Pubblicato il 22/06/2015, 13:33 | Scritto da La Redazione
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Negli anni Cinquanta e Sessanta la grande stagione degli sceneggiati Rai, con attori da brividi

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 14, di Fabrizio d’Esposito.

Quando la Rai era sceneggiato (e non fiction)

È una domenica di gennaio del 1954 e l’unico “programma nazionale” trasmette un originale tv. Inizia così un’epopea irripetibile basata sui grandi classici letterari e proseguita con il mistery.

Oggi, Biagio Proietti è un signore di 75 anni che ancora può ostentare un record mostruoso. Il suo sceneggiato giallo Dov’è Anna?, per la Rai, totalizzò ben 28 milioni di telespettatori per l’ultima puntata, la settima. Era il 1976, pochissimo prima dell’avvento del televisore a colori. Proietti ha scritto film e libri, è stato regista e autore di tv e radio, e adesso con Maurizio Gianotti, altro autore Rai, ha firmato un saggio storico su 60 anni di “racconto” televisivo nelle reti pubbliche, dal 1954 a oggi. È l’involuzione, più che l’evoluzione, dallo sceneggiato letterario, e non solo, alle fiction melense e buoniste e alle soap opera interminabili di questi anni. Anche il titolo del volume è un omaggio a una delle serie più note e fortunate di quell’epoca d’oro: Il segno del telecomando, che richiama II segno del comando, anno 1971, con Carla Gravina e Ugo Pagliai, un mistery gotico. Cinque puntate con la regia di Daniele D’Anza, cui è dedicato il libro insieme a Nanni Fabbri, altro maestro della cinepresa e figlio del grande drammaturgo Diego.

Si recitava in diretta, tra i cavi L’avventura del romanzo sul piccolo schermo comincia una domenica di fine gennaio del ’54: il primo “originale” tv è, appunto, Domenica di un fidanzato. A marzo va in onda Delitto e castigo, dall’opera di Dostoevskij. Si tratta di una riduzione teatrale in una sola serata con Giorgio Albertazzi, Bianca Toccafondi e Giancarlo Sbragia. Erano mostruosi anche gli attori, non solo gli ascolti. Racconta Albertazzi: “Dati gli anni, la televisione l’ho fatta quando non era ancora né a Milano, né a Roma, ma a Torino. Ho fatto trentasette commedie in diretta, poi il primo sceneggiato, Delitto e castigo di Dostoevskij: era un programma che durava quattro ore e un quarto di seguito in diretta, in bianco e nero. Per terra avevo qualcosa come 250, 270 segnali da rispettare. A volte alzavo i cavi delle camere per passarci sotto approfittando dell’inquadratura. Una cosa meravigliosa, una specie di avventura. Delitto e castigo fu il primo sceneggiato, sia pure in una botta sola, per la televisione”.

Attori scelti per concorso I pionieri del “racconto” tv non solo recitavano in diretta e giravano al chiuso (i primi esterni verranno dopo e rigorosamente nelle campagne del Lazio, per una questione di costi) ma talvolta venivano scelti per concorso. Accadde per le quattro puntate del Dottor Antonio, considerato “il padre di tutti gli sceneggiati televisivi”. Il Radiocorriere, all’epoca giornale ufficiale della Rai, fece un concorso dal titolo “Nuovi volti per la tv”. I cinque attori principali, sempre nel 1954, vennero selezionati così. Erano: Luciano Alberici, Cristina Fanton, Edmonda Aldini, Corrado Pani e Stefano Sibaldi. L’Italia era un Paese con tantissimi analfabeti e per la Rai democristiana la vocazione pedagogica fu naturale. Le trame per le riduzioni tv venivano scelte tra i grandi classici della letteratura: Piccole donne, Cime tempestose, L’Alfiere, Orgoglio e pregiudizio, Il romanzo di un giovane povero, Piccolo mondo antico. Per ritrovare un “russo”, dopo il battesimo di Delitto e castigo, bisogna aspettare il 1958. Ancora Dostoevskij: Umiliati e offesi con Enrico Maria Salerno. Un anno dopo, le sei puntate dell’Idiota hanno un cast gigantesco: Albertazzi, Anna Proclemer, Gian Maria Volontè, Anna Maria Guarnieri. Il primo vero bacio della tv italiana fu invece quello, nel 1957, tra Lea Padovani e Paolo Carlini in Il romanzo di un giovane povero. Anton Giulio Majano, Daniele D’Anza, Guglielmo Morandi, Mario Landi, Giacomo Vaccari, Sandro Bolchi, Vittorio Cottafavi sono tra i registi più bravi. Vaccari, che morì a 32 anni, era ritenuto un genio e fu il primo a girare su pellicola: Mastro Don Gesualdo con Enrico Maria Salerno, andato in onda nel 1964 sul Secondo Programma (l’attuale Rai 2) che tre anni prima, nel ’61 aveva cominciato le trasmissioni. Il 1961 fu anche l’anno della nomina a direttore generale della Rai del dc fanfaniano Ettore Bernabei e del volo nello spazio del sovietico Jurij Gagarin.

Alberto Lupo, il primo divo Il primo vero divo fu Alberto Lupo. La popolarità arrivò con il dottor Manson della Cittadella, dal romanzo di Cronin: le peripezie di un medico in un piccolo villaggio minerario del Galles (ma le miniere in cui si girò furono quelle di Gavorrano, nel Grossetano). C’erano anche Guarnieri, Eleonora Rossi Drago e Nando Gazzolo. Rivelò il regista Anton Giulio Majano: “Nella Cittadella io feci segare un osso di prosciutto dentro la miniera durante l’amputazione di un braccio al minatore perché volevo dare quella sensazione del rumore, l’angoscia dell’osso segato. L’osso di prosciutto lo segò Alberto Lupo, con un microfono vicino in modo che si sentisse in primo piano”. La stagione letteraria dello sceneggiato proseguì con altri grandi successi: La figlia del capitano, David Copperfield, La coscienza di Zeno (sceneggiatura di D’Anza e Tullio Kezich), Oblomov, Il Conte di Montecristo, La fiera della vanità. Nel 1967 I Promessi Sposi diretti da Bolchi ebbero un ascolto medio di 18,2 milioni di spettatori. Nel cast: Paola Pitagora, Nino Castelnuovo, Tino Carraro, Massimo Girotti, Lilla Brignone, Lea Massari, Salvo Randone, Luigi Vannucchi, Elsa Merlini. Altri volti di quel periodo furono: Andrea Giordana, Adriana Asti, Ilaria Occhini, Alberto Lionello, Aroldo Tieri, Ivo Garrani, Ubaldo Lay, Domenico Modugno, Raf Vallone, Virna Lisi, Franco Volpi, Arnoldo Foà, Alida Valli, Raoul Grassilli, Gastone Moschin, Giulia Lazzarini, Rossano Brazzi, Gigi Proietti, Ferruccio De Ceresa, Glauco Mauri, Paolo Ferrari, Umberto Orsini. Nel 1968 c’è una svolta decisiva, ovviamente rivoluzionaria. Si passa agli esterni e la registrazione su magnetico viene soppiantata dalla pellicola. Le produzioni si internazionalizzano e il primo sceneggiato della nuova era è l’Odissea, con la regia di Franco Rossi. Otto puntate, ognuna preceduta da una lettura d’autore dei versi omerici: il poeta Giuseppe Ungaretti.

Il flop dei remake Un romanzo di Robert L. Stevenson sulla guerra dinastica delle Due Rose, nell’Inghilterra del XV secolo, ispirò un altro sceneggiato passato alla storia per il boom di ascolti. S’intitolava La freccia nera e ottenne una media di 16,5 milioni di spettatori. Loretta Goggi era una ragazzina che faceva il maschio e molti ricordano ancora il motivetto iniziale della sigla: “La freccia nera fischiando si scaglia e la sporca canaglia il saluto ti dà”. Quasi due lustri fa, nel 2006, è stato fatto un remake con Riccardo Scamarcio e Martina Stella. Ingiusto paragonarli e infierire perché non c’è partita. Lo sceneggiato con Aldo Reggiani e Goggi è di un altro pianeta, irraggiungibile, per ambientazione e qualità degli attori. Non solo. In parecchi casi, negli ultimi anni, sono stati girati remake dei vecchi sceneggiati, a voler rinverdire quel periodo d’oro, e il risultato è penoso, a conferma del livello scadente della fiction nell’epoca del duopolio Rai-Mediaset, sia per le idee, sia per la recitazione (tranne poche eccezioni come il Montalbano di Zingaretti). Questa però non è l’opinione dei due autori del Segno del telecomando, che tessono un solo filo dal 1954 al 2014 (con l’aiuto decisivo di varie opere di Aldo Grasso) per dimostrare, tout court, come la tv ha cambiato gli italiani. Ed è per questo che sceneggiati e fiction hanno una divisione per generi: letteratura, storia, arte, giustizia, scienza, religione, giallo, fantascienza, amore, racconto della realtà. A proposito di ragazzine terribili travestite da maschietti. Nel 1964 un piccolo capolavoro fu Il Giornalino di Gian Burrasca, diretto da Lina Wertmuller, che consacrò Rita Pavone.

Il noir e il gotico L’avvento degli anni Settanta segna l’ultima fase del bianco e nero in tv. E il tripudio del giallo diventa una variante del realismo televisivo che fotografa il Paese. È il caso per esempio di Dov’è Anna?, scritto da Proietti insieme con la moglie Diana Crispo e di cui si parla nell’articolo a fianco. Ma la passione per il mistero è totale e si è affermata già a metà dei Sessanta con il tenente Sheridan che ha la faccia di Ubaldo Lay. Memorabili anche il Maigret di Gino Cervi, l’Harry Brent di Alberto Lupo, il Nero Wolfe di Tino Buazzelli e Paolo Ferrari. Nel ’74 il Commissario De Vincenzi (Paolo Stoppa) e Philo Vance (Albertazzi) registrano 19 milioni di telespettatori. Anche il fascino per il gotico e in generale per il mistery soprannaturale è vincente. E qui si arriva al fatidico Il segno del comando, dal romanzo di Giuseppe D’Agata, in cui un professore inglese (Ugo Pagliai) appassionato di occultismo cerca a Roma i diari perduti di lord Byron. Nella capitale è girato pure Il fauno di marmo con Orso Maria Guerrini mentre Ritratto di donna velata con Nino Castelnuovo è ambientato tra Firenze e Volterra ed ha tra i protagonisti Daria Nicolodi, reduce dal successo di Profondo Rosso. Paradossalmente proprio l’era del colore farà sbiadire, poco alla volta, la grande tradizione dello sceneggiato tv, oggi morto e sepolto. Con tanta nostalgia.