Pubblicato il 25/11/2022, 18:57 | Scritto da La Redazione

Gialappa’s Band: “Abbiamo portato la radio in Tv, ci davano dei folli, ma abbiamo avuto ragione noi”

Gialappa’s Siamo solo tre cialtroni geniali

Venerdì di Repubblica, di Antonio Dipollina, pag. 136

Il titolo è inevitabile (Mai dire noi), il sottotitolo idem (Tutto quello che NON avreste voluto sapere): il resto del libro, invece, no. Anzi. I tre della Gialappa’s Band avrebbero potuto cavarsela, decidendo di cedere all’autobiografia, con qualcosa di maniera e che mettesse in vetrina i momenti top di una carriera che parte dagli anni Ottanta, produce ancora frutti ma che nella parte centrale, la tv e il culto dei vari Mai dire gol eccetera, ha segnato un’epoca televisiva. Invece il libro appena uscito per Mondadori somiglia assai alla storia meno conosciuta dei tre – Carlo Taranto, Giorgio Gherarducci, Marco Santin in rigoroso ordine sparso: quella del superamento a ogni costo della pigrizia innata e personale di ognuno, trasformandola nell’esatto contrario. Quasi un accanimento sul lavoro, montagne di ore a preparare minuzios amente tutto, l’implacabilità nel fare scelte—sui comici, per esempio,dicendo solo tu sì, tu sì, tu no, tu no, perché il resto appartiene alla televisione. E loro— controllare il racconto degli inizi radiofonici — sono un’altra cosa. Ovvero, è un libro stracolmo di cose e ce n’è per tutti, in ogni senso. Si va in ordine abbastanza cronologico, ma ci si scatena sempre. I tre “cialtroni geniali”— dalla prefazione di Walter Veltroni — partono con pagine di dialogo incrociato che sono, di per sé, un testo che farebbe spellare le mani agli spettatori, se portato in teatro. È un libro dove si ride sempre, per non parlare di storie, retroscena, scorribande, incontri comici e con comici per cui, se uno fosse anche solo minimamente interessato a quella storia e a quelle storie, ogni riga è appagante. E, appunto, non era scontato. Ma se i tre non fossero così, massicci quando serve, la loro storia sarebbe stata profondamente diversa.

Ci sono aneddoti formidabili (Giorgio che per guadagnare qualcosina agli inizi dava ripetizioni di matematica al figlio di un ex sindaco di Milano: «Era disperante e allora ogni volta che sbagliava lo costringevo a fare dieci flessioni. E quindi gli è venuto un gran fisico e ha almeno imparato a contare fino a dieci»). E c’è la storia di come la tv commerciale in espansione fu la fucina, tutto negli stessi pochi anni, di persone, autori, dirigenti che sarebbero andati molto lontano. Per non dire della ricerca dei comici («Prima difficile» spiega Carlo «poi iniziarono a bussare loro, tutti quanti»), la robusta formazione radiofonica che li plasmò e li condusse a quella formula, le voci fuori campo, senza mai derogare, che apparteneva solo a loro e diffidare dei tentativi di imitazione nel tempo. Arrivando dai “famigerati anni 80”, riuscire così a fare emergere il grottesco e insensato di quell’epoca, scovare nelle tv locali personaggi anche erano gli influencer di allora, in qualche modo» (Marco), vedi gente come il Mago Gabriel —fermo restando che la sparizione dei volti in favore delle voci voleva essere già, di suo, appunto il contrario della necessità di apparire che si diffondeva allora e che ci funesta, all’ennesima potenza, oggi. Giorgio: «Chiunque avrebbe detto che portare il meccanismo radiofonico in tv sarebbe stato follia. Ci siamo riusciti e sono soddisfazioni». Le storie, spesso con il racconto dettagliato, di quanto andava accadendo in quel ramo sono pura delizia per chi è interessato a cose televisive, mentre gli altri possono divertirsi e basta: autori a Drive In, per esempio, e un rapporto con Antonio Ricci sempre un po’ altalenante (a rubarsi filmati divertenti l’uno con l’altro). Spiegano in coro: «A pensare che eravamo meno che trentenni e avevamo una lib ertà d’azione clamorosa, non ci si crede ancora. Ma la tv era quella, c’era la pubblicità, i soldi correvano e poi scoprivamo cose impensabili: per esempio la voglia del mondo del calcio, i calciatori, soprattutto, di sgelare se stessi e l’intero ambiente. Oggi sarebbe impossibile». E poi quella parola chiave: gavetta. Alla quale, nel momento in cui i tre diventano ufficialmente i talent scout infallibili, tutti si assoggettano volentieri: «I raffronti con il presente fatto di presenze tv immediate, al secondo giorno di prove, e sparizioni per sempre assai repentine, è lì a disposizione». Fermo restando che l’autobiografia collettiva è tutto fuorché un dichi ararsi fuori dai giochi. «Ci sono progetti: aspettate e vedrete. Ma il mondo è cambiato davvero» dice Carlo «e fare la lotta al web, che significa un mondo immediato di battute e reazioni e fatturati ridicoli, è diventata un’impresa assurda».
(Continua su Il Venerdì di Repubblica)

 

 

 

 

(Nella foto La Gialappa’s Band)