Pubblicato il 25/07/2022, 17:02 | Scritto da La Redazione
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La nuova moda? Indossare la propria serie Tv preferita

«Stranger Things» porta i brand nel Sottosopra delle serie tv

Il Sole 24 Ore, di Francesco Prisco, pag. 14

Capsule collection. Otto partnership diverse dedicate alla quarta stagione della saga dei fratelli Duffer perché la storia ha un suo «popolo»: la sfida dei marchi è sempre di più quella di intercettare tribù

Certe serie televisive non finiscono mai. Il caso di scuola è senza dubbio Stranger Things, saga di Netflix a firma dei fratelli Duffer che, a cinque anni dal debutto, ha appena tagliato il traguardo della quarta stagione. E non parliamo dell’inedita dilatazione della durata degli episodi che, in alcuni casi, ha toccato il minutaggio kolossal da 2,22 ore. Le avventure dei ragazzi di Hawkins non finiscono mai perché, dopo che abbiamo schiacciato il tasto stop sul nostro telecomando, continuano in un Sottosopra che non è quello abitato da Vecna. Molto più semplicemente, è il Sottosopra delle nostre vite: possiamo indossare una t-shirt dell’Hellfire Club come Dustin (Caten Matarazzo), infilare tutto quello che ci serve in uno zaino degli Hawkins Tigers oppure giocare a fare gli eccentrici, vestendoci come Argyle (Eduardo Franco), il surfista che consegna pizze a domicilio. O ancora giocare a Dungeons e Dragons con il set ufficiale. Forse avrete già sentito dire che Stranger Things ha cambiato la grammatica delle serie tv, prodotto di punta della streaming economy. Ma quello che probabilmente non vi hanno detto è che la produzione dei Duffer Brothers, show da 3o milioni di dollari a puntata, ha rivoluzionato anche il modo di fare marketing attraverso le serie tv. Con uno strumento potentissimo: le capsule collection. Non è raro che un brand si leghi a un prodotto audiovisivo per lanciare una serie limitata, ma nel caso della quarta stagione di Stranger Things si contano addirittura otto partnership diverse.

Eastpak, per esempio, ha prodotto zaini e borse degli Hawkins Tigers, la squadra di basket del liceo frequentato dai protagonisti. Gli stessi che utilizza Max (Sadie Sink), personaggio fondamentale della quarta stagione. Il brand newyorchese Karl Kani ha riproposto tutto il vestiario hard e heavy degli adepti dell’Hellfire Club. Quicksilver, marchio storicamente legato alla cultura surf, ci permette di vestirci come i personaggi West Coast di Stranger Things, a cominciare dai dipendenti di Surfer Boy Pizza Con Champion puoi indossare la tenuta da basket di Lucas (Caleb McLaughlin). Se volete spendere poco, ci sono le t-shirt HeM o PulleBear. Poi si segnalano l’edizione speciale di DeD marcata Hasbro e i prodotti cosmetici anni Ottanta di Mac Cosmetics.

Negli Usa, grazie a Walmart, si può addirittura comprare la pizza surgelata Surfer Boy. «A livello concettuale, niente di troppo nuovo sotto il sole», commenta Paolo Iabichino, scrittore, pubblicitario e fondatore dell’Osservatorio Civic Brands. «Pensiamo a quanto accadde a partire dagli anni Trenta, prima alla radio e poi in Tv, con Sentieri, sceneggiato addirittura prodotto da Proctere Gamble. Serie e brand viaggiano sotto braccio dalle origini. Ma Stranger Things funziona perché ripropone schemi che conosciamo bene, innovandoli». Lo fa a livello narrativo – superbo il continuo stravolgimento del paradigma del Viaggio dell’eroe di Cristopher Vogler – e, insieme, anche sul piano del marketing. «Propone un modello di marketing reputazionale ed è un linguaggio che colpisce soprattutto i più giovani». Ma è anche vintage e, in questo modo, abbraccia trasversalmente le generazioni. «È un racconto generazionale – continua Iabichino – con teenager per protagonisti, ma è ambientato negli anni Ottanta e riesce a parlare con grande efficaciaa chi era ragazzo in quel decennio». Ecco allora che, davanti allo schermo, si ritrovano insieme figli e genitori. Un lavoro simile a quello che, negli anni Settanta, faceva Happy Days con gli anni Cinquanta americani. «Ai brand – sottolinea labichino – in questo momento storico piace molto il vintage. Il filone del cosiddetto retromarketing è prospero. E Stranger Things ha saputo inserirsi in queste dinamiche, facendola fila di inserzionisti fuori dalla porta».
(Continua sul Sole 24 Ore)

 

 

 

(Nella foto un momento di Stranger Things)