Pubblicato il 06/09/2022, 19:03 | Scritto da Francesco Sarchi

Bruno Barbieri: “La passione per la cucina nasce dal desiderio di viaggiare”

Bruno Barbieri: “La passione per la cucina nasce dal desiderio di viaggiare”
Lo Chef stellato, che tornerà domenica su Sky con il suo "4 Hotel" si racconta al Corriere della Sera: gli inizi difficili, la diffidenza del padre, il successo e il rapporto con i colleghi.

«Papà non mi voleva cuoco, lo convinsero i vicini di casa Il migliore? Cannavacciuolo»

Corriere della Sera, di Chiara Maffioletti, pag. 25

È diventato maggiorenne a New York, Bruno Barbieri. «Sono partito dalla provincia di Bologna a 17 anni, con la firma dei miei genitori per poterlo fare. Avevo deciso di lavorare come cuoco sulle navi da crociera». Passato qualche anno — «ne ho compiuti sessanta e mi rompe proprio le palle questa cosa» — l’America è diventata casa sua. «Il punto è che ho sempre cercato nella vita di fare cose che mi potessero stimolare, rincorso orizzonti nuovi. E così, alla mia età, ho deciso di approfondire il mio inglese, che non era un granché. Ho preso casa vicino a Miami e ci resto per una buona parte dell’anno… ormai ho anche imparato a fare i barbecue, da vero americano».

Ha dalla sua sette stelle Michelin, non le sarà risultato difficilissimo…

«Beh ma attenzione, perché qui sulla carne sono preparatissimi, bisogna togliersi il cappello. Per fare il barbecue conta anche il tipo di legna che si usa, l’affumicatura, tante cose. Insomma, c’è sempre da imparare».

Come è nata la sua passione?

«Più che altro dal desiderio di viaggiare. Ero bravo, certo. Fin da piccolo avevo una certa manualità. Ho avuto la fortuna di crescere con una mamma, una nonna e due sorelle meravigliose. Con mia nonna, in particolare, facevamo il pane tutti i giorni, poi le conserve… a tre anni mangiavo le tagliatelle con i tartufi, per dire. Lei e mio La svolta C’è un piatto che ho mangiato nel 1983 e mi ha cambiato la vita: un germano reale ripieno di astice, con una salsa ai frutti rossi. Lo inventò un genio, Igles Corelli nonno gestivano per la curia di Bologna un appezzamento e ci piantavano di tutto».

E dunque cosa c’entra il viaggio?

«Mio padre per lavoro viveva in Spagna: noi lo raggiungevamo in estate e così io, fin da molto piccolo, ho imparato a viaggiare. Questa cosa mi stimolava parecchio, oltre al fatto che forse per me aveva un significato diverso: viaggiare voleva dire raggiungere lui. Quindi a un certo punto ho pensato a un mestiere che mi permettesse di farlo».

Ed ecco la cucina.

«Lui non era d’accordo, mi avrebbe voluto ingegnere credo. Furono i miei vicini di casa a convincerlo ma penso che alla fine, quando è morto, fosse consapevole e felice di aver visto cosa ero riuscito a fare. Non melo ha mai detto, ma io resto convinto che avesse capito di avere avuto torto».

Non glielo ha mai chiesto?

«Forse sono una persona un po’ troppo orgogliosa. Semplicemente dentro di me mi sono detto: ok, va bene, vuoi che non faccia questo? ti dimostrerò che ti sbagliavi».

Momenti difficili?

«Eccome. A bordo c’era una gerarchia militaresca e io, a i8 anni, comandavo gente anche molto più grande di me, visto che mi avevano dato da subito quel ruolo… si può immaginare come ho sofferto. Non mi è stato regalato niente e non ho mai chiesto niente alla mia famiglia. Ho anche dovuto vivere senza soldi, all’inizio. Ma avevo la mia idea in testa, sapevo dove volevo arrivare. Poi, certo, ci vuole anche fortuna».

Come mai era rimasto senza soldi?

«Parlo proprio dell’inizio. In nave dormivo in una cabina con altre tre persone: mi rubarono subito tutto per darmi il benvenuto. Sono rimasto un mese e mezzo senza una lira, non avevo i soldi per comprare una bottiglia d’acqua. In pratica non scendevo dalla nave. Ma non mi sono arreso, perché nel mentre avevo anche capito cosa voleva dire avere un mestiere in mano».

Non ha mai pensato di non farcela?

«No, ma di certo questa cosa mi ha fatto diventare adulto prima del previsto. Ho sempre pensato che dovevo cavarmela da solo e l’ho fatto. Sulle navi ho iniziato presto a far capire come la vedevo: il mio nome era dappertutto, mi alzavo alle quattro di mattina e facevo 400 omelette… lavoravo tutto il giorno. Ho imparato in fretta a prendere tutti i miei treni al volo, pensando che un giorno, presto o tardi, il mio momento sarebbe arrivato».

E così è stato. Tra tanti, ha cucinato anche per Andy Warhol

«La vita di uno chef è tentare di raccontarla dentro un piatto. Lui diceva che il cibo è una cosa che entra da un buco e ne esce da un altro, poi però la fortuna della sua vita con cosa l’ha fatta? Con quella scatoletta di pomodoro che conosciamo tutti».
(Continua sul Corriere della Sera)

 

 

 

(Nella foto Bruno Barbieri)