Pubblicato il 22/09/2023, 17:03 | Scritto da La Redazione

Il nostro calcio, sempre più squattrinato e meno interessante

Il nostro calcio, sempre più squattrinato e meno interessante
La serie A non si farà prendere per il collo», ha dichiarato l'ad della Lega di calcio di serie A Luigi De Siervo. Se solo bastassero i proclami, la vita dei club italiani non sarebbe un tirare a campare fra patrimoni impiombati dai debiti e deficit di conto economico.

Diritti tv il piatto piange e il calcio pure

L’Espresso, di Gianfrancesco Turano, pag. 57

La serie A non si farà prendere per il collo», ha dichiarato l’ad della Lega di calcio di serie A Luigi De Siervo. Se solo bastassero i proclami, la vita dei club italiani non sarebbe un tirare a campare fra patrimoni impiombati dai debiti e deficit di conto economico. Gli aguzzini ai quali si riferisce la frase di De Siervo sono i network impegnati in una battaglia sui diritti tv a partire dal torneo 2024-2025. Il negoziato condotto su basi di trattative private dopo il bando pubblicato a maggio ha il suo prossimo appuntamento il 15 ottobre con tre possibili esiti. Primo, l’accettazione delle offerte al ribasso rispetto al triennio in corso. Secondo, il varo del canale della Lega, una sorta di “al lupo al lupo” vociato da tempo immemore che dovrebbe terrorizzare i pretendenti tirchi Dazn, Sky Italia e Mediaset. Infine, un grande classico: pallonata in tribuna e guadagniamo tempo. Già adesso, a cinque mesi di distanza dal bando con i suoi otto pacchetti modello kamasutra, è stato superato il tempo del giro precedente quando passarono tre mesi fra il dicembre 2020 della pandemia al marzo 2021. Allora arrivarono alle squadre 927,5 milioni di euro totalizzati fra i 840 dei vincitori di Dazn e gli 87,5 di Sky. Oggi la richiesta della Lega per il rinnovo triennale è di 1,15 miliardi annui che diventano 1,265 in caso di quadriennale e 1,38 in caso di quinquennale che arriva al campionato 2029-2030. La proposta delle piattaforme è orientata verso il 6-3-1, che non è un modulo tattico ultracatenacciaro ma la formula mista tra sei match in esclusiva (Dazn), tre in coesclusiva (Sky-Dazn) e un anticipo in chiaro su Mediaset che è una novità assoluta. Secondo le cifre ufficiose trapelate, il conto è il seguente. Dazn, società di Leonard Blavatnik, oligarca post sovietico con passaporto britannico e statunitense, mette sul piatto fra i 700 e i 750 milioni, con una riduzione consistente del contratto in essere. È un taglio necessario perché gli abbonamenti all’app in streaming, che hanno avuto un picco di 1,93 milioni a metà del primo anno (2021-2022), portano in cassa forse 600 milioni di euro, ma forse 500, in un contesto di gruppo che ha perso 6 miliardi di dollari in cinque anni. Sky è salita fra i 100 e i 120 milioni. Da Mediaset si calcolano 60 milioni. Il conto totale massimo porterebbe ai 930 milioni del contratto in corso, euro più euro meno.

Ma il conto totale massimo è, allo stato, un’ipotesi impraticabile. Sky alza il prezzo su una promessa di avere più partite di cartello fra le sue tre, a fronte di un trattamento attuale giudicato insoddisfacente. Dazn abbassa l’offerta per venire incontro a Sky. Ma l’entrata in scena di Mediaset significa fare quadrare il puzzle con un pezzo preso da un’altra scatola, quella della tv free-to-air. Pier Silvio Berlusconi paga e pretende un anticipo di livello con un grande club. Questo, allo stato, impoverisce il bouquet di Sky. Non sembrano le condizioni migliori per chiudere il gap comunque ampio rispetto alla richiesta di 1,15 miliardi. Per fortuna c’è tempo fino a giugno. Ma il passo di lumaca è il risvolto duramente reale degli annunci della Lega e di qualche presidente sugli imminenti rialzi d’asta di Apple, di Amazon, di Discovery e di altri colossi dell’imprenditoria globale che, all’atto pratico, non sono scesi in campo. Un habitué delle riunioni della Lega sintetizza: «Va male male male. I diritti sono una bolla speculativa perché il calcio italiano è brutto. Poi possiamo inventarci qualunque cosa: la media company voluta dalle tre grandi Juve-Inter-Milan, il canale della Lega evocato da Aurelio De Laurentiis, un ritocchino ai vecchi prezzi. Ma è come avere lo stadio di proprietà. Se lo spettacolo non è attraente, il pubblico non ci va». Anche perché il pubblico, soprattutto chi siede in poltrona, rumoreggia. Gli abbonamenti costano sempre di più, la varietà delle proposte tecnologiche mette in confusione i non nativi digitali e il calcio ignora i ribassi di prezzo. I club bruciano in fretta le risorse dei network. Il rapporto tra costo del lavoro e ricavi nella Premiership inglese, che incassa quattro volte i diritti tv della serie A e il doppio solo dai diritti esteri, è del 70 per cento. Nel calcio italiano la proporzione è del 160 per cento: ogni dieci euro incassati, sedici vanno a calciatori e procuratori. Su questo sistema economico fragilissimo si è appena abbattuto il paradosso saudita.
(Continua su L’Espresso)