Pubblicato il 16/09/2015, 12:03 | Scritto da La Redazione
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Casamonica in tv, il direttore di Rai 1: “Linea rigorosa, non c’è stato folklore” – Guelfi: “La Rai avrà meno politica, ma non copieremo la Bbc”

Rassegna stampa: Il Messaggero, pagina 14, di Claudio Marincola.

Casamonica in tv, il direttore di Rai 1: “Linea rigorosa, non c’è stato folklore”

L’audizione di Leone in commissione di Vigilanza: “Nessun onore per l’azienda”, ma non si fermano le polemiche.

«Linea rigorosa, lettura corretta e completa degli avvenimenti, nessuna concessione al folklore». Giancarlo Leone, direttore di Rai 1, torna sul luogo del “delitto”, i Casamonica ospitati a Porta a porta. E si sottopone di fatto a un “processo” perché mai come ieri i membri della commissione parlamentare di Vigilanza hanno stroncato compatti il talk-show di Bruno Vespa andato in onda una settimana fa. Unica voce fuori dal coro: Maurizio Gasparri, il vice presidente del Senato, esponente di FI, che ha accusato di “ipocrisia” «chi oggi critica Vespa e ieri taceva su Ciancirnino jr ospitato sulle reti Rai da Santoro, offrendogli una platea per diffondere bugie e depistare». Il partito democratico che aveva chiesto l’audizione di Leone a San Macuto resta convinto che far accomodare sulle poltrone del “salotto buono” di viale Mazzini figlia e nipote del capostipite dei Casamonica sia stato uno scivolone. Qualcuno mette anche in discussione la scelta di puntare su un fatto accaduto il 20 agosto scorso in presenza di sconvolgimenti storici per l’Europa e per l’economia. «Quel vulnus che ha macchiato l’immagine della Capitale non andava rimosso», ha sostenuto invece Leone, «ma raccontato nella sua integrità». Vespa e i due giornalisti che erano in studio – ha chiarito il direttore di Rai 1 – hanno contestato agli ospiti la solennità del funerale, la colonna sonora del Padrino, i manifesti usati come esplicito segnali di potere».

COSTO ZERO Poi ci sono i dettagli che hanno la loro importanza. I contatti tra la Rai e la famiglia del boss celebrato a piazza Don Bosco sono avvenuti tramite il loro legale. La presenza in studio di Vera e Vittorino Casamonica non ha comportato nessun onere per l’azienda. In quanto alla puntata andata in onda il giorno dopo con ospite l’assessore capitolino alla Legalità Sabella, per Leone «non è stata “riparatrice”: tornare sul tema è servito a «trasmettere il parere schietto e motivato dell’autorità capitolina che ha subito il danno di quel funerale».

COSE NOSTRE Durissimo il senatore del Gruppo misto Maurizio Rossi che ha messo in dubbio l’affidamento del prossimo contratto di servizio alla Rai e criticato Vespa («meglio Del Debbio»). Idem Pisicchio, presidente del Misto: «Riflettere per impedire che si riproponga ancora è dovere della commissione di Vigilanza Rai, degli organi di direzione e del cda dell’azienda». E anche il pd non ha cambiato idea. Verducci e Ranucci, che hanno presentato un’interrogazione parlamentare, hanno espresso moltissime riserve. Peluffo ha suggerito una riflessione sul servizio pubblico. Ansaldi, segretario della Vigilanza, ha chiesto garanzie perché «certe cose» non si verifichino più». E Leone, da parte sua, ha garantito «attenzione» e annunciato che la Rai a partire dal prossimo dicembre varerà una nuova trasmissione dal titolo Cose nostre. Un approfondimento sul lavoro dei giornalisti e dei media impegnati sul fronte delle mafie e della criminalità.

 

Rassegna stampa: Il Tempo, pagina 10, di Massimiliano Lenzi.

“La Rai avrà meno politica Ma non copieremo la Bbc”

Parla Guelfo Guelfi, consigliere di amministrazione di viale Mazzini.

Il finale del suo post su Facebook, «ieri ho passato la giornata in Rai, a Roma ci sono così tante cose da fare», a commento della puntata di Bruno Vespa a Porta a porta sui Casamonica, aveva scatenato un putiferio conseguente dibattito sulla libertà di informazione in tv. Lui è Guelfo Guelfi, membro del Cda Rai, segni particolari «renziano». Il Tempo, passata la tempesta, lo ha intervistato sulla Rai e sulla riforma della tv che verrà.

Tre punti di partenza su cosa e come cambiare il servizio pubblico?

«La Rai è una grande azienda, ha i suoi anni, nei suoi archivi si percorre per intera la storia di questo Paese: dalle alluvioni alle vergogne, da Cime Tempestose a Don Matteo. È prima, viene prima, ma flette. Soffre. La riforma la ridefinisce, la riposiziona, la cura, la valorizza. Meno influenza politica, più sfida, più impresa, più competizione».

Da noi si cita sempre la Bbc: non sarebbe il caso di cercare una via italiana?

«Sì, ma lo faremo. Ho ascoltato attentamente il Direttore Generale e la Presidente Monica Maggioni e ho sentito bene: no, non siamo la Bbc. Siamo la più grande televisione pubblica d’Europa. Mi è piaciuto Renzo Arbore – ma piace a molti – che dice che noi potremmo esportare. A Oriente ma anche a Occidente. Più che uno scatolone in cui mettere mi piace supporre una grande galassia da cui partono avventure in grado di farci conoscere di più, di farci apprezzare, di farci assaggiare, di farci leggere. Insomma chissà che non si possa smettere di guardarci in cagnesco credendo che il mondo poi sia tutto li in quei pochi punti di share».

La tv pubblica deve essere pedagogica?

«Ma abbiamo tutti molto bisogno di sentirci prossimi. Di saperci dipendenti gli uni dagli altri. Si dice connessi, ma significa che il destino è un destino comune. Serve aiutarci. Parlare la nostra lingua, difenderla anche. Disporla a chi ne ha più bisogno. E con lei la nostra storia, le ragioni della bellezza diffusa che incontriamo un po’ ovunque. La televisione pubblica potrebbe aiutare molto, penso che sia un obiettivo che ci porremo. Lo dobbiamo affrontare senza ideologismi. Potremmo scoprire I terreni comuni per soddisfare bisogni comuni. Lì sta la buona pedagogia».

Se dovrà far pedagogia come si farà a tener distinto il potere politico dalle direttive alla tv? La tv di Fanfani e Bernabei era pedagogica ma anche democristiana…

«Io ho un’età che mi consente di parlare della tv di Fanfani per esperienza diretta. Non era male. Era Democristiana ma non era male. Lo dico a partire dal fatto che la sera la guardavamo. Si rispondeva ai quiz, si guardavano gli sceneggiati, si stava in casa. Quell’Italia non c’ è più. Quei partiti non ci sono più. Né l’uno né l’altro. L’abitudine consociativa è dura a morire ma è in crisi. La riforma della Rai pone il problema sul terreno di una sfida moderna, più ardua. Era un monopolio, ora è di tutto un po’».

La Rai deve temere Netflix?

«Netflix lo stiamo aspettando. Una piattaforma, una modalità, costa poco e offre molto. Ma perché temerlo. Sarebbe come temere l’ultima versione di iPad. Ci siamo fino al collo nel tempo che viene e per tenere botta dobbiamo avere un temperamento, tanto temperamento. Non temere ma esplorare. Proporre. Rendere ricca e comoda la nostra offerta. Facili da incontrare».

 

(Nella foto Giancarlo Leone)