Pubblicato il 24/11/2023, 19:01 | Scritto da La Redazione

Mattia Feltri: Il giornalismo vive una fase difficile

Mattia Feltri: Il giornalismo vive una fase difficile
C'è speranza, in questo Paese: e quando capiremo che non dobbiamo delegarla ad altri ma costruirla da soli, allora avremo una politica, una società, persino un giornalismo migliore. Mattia Feltri, direttore dell'Huffington Post e firma de La Stampa, non molla: siamo stati una grande cultura, potremmo esserlo di nuovo. Così la sua intervista a Italia Oggi.

Il destino è nelle nostre mani

Italia Oggi, di Antonino D’Anna, pag. 8

C’è speranza, in questo Paese: e quando capiremo che non dobbiamo delegarla ad altri ma costruirla da soli, allora avremo una politica, una società, persino un giornalismo migliore. Mattia Feltri, direttore dell’Huffington Post e firma de La Stampa, non molla: siamo stati una grande cultura, potremmo esserlo di nuovo. Le soluzioni magiche non ci servono, eppure le votiamo regolarmente: la politica, in fondo, è lo specchio di quello che siamo, anche se una sorpresa è sempre possibile.

Domanda. Direttore, Pierpaolo Pasolini del 1974 scrisse: «L’Italia è un Paese ridicolo e sinistro». Non parlo di Giulia Cecchettin, sulla quale si sta esercitando pornografia sociale di massa: ma come vedi l’Italia di oggi?

Risposta. Mah, non è stata pornografia sociale: il suo caso è stato particolarmente forte emotivamente perché per almeno una settimana chiunque ha sperato fino all’ultimo che le cose finissero in maniera diversa. Tanti si sono sentiti in dovere di dire la propria: magari qualcuno ha esagerato ma credo che il dibattito di questi giorni sia stato utile e siamo stati meno peggio del solito. Credo che i nostri giornali siano depressivi per la sciocca abitudine che good news, no news (una buona notizia non è una notizia, N.d.R.). Non è vero, e ti faccio un esempio: non è una buona notizia che la legge di bilancio francese sia stata bocciata dall’Europa, ma stavolta l’Unione europea è stata più severa con la Francia che con noi. Quando trascuri una notizia così, stai facendo involontariamente diffamazione, perché rappresenti la realtà in modo parziale. E poi non mi piace la tendenza a denigrarsi di questo Paese.

D. Ma il giornalismo ha ancora una funzione? Penso a tuo padre Vittorio che ha pubblicato il suo libro sulle parole non politically correct: solo parole o c’è qualcos’altro?

R. Il giornalismo vive una fase difficile perché per tanti motivi abbiamo tanti problemi di sostenibilità non guadagnando più i soldi di una volta. Quando hai pochi soldi hai poca qualità: perb credo che i giornalisti in sé stiano vivendo una fase dell’oro, perché con i social oggi raggiungiamo una quantità di persone inaudita. È vero che non amo moltissimo il giornalismo odierno, perché mette i fatti al servizio delle proprie idee e non viceversa. Siamo vissuti come attori della battaglia politica, non come narratori della vita pubblica. Sbagliato: è ovvio che si debba fare anche battaglia politica, ma spesso è troppo al servizio del consenso del leader di riferimento. Al Foglio con Giuliano Ferrara, tanti anni fa, scherzavamo dicendo che i giornalisti prima che le suole dovrebbero consumare il cervello, usarlo un po’ di più. Andare più in profondità nelle cose, e non è facile.

D. Dov’è l’approfondimento sulla morte di Giulia Cecchettin?

R. Ci sono moltissime possibilità: noi, su Huffpost (ma non soltanto noi) siamo andati a scandagliare bene i dati: i reati violenti, in Italia, sono in calo da molto tempo ma il femminicidio no (e c’è da riflettere); il tasso di femminicidi è più basso rispetto alla media europea. Aiuta a ricondurre il problema in una dimensione precisa. Ho provato ad applicare qui il principio di responsabilità collettiva di Hannah Arendt: noi tutti siamo partecipi della società in cui viviamo nel bene e nel male. I giornalisti devono essere più preparati, colti, capaci di trovare le idee giuste per narrare quanto succede… ci si pub riuscire.

D. E in tutto questo, la politica?

Se passerà il premierato nascerà la Terza Repubblica: eppure sembrano esserci un’opposizione assente e una maggioranza che cerca di fare quel che può.

R. Se non ci mettiamo in testa che la politica è una responsabilità collettiva non ne verremo mai fuori: è un’eterna tensione a dare la colpa agli altri, l’incapacità di andare al cuore dei problemi. Eppure è la prima volta di una donna a capo del Governo, che è una cosa positiva; e ce n’è un’altra a capo dell’opposizione. Mi sembra l’unica novità oggi, per il resto mi sembra la solita grande confusione. Basto- nano il ministro Francesco Lollobrigida che, diretto a Caivano (Na) per un evento, ha fatto fermare il treno a Ciampino per prendere l’auto blu. Doveva partire in auto blu e non in treno, perché da ministro della Repubblica ha l’auto blu per fare prima. Se trent’anni dopo Mani Pulite non abbiamo ancora capito questa cosa… buonanotte!

D. Ma allora chi ci salva? Il generale Roberto Vannacci? Un intervento esterno?

R. Eh no, la domanda è sbagliata: chiedere “chi ci salva” è scaricare le responsabilità, perché stai dicendo che pub salvarti solo qualcun altro. E finché ragioneremo così non ci salveremo mai, dobbiamo salvarci da soli.

D. E che cosa dovrebbe fare la politica?

R. Ci si candida alle elezioni proponendo un’idea di mondo, cosa che la politica non fa: il vero disastro dei Cinque Stelle non fu il vaffanculo, ma dire: «Diteci voi quel che dobbiamo fare». No: dimmi tu che cos’hai in testa e ti dirti se mi piace. Il grande errore della politica è comportarsi da giocatore di poker, un eterno rilancio: se tu prometti di creare 1 milione di posti di lavoro, io darti 1000 euro ai disoccupati. Chi fa un discorso di verità non lo vota nessuno.
(Continua su Italia Oggi)

 

 

 

 

 

(Nella foto Mattia Feltri)