Pubblicato il 29/03/2017, 11:35 | Scritto da La Redazione
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Richard Plepler di Hbo: Meglio le serie Tv dei reality show

Richard Plepler: “No ai reality, meglio le serie. E la tv non uccide il cinema”

Rassegna stampa: Corriere della Sera, di Chiara Maffioletti.

È tra le persone più influenti al mondo se si parla di tv, eppure Richard Plepler, presidente di Hbo, descrive se stesso come «un grande lettore. Ogni giorno leggo almeno quattro quotidiani. Ho sempre creduto mi aiutasse a organizzare il mondo, a pormi delle buone domande». È con questo approccio che ha costruito il prestigio di Hbo e l’impero che deriva dall’emittente americana diventata, con le sue produzioni, sinonimo di qualità. «Siamo nell’epoca d’oro della tv e stiamo facendo il miglior lavoro di sempre per qualità e varietà. Non siamo mai stati a un livello così alto».

Ma la Hbo di oggi è il risultato di quella di ieri. «Beneficiamo del talento di creativi che vengono da noi quando hanno in mano qualcosa in cui credono». Mantenere certi standard non limita la sperimentazione? «No, perché abbiamo l’imbarazzo della scelta. La nostra forza è il brand: è quello che attira così tante menti. Ogni venerdì sono seduto a un tavolo con i miei colleghi e facciamo un punto sulle nuove idee che solo una settimana prima non esistevano. Ci fa guardare al futuro con ottimismo». Un ottimismo che estende anche al cinema: «È prematuro decretarne la fine. Certo, il mercato dovrà evolversi, ma le persone ancora vogliono ritrovarsi e vedere qualcosa tutti assieme».

Ormai attori e registi non sono più schizzinosi se si parla di tv. «Già dal 2000 abbiamo iniziato a lavorare con Spielberg, Tom Hanks, poi Scorsese: molti hanno visto presto Hbo come un buon posto dove lavorare. Ora chi fa spettacolo ha capito che la gente vuole vedere grandi contenuti, non importa dove». Nel frattempo è aumentata la concorrenza. «Il nostro obiettivo è investire su contenuti di qualità. Dai tempi di Sex and the city o I Soprano è questo che ci ha fatti entrare nella cultura popolare. Abbiamo ancora la stessa filosofia, per questo la concorrenza non mi preoccupa».

Tra i titoli più attesi, la prossima stagione del Trono di spade. «Ma non posso dire una parola». Avrà una parte Ed Sheeran: «Un’idea forte, che sorprende». Cosa ha pensato invece quando le hanno parlato per la prima volta di The Young Pope? «Sono un grande fan di Sorrentino. È un genio. E ammiro Jude Law. Scommettiamo sempre su chi punta su qualcosa di inaspettato: qui mi ha impressionato vedere quanto ci siamo riusciti. Negli Stati Uniti ha avuto un’eco incredibile. Forse c’entrava anche l’elezione del nuovo presidente: ha funzionato la storia su una figura che sfida le istituzioni. È una serie di cui non potrei essere più fiero: vorrei un dollaro per ogni persona — politici, giornalisti, gente di spettacolo — che mi ha detto: amo The Young Pope».

Un successo che ha reso «ancora più saldo il rapporto con Sky: c’è una visione comune. Alla Hbo ci facciamo sempre la stessa domanda prima di investire: questo programma eleverà il nostro brand? Non tutto può fare gli ascolti del Trono di spade, ma non è il punto. La regola è costruire ogni giorno il nostro nome: diamo spazio a chi ha un’idea, non a chi ha una hit».

Non sa scegliere una serie che ama più delle altre. Ci prova, ma parte l’elenco: «The Wire, Deadwood, I Soprano, Six Feet Under, Trono di spade, True Detective. Ok, non posso». Su Hbo mancano i reality, eppure Trump arriva da lì… «Non appartengono alla nostra cultura ma non li critico. Lì Trump di sicuro si è creato un pubblico». Un consiglio per i giovani? «Di essere informati, impegnati, curiosi: mai come ora bisogna essere cittadini del mondo. La tecnologia serve anche a questo, non solo per stare su Snapchat. E poi, certo, bisogna leggere».

(Nella foto Richard Plepler)