua equestre di Viale Mazzini)