Pubblicato il 25/03/2022, 19:03 | Scritto da La Redazione
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Diego Abatantuono: Vorrei fare il mio funerale festeggiano con gli amici di una vita

Diego Abatantuono: «Il mio funerale da festeggiare con i vecchi amici»

La Repubblica, pagina 40, di Arianna Finos.

Abatantuono 8 e 1/2. Un girotondo tra festa e ricordi, morti e vivi, affetti e rimpianti, confessioni e tenerezze. L’Attila di una vita cinematografica fa, il Babbo Natale di ieri, apre come mai aveva fatto prima le porte della sua vita, con sincerità e ironia, orgoglio e dolcezza. Si potrebbe andare tutti al mio funerale è il libro scritto con l’amico Giorgio Terruzzi, edito da Einaudi. Un racconto in soggettiva che parte da uno strano risveglio, dopo un sonno che potrebbe essere quello della morte, nella casa invasa di amici e schegge di passato.

Si tengono per mano i personaggi del suo film lungo 66 anni, quelli celebri o sconosciuti al pubblico, Jannacci (naturalmente) e Marlon Brando, Mastroianni e l’amata moglie Giulia, Biofa il camionista e Francis Turatello, i Gatti di vicolo Miracoli. E Gassman, Scola, Salvatores, Villaggio… L’intervista, al telefono, è dal casale nelle campagne di Riccione che è la location della sua storia. Abatantuono cerca il posto più comodo, al sole. Ha molto da raccontare.

Come nasce questo libro?
«Dalla mia casa, sempre piena di gente. Il primo titolo doveva essere Il panno azzurro, quello che nella mia famiglia si mette sul petto quando uno è malato. Ma poi ho preso il verso, parafrasando Jannacci, che racconta la mia vita, un mondo di frequentazioni. C’è chi si compra le macchine, chi cambia mogli, chi fa i viaggi, la mia passione è da sempre stare con i miei amici, ho sempre investito in case che ospitassero tanta gente. Quando è morta mia mamma abbiamo fatto una festa fantastica con gli amici. Sono venuti da Roma e Milano, di tutti i mestieri. Il risultato è un libro in cui ci sono le mie riflessioni ma anche i pensieri degli altri raccolti da Terruzzi. Le interviste ai miei figli non avrei mai potuto farle io».
I suoi figli raccontano la disavventura con lo tsunami alle Maldive e il loro papà in difficoltà.
«Ho avuto grandi fortune e tante microsfighe. Sono nato al Giambellino, poco studio, amici finiti male, eppure sono stato uno slalomista e ho colto tutti i vantaggi che ho incontrato. Tra le microsfighe, quella di trovarmi con la famiglia alle Maldive, vedere l’acqua ritirarsi aspettando, sbagliando, di essere travolti. Quando ha invaso la stanza mi sono messo a riempire le valigie di acqua e coca-cola per poi scappare sul tetto. Ma pesava e mi è venuto il colpo della strega. Cercavo di non far trapelare la paura ai ragazzi, ho scoperto che non c’ero riuscito».

Nel libro racconta le fatiche di sua mamma guardarobiera al Derby e suo papà che lavorava poco al negozio di modellini e la tradiva.
«Allora sembrava normale, anche se lei avesse reagito nessuno l’avrebbe sostenuta. Vedevo che era sbagliato, ma lei cercava di trarre gioia da ogni momento senza farmi pesare nulla. La loro generazione ha imparato a vivere da separati in casa. Per me, per pigrizia, per l’immagine. Ma c’era anche complicità. Appena ho potuto li ho tolti dal lavoro, li ho fatti venire in questa casa, avevano 52 anni, più giovani di me adesso».
È strano immaginarla adolescente che soffre per l’acconciatura.
«I capelli ricci sono stati una delle grandi tragedie adolescenziali. Contava solo chi aveva il ciuffo. Passavo interi pomeriggi con la piastra. Quando mi sentivo figo uscivo ma viaggiavo in bus e a Milano il clima non concedeva possibilità. Mentre aspettavo che salisse la ragazza con cui dovevo andare a ballare mi vidi riflesso, i capelli dritti in un’orrida calotta. Sono tornato a casa, lei non l’ho vista mai più».

Il Derby era un microcosmo di politici, artisti, criminali. Colpisce il racconto di quando Francis Turatello le affidò la mamma.
«Non c’è nulla di inventato, anzi qualcosa ho mitigato per non sembrare poco credibile. Avevamo tutti intorno ai vent’anni, Teo Teocoli, Jannacci, Faletti… C’era un’allegria e una voglia di scherzare senza freni. Mi si presenta Turatello con una signora che poteva essere mia nonna ma era sua madre e me l’affida. Dovevo occuparmi delle luci ma ero terrorizzato che qualcuno dicesse parolacce, che la scambiassero per un comico travestito e le dessero una manata. Non so come siamo sopravvissuti».
Nel libro parla apertamente di quando faceva uso di droga. “Pippavamo quasi tutti a Milano”…
«Non ho mai assunto eroina, al Giambellino avevo visto morire troppa gente. Ho fatto in modo di fermarmi in anticipo, mai sull’orlo del baratro, ho sempre conosciuto me stesso e i miei limiti. Per un momento fu di moda il popper, una fialetta che credo servisse per rianimare le persone e a noi provocava un riso irrefrenabile. Ricordo una notte in diciotto dentro lo stanzino delle luci, uno sull’altro, incapaci di fermare le risate. Sono cose che puoi fare poche volte e lo stesso accadde con la cocaina. Fu una fase di passaggio che mi aiutò a distinguere»
(Continua su La Repubblica)

 

(Nella foto Diego Abatantuono)