Pubblicato il 04/12/2015, 14:35 | Scritto da La Redazione
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Rai, cambiamento in quale direzione? – Va in onda Laura Boldrini Channel

Rassegna stampa: L’Unità, pagina 15, di Marco Beltrandi (membro dell’Assemblea dei legislatori del Partito Radicale).

Rai, cambiamento in quale direzione?

In attesa dell’approvazione definitiva parlamentare della riforma della governance Rai, il Consiglio di Amministrazione ha approvato la scorsa settimana un provvedimento che istituisce la figura di un Direttore Editoriale a cui rispondono ora direttamente i direttori di ciascuna delle testate giornalistiche Rai, che prima rispondevano direttamente al solo Direttore Generale dell’azienda. Per ciò che ho potuto saperne, i compiti di tale nuova figura dell’organigramma non sono del tutto definiti, ma non sono inerenti solo a eventuali sinergie tra le testate giornalistiche, ma anche a influire più direttamente sui contenuti delle stesse edizioni ordinarie dei telegiornali. Si realizzerebbe quindi un’inedita, non solo in ambito Rai, minore autonomia dei Direttori delle Testate rispetto al prodotto giornalistico, e non sarebbe una novità di poco conto, anche se certamente la vecchia lottizzazione alle tre aeree politiche di riferimento immaginata negli anni 70 era superata da tempo. D’altro canto la riforma della Rai, che deve completare il suo iter parlamentare, si occupa della governance, legalizzando una tendenza verticistica della gestione dell’azienda concessionaria unica del servizio pubblico radiotelevisivo già emersa nella precedente Direzione Generale di Gubitosi, e che asseritamente intenderebbe avvicinare la gestione della Rai a quella di una azienda qualsiasi di proprietà pubblica, con un vero capo azienda, e quindi un ruolo ridotto sia del Consiglio di Amministrazione sia del Parlamento.

A questo proposito occorre osservare come con questa riforma vi sia anche una maggiore responsabilità del Presidente del Consiglio dei Ministri nella gestione dell’azienda. In sé non sarebbe nulla di sorprendente o scandaloso, in quanto se non altro vi sarebbe una chiarificazione di responsabilità sul controllo del servizio pubblico radiotelevisivo. A questo proposito semmai a destare qualche perplessità in chi scrive è che tale previsione contrasterebbe con gli indirizzi più volte ribaditi anche in anni recenti dalla Corte Costituzionale, e cioè che solo il Parlamento, e non il Governo, può esercitare funzioni di controllo o gestione sulla concessionaria unica del servizio radiotelevisivo. Ciò che però più da radicali ci allarma, è il contesto in cui queste riforme avvengono, un contesto in cui non vi è un dibattito ed una informazione su questi aspetti ed in cui il servizio pubblico non assolve ai propri doveri ed obblighi in termini di completezza, imparzialità, obiettività e pluralismo dell’informazione, come confermano le tante delibere che certificano tali violazioni approvate nel corso degli anni dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (oltre 50 in relazione alle sole denunce dei soggetti politici radicali). Delibere che molto spesso vengono ignorate dalla Rai Radiotelevisione Italiana. Un contesto ben descritto dai dati sul pluralismo politico forniti ancora una volta dal Centro di Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva, che, unico in Italia, con la formula degli “ascolti consentiti” sintetizza con un numero /indice il minutaggio relativo agli interventi in voce degli esponenti politici con gli ascolti effettivamente goduti da queste presenze. Un dato che quindi tiene conto anche delle fasce orarie in cui la voce dei soggetti politici vien fatta audire al pubblico italiano delle diverse reti e testate.

Per fare un paio di esempi, con riferimento alle principali edizioni dei telegiornali trasmessi dalle reti generaliste Rai, tra il primo gennaio e il 25 novembre 2015, si rileva una quantità di ascolto consentito riscontrato dal Governo, e dalla sua maggioranza, che supera abbondantemente gli ascolti consentiti ai precedenti Presidenti del Consiglio e dalle rispettive maggioranza, persino nel caso dell’ultimo Governo Berlusconi. Certo bisogna dare atto che in termini di quantità ed importanza delle riforme attuate (ed In corso di attuazione) da parte di questo Governo non esistono paragoni con i precedenti Governi. Ma questo non basta a ritenere che la Rai svolga il proprio compito di servizio pubblico perché ci sono altri attori politici presenti, per esempio quelli radicali che da anni stanno allo “zero virgola” degli ascolti consentiti sui telegiornali, e allo zero nelle trasmissioni di approfondimento Rai, persino quando si occupano di temi, come in questi giorni abbondantemente è accaduto dopo gli attentati di Parigi, che sono oggetto della iniziativa originale nei contenuti del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito.

E perché comunque da tutto questo spazio informativo non riesce ad emergere un vero dibattito attorno alle importanti riforme che il Governo ha realizzato ed intende realizzare, e attorno alle principali questioni ed opzioni relative alla politica transnazionale. E a livello di opposizione politica, nulla altro emerge dalla programmazione come alternativo al Governo a parte le posizione urlate e urlanti di Matteo Salvini. Ci sentiremmo quindi rassicurati se la comunità dei soggetti politici attivi, e le Istituzioni preposte, riflettessero sulle riforme importanti in tema Rai di cui sopra alla luce di questi dati del Centro di Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva, che è stato il primo centro di monitoraggio radiotelevisivo italiano, per anni e anni fornitore in esclusiva all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni dei dati di monitoraggio che mai sono stati da alcuno contestati. Analoga attenta riflessione dovrebbe essere condotta anche su quali dovrebbero essere i compiti adeguati di servizio pubblico radiotelevisivo nel nuovo contesto mediatico, in cui la fruizione dei media tradizionali sì rafforza ma con modalità del tutto nuove, mentre la Rai sembra non conformare in tempo linguaggi e contenuti dell’offerta del servizio pubblico alle nuove e più ampie aspettative.

 

Rassegna stampa: Il Foglio, pagina 1, di Salvatore Merlo.

Laura Boldrini Channel

Non le basta Lerner. Lo strano caso della presidente, che più comunica e più si sente incomunicabile.

Quando tre mesi fa Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera con delega alla comunicazione, le ha ricordato che si sarebbe dovuto fare un bando pubblico per la nomina del nuovo capo ufficio stampa della Camera dei deputati, visto che l’attuale lascerà l’incarico il 31 dicembre, lei ha detto “sì, sì”, e poi si è voltata dall’altra parte. Quando poi lui, un mese fa, è ritornato alla carica, lei ha di nuovo detto, “ma certo, certo”, ed è scomparsa nell’ombra. Poi mercoledì scorso, Giachetti, caratterino scuola Pannella, si è spazientito e si è pure dimesso, con un siluro: “Sono tre mesi che la cerco per chiederle cosa fare e sono stato tenuto ‘appeso”‘. Morale: non ci sarà nessun concorso. Ma perché? Convinta d’essere sottostimata, sotto espressa e persino sott’esposta, la presidente Laura Boldrini ha deciso che sarà lei, personalmente lei, a individuare il nuovo capo ufficio stampa, uno che la sappia finalmente valorizzare. E dicono che davvero la signora Boldrini pensi di non essere raccontata a sufficienza, e che insomma la sua vera voce non si senta abbastanza nel prolifico labirinto nazionale.

E dunque raccontano che da quando è stata eletta, la presidente pulsa, sospira, rumoreggia, corre, chiede, strepita e si lamenta con i suoi amici e collaboratori, con tutti gli esperti di comunicazione (sono sette, solo quelli ufficiali) di cui si è circondata da quando ha messo piede a Montecitorio, a cominciare da Gad Lerner, che le fa lezioni private, fino a Lorella Zanardo, l’autrice del celebre documentario sul corpo delle donne. “Perché i telegiornali non fanno un servizio sulle aperture domenicali di Montecitorio?”, chiede lei con una pena sorda e diffusa. “Ma a Otto e mezzo quando mi chiamano?”, si lamenta con accasciamento dell’animo. E ancora: “Certo che il sito della Camera poteva raccontare un po’ la mia partecipazione alla giornata internazionale per i diritti delle persone con disabilità!”. E vai con un fitto ragionare gravido di consigli, suggerimenti, strategie (Boldrini ha un sito, il profilo Facebook, poi ha Twitter, Google+ e c’è anche il canale su YouTube: Laura Boldrini channel), con inviti al sorriso e all’aplomb, perché il vero traguardo rimane sempre diventare esattamente come le più disinvolte, con quel piglio sardonico, la risposta pronta, il rapporto diretto e un definitivo addio a complessi e inibizioni.

Qualche mese fa il Tg1 tagliò una scenetta che ancora gira su Internet, questa: una giornalista chiede alla presidente un commento sul solito non precisamente elegante Salvini, Boldrini si irrigidisce d’istinto, ma ecco che da dietro spunta la voce d’una dei sette esperti di comunicazione, Valentina Loiero: “Sorridi!”. E Boldrini sorride. Fiero della sua opera, il portavoce Roberto Natale l’anno scorso ha sgranato i numeri del suo successo (suo e della social media manager Giovanna Pirrotta): “Con 170mila `mi piace’ su Facebook e 224mila followers su Twitter, Laura Boldrini è in entrambe le piattaforme dopo appena 14 mesi di Presidenza il sesto esponente politico più seguito d’Italia, e la prima tra le donne”. Eppure, malgrado questo po’ po’ d’apparato che la circonda, la presidente pensa di non essere raccontata a sufficienza. E insomma più Boldrini comunica, più tuttavia avverte uno strano senso d’incomunicabilità: sarcasmo, ironia, e nel migliore dei casi indifferenza, secondo lei la circondano da ogni lato. “Ma perché scrivono solo di chi porto sull’aereo di Stato e non dei miei successi all’estero?”. Persino quando viaggia si sente come un pacco sgradito.

Tutte le sue iniziative, secondo lei, vengono punite da specialisti della vessazione giornalistica, televisiva, settimanale e quotidiana (compresi Repubblica e Corriere). Quei gretti dei giornalisti raccontano dei suoi fidanzati e delle sue uscite un po’ incongrue (“andrebbe cancellata la scritta DUX dall’obelisco del Foro Italico”), mentre lei in realtà spazia col pensiero sui continenti, vola misericordiosa sui campi di battaglia, soccorre idealmente i moribondi, i profughi, i famelici. E allora è per questo che ora turbina nei corridoi di Montecitorio, si lamenta, sfugge a Giachetti che le vorrebbe imporre un bando pubblico e chissà chi all’ufficio stampa della Camera: quel rompiscatole di Giachetti che le dice “bisognerebbe portare Montecitorio sui social”. Anche Boldrini vuole per la Camera una comunicazione social, ma che sia efficiente, sfrecciante, moderna, all’altezza dell’era di Twitter, di Facebook e dei viaggi interstellari: insomma una comunicazione che si occupi di lei.

 

(Nella foto Laura Boldrini)