Pubblicato il 10/07/2023, 19:02 | Scritto da La Redazione

Emanuele Filiberto di Savoia: Non mi pento di aver aperto la porta alle telecamere Netflix

Emanuele Filiberto di Savoia: Non mi pento di aver aperto la porta alle telecamere Netflix
«Addolorato», e un po' sorpreso. Emanuele Filiberto di Savoia raggiunto dal Corriere, prova a ostentare calma ma traspare presto il dispiacere per quelle frasi carpite al padre in un fuorionda del documentario II Principe su Netflix. Così la sua intervista sul Corriere del Sera.

I Savoia e il fuorionda su Juan Carlos Emanuele Filiberto: «Addolorato»

Corriere della Sera, di Enrica Roddolo, pag. 11

«Addolorato», e un po’ sorpreso. Emanuele Filiberto di Savoia raggiunto dal Corriere, prova a ostentare calma ma traspare presto il dispiacere per quelle frasi carpite al padre in un fuorionda del documentario II Principe su Netflix. Vittorio Emanuele di Savoia racconta a telecamere spente di quando i Savoia erano in esilio in Portogallo e Alfonso, fratello del futuro sovrano Juan Carlos dopo il franchismo in Spagna, mori a 15 anni per un tragico incidente: «Ero presente — avrebbe detto a fine riprese — si andava a sparare a dei barattoli in mare. Juanito ha fatto un casino… non gli ha sparato diretto ma attraverso un armadio, lui era lì per caso, un incidente». Un colpo partito accidentalmente da un revolver, con un dibattito su come fosse stato possibile. «E una storia risaputa questa dell’incidente del 1956 — dice Emanuele Fliberto —. lo e mio padre rispettiamo re Juan Carlos che è sempre stato vicino alla nostra famiglia. Una triste vicenda, e sinceramente non valeva la pena riparlarne. E poi, mettere nel documentario la conversazione privata tra due persone… e che nulla c’entra con la storia di mio padre. Ci spiace sia uscito un fuorionda che non ha ragion d’essere in un racconto su altro».

Pentito di aver aperto la porta alle telecamere?

«Pentito no, abbiamo avuto modo io e mio padre di dire la nostra e voglio restare amico di Beatrice Borromeo, le ho dato fiducia per il documentario ma… non mi piace che adesso per promuoverlo, per far pubblicità al lavoro su Netflix, si rivanghino storie come questa che non c’entra nulla. E poi non è nuova».

In che senso è storia nota?

«Beh, su Wikipedia c’è una letteratura su questo fatto presunto… come non mi piaciuto si sia riaperta la vicenda dei terribili fatti dell’isola di Cavallo del 1978 in cui rimase tragicamente ferito a morte il giovane Dirk Hamer, momenti che hanno segnato anche la storia della mia famiglia. Su questa vicenda si è pronunciata una giuria popolare di 12 giurati in Francia, la questione è chiusa: l’innocenza di mio padre è stata stabilita ormai trent’anni fa dalla Corte d’Assise di Parigi, che l’ha completamente scagionato. O vogliamo fare di un documentario un nuovo tribunale?».

Principe, ha aperto lei la porta. Per chiarire, I Savoia hanno qualche Interesse nel documentario Netflix? Avete una parte nella produzione?

«Se mi chiede se siamo stati pagati per prendervi parte, la risposta è no. Abbiamo soltanto accettato di parlare. La produzione è della società di Beatrice Borromeo. Poi, diciamo che pensavo sarebbe stato un documentario sulla vita di mio padre e ho scoperto poi essere quasi solo sulla vicenda di Cavallo… e non mi va che per far parlare del documentario si accendano i riflettori così. Anche il tornare su quella registrazione di mio padre a Potenza in cui avrebbe parlato delle sue responsabilità. Era solo pieno di tranquillanti e farmaci: non era una confessione».

Avete altre collaborazioni in vista con Netflix?

«No, nulla».
(Continua sul Corriere della Sera)

 

 

 

 

 

(Nella foto Emanuele Filiberto di Savoia)