Pubblicato il 09/11/2015, 11:34 | Scritto da La Redazione
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Rai: i bilanci in affanno tra flop e appalti esterni – Vigilanza Rai la risposta all’onorevole è secretata

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 5, di Carlo Tecce.

I bilanci in affanno tra flop e appalti esterni

La tassa e la pubblicità garantiscono. Il nuovo dg non muove una foglia, ma è evidente dove tagliare: dai talent alla grande ammucchiata di RaiNews.

Ormai è un epitaffio che scoraggia la dirigenza, più che un aforisma che circola nei corridoi di Viale Mazzini: senza quel mucchietto di denaro che ancora l’azienda raccatta con la pubblicità (quasi 600 milioni di euro scorrendo l’ultimo bilancio), l’unica offerta costante del palinsesto, più volte al giorno, sarebbe il vetusto e mai pensionato segnale orario. Perché la condanna per la Rai è proprio quest’oscillare incessante fra televisione che incarna il servizio pubblico e televisione lasciva che compete con le emittenti commerciali.

Viale Mazzini non sopravvive orfana del contributo pubblico, il canone che l’anno scorso è sceso a 1,590 miliardi di euro con un evasione al 30,4 per cento, ma neanche libera dai modesti introiti pubblicitari che apportano 597 (benedetti) milioni. In questo equivoco congenito, acuito durante il berlusconismo per aiutare Mediaset, fra pasticciate riforme renziane e repentini cambi di vertici e di squadre, viale Mazzini può soltanto stare ferma, immobile, in perenne e sfiancante attesa. Antonio Campo Dall’Orto, il direttore generale renziano, è molto cauto, quasi ossessivo. Ha paura del passato ereditato da Luigi Gubutosi e dei dirigenti che quel passato rappresentano. Cdo (così viene chiamato) non ha modificato di un euro il piano di investimenti per il 2016, impercettibili ritocchi, ma la sostanza è immutata. Il miliardo e mezzo abbondante del canone, quelli che secondo la vulgata popolare sono “i nostri soldi”, coprono l’80/90 per cento dell’offerta di viale Mazzini. Ma prima di qualsiasi analisi contabile, va specificato che la Rai spende 905 milioni per gli oltre 10.000 dipendenti, ma esagera con gli appalti dei programmi: 196 milioni per acquisti, 216 per diritti tv (soprattutto sport). Il “servizio pubblico” è una categoria molto ampia e molto varia: ci sono i telegiornali con più edizioni e tagli identiche, poi il cinema, le serie tv, i cartoni animati, gli eventi sportivi. La voce fiction è in diminuzione, da 164 a 143 milioni.

Ogni anno, esclusi i costi fissi (personale e produzione), viale Mazzini stanzia circa 105 milioni per Rai 1, 51 per Rai 2, 53 per Rai 3; una media fra 8 e 12 per le testate giornalistiche. Nonostante la platea irrilevante, lontano dal punto di share, RaiNews è la redazione più dispendiosa. Il taciturno Cdo ripete spesso che viale Mazzini deve superare la dittatura degli ascolti. Furbo. Perché esistono programmi che la pubblicità non potrà mai coprire, per errori di sistema e orrori dei direttori. Per ogni partita degli azzurri di Antonio Conte, la Rai spende dai 2 ai 3 milioni di euro. Per ogni puntata di Non Uccidere, strampalato esperimento di serialità su Rai 3, sospeso a ottobre e forse ripristinato a gennaio, sperpera 800.000 euro e nessuno se ne accorge, perché non supera il 4 per cento di share. Ancora più venefico il fallimento di Ti lascio una canzone su Rai 1: 700.000 euro a serata per un misero 16 per cento di share e la concorrenza spietata di Canale 5 con Maria De Filippi. Simile il devastante impatto sui conti di Rai 1 di Così vicini e così lontani di Al Bano Carrisi e Paola Perego. Dopo qualsiasi tonfo, in viale Mazzini replicano almanaccando i successi della fiction fatta in casa, talmente fatta in casa che all’estero neppure la conoscono. È una fandonia. Perché la lunga serialità (tipo Don Matteo) conviene, ma quella breve, le due puntate consumate in due giorni, valgono almeno 2 milioni di euro.

Non solo sprechi e ruberie, come dimostra l’inchiesta della procura di Roma sui bandi di gara e 37 indagini interne lasciate nei cassetti di Viale Mazzini. In Rai gli esempi virtuosi sono in via d’estinzione, ma ancora resistono, trasmissioni che fanno servizio pubblico (e in molti guardano) e ci guadagnano con la pubblicità: i commissari di Camilleri, Chi l’ha visto? Made in Sud, Report. Il guaio è che in Rai nessuno inventa più la televisione e il palinsesto è sottomesso a presunti geniali autori di società esterne. Senz’altro bravi e lesti a fatturare con puntualità.

 

Rassegna stampa: Affari&Finanza, pagina 5, di Aldo Fontanarosa.

Vigilanza Rai la risposta all’onorevole è secretata

Adesso abbiamo anche le interrogazioni secretate. Succede nella Commissione di parlamentari che vigila sulla Rai. Qui il deputato Michele Anzaldi (del Pd) chiede conto alla tv di Stato di una presunta omissione. Anzaldi vuole sapere come mai l’azienda non abbia segnalato ai magistrati le sospette irregolarità nella assegnazione di alcuni appalti (incluso quello per gli impianti audio video del Festival di Sanremo). Su questo, la Rai aveva fatto svariate indagini, tutte interne. Viale Marini risponde all’interrogazione. E giura che adesso la collaborazione con i magistrati è piena e totale. Rivendica anche di aver chiuso la struttura Appalti, confluita nella Direzione Acquisti. Ma la risposta all’interrogazione che di norma arriva a tutti i 60 parlamentari della Vigilanza Rai stavolta è postata al solo Anzaldi. Al quale un dirigente della tv di Stato rivolge una preghiera: onorevole, non parli in pubblico del suo contenuto.

 

(Nella foto Antonio Campo Dall’Orto)