Pubblicato il 07/06/2022, 18:02 | Scritto da La Redazione

La nostalgia è una miniera d’ora per Tv e cinema

La nostalgia è una miniera d’ora per Tv e cinema
“Stranger Things” (Netflix) è il simbolo della… creatività che guarda al passato per sedurre vecchie e nuove generazioni. Così il “Maverick” di Tom Cruise non dimentica le piroette aeree nel tardivo (e campione d'incassi) sequel di "Top Gun". E Jeff Goldblum, Laura Dern e Sam Neill sono ancora perseguitati quasi tre decenni dopo, in "Jurassic World: Dominion", dal temibile T-Rex, anche se geneticamente modificato. L’analisi sul giornale spagnolo “ABC”.

La fiction scivola nel lato oscuro della nostalgia

ABC, pagina 38, di Lucía M. Cabanaelas.

Il nuovo Star Wars tutto sembra essere fatto alla velocità della luce, in fretta. La piccola Leia corre come Willow e l’Obi-Wan Kenobi di Ewan McGregor continua ad assomigliare più all’uomo non lavato di Trainspotting che all’anacoreta di Alec Guinness, anche se per età e coerenza narrativa dovrebbe essere più vicino al saggio maestro che al padawan di un tempo. Non importa che la trama vaghi senza meta, che le regole di un universo con legioni di fan molto più potenti delle schiere di soldati imperiali siano perverse, o che l’ambientazione e le scenografie siano così povere che nemmeno i jawa di Tatooine potrebbero venderle al mercato nero. Lo “spettacolo” deve continuare ad ogni costo e la Disney lo sa.

Così come il resto degli studios e delle piattaforme, che cercano nel passato la formula di un successo che a loro sfugge. In mezzo a tanta oscurità, la loro sciabola luminosa si chiama nostalgia, la nostalgia di un tempo che molti non hanno vissuto e che altri hanno già dimenticato. Una miniera d’oro per un futuro incerto ma con una cascata di film e serie che ingrassano fino all’obesità un universo arido di idee, con ‘remake, reunion e altre invenzioni per ingannare la memoria. Stranger Things (Netflix) è il nuovo fenomeno di questo desiderio di prefabbricazione eterna, per vecchie e nuove generazioni.

Revival mania

Il Maverick di Tom Cruise non dimentica le piroette aeree nel tardivo (e campione d’incassi) sequel di Top Gun, e Jeff Goldblum, Laura Dern e Sam Neill sono ancora perseguitati quasi tre decenni dopo, in Jurassic World: Dominion, dal temibile T-Rex, anche se geneticamente modificato. Il passato, più della vita, si fa strada per guardare indietro, per riportare tutto indietro, anche l’Indiana Jones di Harrison Ford, per il quale l’età passa ma non pesa. L’universo di Star Wars non è nuovo a questa tendenza, esperto fin dal germe di George Lucas nello sfruttare al massimo un’idea che, se ben stirata, è redditizia. Quella galassia lontana, lontana è ora più vicina che mai. Sempre più ampliato. E, paradossalmente, sempre più saturo.

Un impero inesauribile

«Come in tutte le storie classiche, i loro personaggi hanno permeato la società, fanno parte dell’immaginario collettivo e questo li rende un patrimonio culturale di riferimento. Usiamo Don Chisciotte come riferimento di una persona che vive un sogno impossibile, El Buscón o La Celestina come riflesso del picaresco, la Sinfonia del Nuovo Mondo come inno alla speranza e Yoda come pozzo di conoscenza. Alcuni ne usano di più e altri più di altri; ci sono tutti», riflette l’onnipotente Arturo González-Campos.

Rinunciare a questa eredità sarebbe, per diverse generazioni, come strappare un pezzo di infanzia. Tornare indietro, invece, è una tentazione imperdonabile. Anche se si tratta di criticarlo. George Lucas volò su Tatooine per la prima volta nel 1977, quando iniziò una trilogia originale che in sei anni plasmò la mitologia dell’universo galattico e alla quale parteciparono Harrison Ford, Mark Hamill, Carrie Fisher e Alec Guinness. Quella storia ebbe un inizio e una fine: nessuno pensò di espandere l’universo per i successivi vent’anni. Nel 1999, il visionario Lucas ha rotto il suo silenzio narrativo per raccontare le origini di quella trama spaziale. Di nuovo in sei anni, la controversa trilogia prequel ha risolto le falle della Forza e la perversione di Anakin Skywalker in Darth Vader. Anche allora il regista fu accusato di aver sacrificato la qualità del suo lavoro a favore del puro business, non sospettando che la saga barocca fosse solo la punta dell’iceberg.

La saga di Lucas

Nel 2012, Disney ha acquistato la casa di produzione Lucasfilm e ha fatto esplodere il mercato. Da allora, l’impero si è espanso con romanzi, videogiochi e fumetti; ha dato vita a un’altra trilogia cinematografica, più criticata dei prequel; a due film spin-off (Rogue One e Han Solo), a una dozzina di produzioni animate e a un’altra manciata di serie, la metà delle quali ancora da realizzare e con attori affermati come Diego Luna (Andor) o Jude Law (Skeleton Crew). Facendo un bilancio, questo vulcano di contenuti ha vissuto più momenti bui che chiari, ma i fan non hanno perso la fiducia. Né la Forza.

L’azienda del topo, consapevole che le icone sono potenti quanto il merchandising, ha capito che ogni generazione ha bisogno della propria saga e che Star Wars si conquista con la fedeltà, fin da piccoli. Ewan McGregor lo ha riassunto durante la promozione della serie Obi-Wan Kenobi (Disney+), la cui magia sta proprio nel recuperare l’unico personaggio sopravvissuto a diverse generazioni. «Quando i vecchi film sono usciti non sono stati accolti bene perché non c’erano i social network o un modo diretto per rivolgersi ai fan, che erano bambini, come me quando uscì Una nuova speranza: avevo 6 o 7 anni e non dimenticherò mai quella sensazione e il mio rapporto con la trilogia originale», ha detto l’attore.
(Continua su ABC)

 

(Nella foto Obi-Wan Kenobi)