Pubblicato il 07/07/2023, 17:02 | Scritto da La Redazione

Paolo Veronesi: Il suicidio? Un tema di cui la società ha paura

Paolo Veronesi: Il suicidio? Un tema di cui la società ha paura
Paolo Genovese ha voluto esprimere il suo ottimismo in "Il primo giorno della mia vita". Il suo ultimo film, che esce oggi al cinema, affronta "un tema di cui la società ha paura: il suicidio", secondo le sue stesse parole. Ma lo fa da una prospettiva luminosa, in cui c'è spazio per le seconde possibilità e in cui abbraccia il dolore dei suoi protagonisti. Così su ABC.

Paolo Genovese: «Il cinema sulle piattaforme è come bere un buon vino in un bicchiere di plastica»

ABC, di Adrian G. Penacoba, pag. 41

Paolo Genovese ha voluto esprimere il suo ottimismo in “Il primo giorno della mia vita“. Il suo ultimo film, che esce oggi al cinema, affronta “un tema di cui la società ha paura: il suicidio”, secondo le sue stesse parole. Ma lo fa da una prospettiva luminosa, in cui c’è spazio per le seconde possibilità e in cui abbraccia il dolore dei suoi protagonisti. Con il suo solito tono psicologico, il regista stabilisce l’importanza della compagnia nel dolore e dell’empatia senza condiscendenza, in un dramma leggero che cerca di trasmettere il messaggio che la vita vale la pena di essere vissuta. Tratto dal suo omonimo romanzo del 2018, Genovese presenta un cast di personaggi che si trovano in bilico tra la vita e la morte: Daniele (Gabriele Cristini), un ragazzo influencer in sovrappeso; Arianna (Margherita Buy), un’agente di polizia che sta affrontando una recente perdita; Napoleone (Valerio Mastandrea), un oratore motivazionale impantanato nella routine; ed Emilia (Sara Serraiocco), un’ex ginnasta ora su una sedia a rotelle. Accompagnati da un simpatico uomo misterioso, interpretato da Toni Servillo, i quattro protagonisti affronteranno i mostri che divorano. Il film di Genovese vanta un cast di attori italiani davvero “premium”: tra loro hanno vinto 16 David de Donatello (l’equivalente del Goya in Italia): quattro per Valerio Mastandrea, cinque per Toni Servillo e sette per Margherita Buy, che detiene l’attuale record di statuette. Il film è diviso in sette atti; sette giorni in cui i suoi protagonisti devono fare i conti con la perdita e la frustrazione per ritrovare la voglia di esistere, per accettare la possibilità di tornare alla propria vita come se fosse il primo giorno.

“C’è sempre la possibilità di ricominciare. C’è sempre una seconda possibilità”, dice Genovese a proposito di un film che non nasconde di voler alludere a un quinto protagonista: quello che sta dall’altra parte dello schermo. Non è la prima volta che il suicidio compare nel suo lavoro, egli ritiene che sia “un tabù” parlare di questa pandemia silenziosa di cui abbiamo iniziato a prendere coscienza solo di recente. “È un tabù personale, perché chi pensa di togliersi la vita ha deciso di aver perso, ha deciso di arrendersi e quindi si vergogna. Inoltre, il fatto che la società abbia paura di un argomento così duro lo rende un tabù. È più facile parlare di cancro, una malattia grave: la esterniamo, ci sono terapie. La religione condanna l’atto, che è un tabù religioso. Tutte queste condizioni fanno sì che non si voglia affrontare l’argomento”, spiega l’italiano. Genovese è anche l’autore di “Perfetti Sconosciuti”, un film che è stato adattato 23 volte in versioni straniere – quella spagnola di Álex de la Iglesia – più altre due in arrivo. “Mi piace raccontare storie che possano essere comprese in tutto il mondo”, dice a proposito del successo globale di un film che ha raccolto tre David di Donatello e due Golden Globe. Il regista aggiunge che “quando è uscito [nel 2016], stavamo appena iniziando a capire come il telefono cellulare stesse rivoluzionando le nostre vite. Guardare un film che analizzava questa rivoluzione era come una psicoanalisi collettiva”. L’autore è stato più volte critico nei confronti delle nuove tecnologie. “La rappresentazione della felicità che vediamo sulle reti è solo apparente. Ci dicono che dobbiamo essere belli, essere i primi, essere ricchi… Si crea una sensazione di disadattamento nell’utente quando pensa che questa sia la realtà”, sottolinea. Inoltre, difende apertamente l’esperienza del grande schermo: “Le piattaforme entrano nelle case di tutti e i numeri sono enormi. Ma il cinema trasmette sensazioni che non possono essere trasmesse in nessun altro modo”, e apprezza che “è come bere un buon vino: non è la stessa cosa berlo in un bicchiere di cristallo o in un calice di plastica”.
(Continua su ABC)

 

 

 

 

(Nella foto Il primo giorno della mia vita)