Pubblicato il 29/11/2023, 19:02 | Scritto da La Redazione
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Nino Frassica: Sono un vandalo, rovino le frasi fatte e i luoghi comuni

Nino Frassica: Sono un vandalo, rovino le frasi fatte e i luoghi comuni
Forse tutto è nato al bar. Il fatto è che non avevo un lavoro, non che lo cercassi, eh... Ma si stava al bar ad aspettare chissà che cosa e, oziando, scattava lo scherzo insieme agli amici, la goliardia. Quando ho capito che quel fare gli spiritosi poteva essere studiato, e usato per fare teatro, allora ho cercato di farlo in maniera seria». Così su Il Giornale.

«Per divertirsi è necessario sovvertire logica e regole»

Il Giornale, di Eleonora Barbieri, pag. 26

Forse tutto è nato al bar. Il fatto è che non avevo un lavoro, non che lo cercassi, eh… Ma si stava al bar ad aspettare chissà che cosa e, oziando, scattava lo scherzo insieme agli amici, la goliardia. Quando ho capito che quel fare gli spiritosi poteva essere studiato, e usato per fare teatro, allora ho cercato di farlo in maniera seria». Nino Frassica, messinese affezionatissimo alla sua città (dove è nato, come Antonino, l’11 dicembre del 1950), è un protagonista dello spettacolo italiano (protagonista con signorilità, come i veri grandi): dagli esordi con Renzo Arbore nei leggendari Quelli della notte e Indietro tutta! all’amatissimo Don Matteo (dove è il Maresciallo Nino, «un buono»), passando per decine di film (al momento ne ha in ballo due: uno con Greg e Massimo Ghini e uno con Pieraccioni) e programmi. Come Che tempo che fa, dove presenta il suo «Novella Bella» e dove, spesso, a finire tra gli incredibili libri più venduti è il suo romanzo, Paola. Una storia vera (Mondadori), così vera che è totalmente surreale…

Nino Frassica, dopo il bar che cosa è successo?

«Gestivo una discoteca con degli amici a Galati Marina, il locale “Golden Gate”, e intrattenevo al microfono. Ero un animatore dilettante, però facevo ridere. Era estate, alla fine degli anni ’60. Poi, da studente, organizzavo spettacoli, scrivevo, recitavo. Calcavo il palco, insomma. Poi c’è stato il periodo delle compagnie locali e dialettali, e delle radio private, con programmini, testi… Inventavo. E anche la moda del cabaret, che è più snello, perché non c’è solo prosa».

E Arbore?

«Non c’erano i social o altri modi per farsi notare: l’unica possibilità era fare uno spettacolo a Roma e mostrare di avere un senso dell’humor moderno e surreale, proprio come quello di Arbore. Ma come? Io mi sentivo già arboriano, quindi lo cercai».

Lo trovò.

«Avevo scoperto dove abitava, quindi risalii al numero di telefono e iniziai a lasciargli dei piccoli messaggi sulla segreteria, per farlo ridere. Alla fine mi chiamò per conoscerci. Lì è nata la nostra collaborazione, e sono passato da dilettante a professionista».

Com’era lavorare insieme?

«Era l’ambiente giusto per me: a Quelli della notte eravamo un gruppo di comici e non pensavamo agli ascolti o a fare qualcosa che tutti apprezzassero o capissero. Facevamo un umorismo d’élite, quasi, però il risultato era un successo, sia di critica, sia di pubblico. La grandezza di Arbore è proprio questa».

Che cosa le ha insegnato?

«Il distacco, un certo modo di stare davanti alla telecamera, il non pensare a un copione già scritto bensì a crearlo, a viverlo. E stata la mia prima scuola: essere autore e non solo attore, inventare».

Per riuscirci che cosa serve?

«O uno sa improvvisare, e ha un repertorio… Significa inventare in diretta, sul momento, qualcosa che fa ridere».

Che tipo di comicità è la sua?

«Non quella classica, basata sul doppio senso o la critica di costume, quella che parla della suocera, dei telefonini, o degli insuccessi con le donne… La comicità surreale va oltre: è imprevedibile».

Scardina la lingua?

«Sono un vandalo. Rovino le frasi fatte, i luoghi comuni, quello che tutti pensano, e vado per un’altra strada». Come le viene? «Col tempo, c’è del mestiere. Non ci sono imitazioni, è più l’atteggiamento: quello di uno che rovina».

Che cosa?

«La logica e il modo normale di dire le cose. Per esempio, a “Novella Bella” sono il direttore del giornale, e anche il vice, e mi sono nominato da solo. E per non stare al gioco, alle regole. Come quando cambio le rubriche: l’oroscopo, il quiz, la poesia, il gossip… sono tutti ruoli diversi, restando lo stesso. Una cosa alla Frassica: questo voglio fare».

Perché?

«Perché voglio far solo ridere, e divertirmi pure io».

Con chi si è trovato meglio?

«Con Arbore. E poi con Fazio, Chiambretti, Conti: mi impegno e lego bene con tutti. Da Fazio mi diverto, posso osare come con Arbore: non c’è il problema di “questa battuta non la capiscono”. Mi sento libero, mi butto».

Senza limiti?

«I limiti ci sono, certo. Quelli del buonsenso».

Chi le piace?

«Dei classici, quelli fondamentali per me sono stati Cochi e Renato, e i quattro di Alto gradimento: amavo quel genere e, in parte, lo faccio. Per la recitazione, Totò, Peppino e i comici napoletani, per il modo di porsi e essere attori. E, come spettatore, amo Verdone e la commedia all’italiana, Sordi e Abatantuono».
(Continua su Il Giornale)

 

 

 

 

 

(Nella foto Nino Frassica)