Pubblicato il 07/03/2022, 17:02 | Scritto da La Redazione
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Beppe Vessicchio: La musica a Napoli arriva dal mare

Beppe Vessicchio: «Ornella Vanoni mi lanciò una scarpa dal palcoscenico. Sono cresciuto nell’amianto»

Corriere della sera, pagina 29, di Roberta Scorranese.

Maestro Vessicchio, è più rischioso il palco di Sanremo o un tour di interi mesi con Le Vibrazioni?
«Ah, che discoli».
Uno come lei, barba affilata e modi d’altri tempi, che viaggia assieme uno spericolato come Francesco Sarcina e alla sua band. E la vostra tournée è stata lunga.
«Le hanno provate tutte per scandalizzarmi. Una sera vengono a prendermi con il furgoncino. Sgommata, si apre la portiera laterale, spunta Sarcina con le braccia allargate come un diavoletto e, dietro, una spessa coltre di fumo».
Che non era di sigaretta.
«Penso proprio di no».
In teatro poi è stata una serata «stonata»?
«Ha presente l’effetto del fumo passivo?».

Lei fuma?
«Non potrei permettermelo, ho 65 anni ma polmoni non perfetti».
Perché?
«Sono nato e cresciuto a Bagnoli, papà era un funzionario dell’ex Eternit. Amianto dappertutto. Stavamo in un comprensorio di palazzine, quattro famiglie: i superstiti oggi sono pochi. Io, mio fratello e mia sorella giocavamo con le vasche d’amianto. Poi c’erano anche gli aghi di ferro dell’Italsider: noi bambini ci divertivamo a riempire dei sacchi di terriccio e poi a passarci sotto dei magneti. Vedevamo gli aghetti».
Lei ha preso il Covid, qualche settimana fa. Ha avuto paura?
«Diciamo che i miei polmoni non sono sanissimi. Papà è morto per complicazioni respiratorie, mia madre di tumore».
E la musica come è entrata in quella casa, «foderata di amianto», come dice lei?
«Noi siamo cresciuti con la musica. Canzoni napoletane da mettere sul giradischi la domenica pomeriggio, quando venivano le zie. Un fratello che cantava sin dal mattino. Io che volevo suonare la chitarra. Ma allora al Conservatorio non c’era il diploma per chitarra, così i miei mi iscrissero al Liceo Scientifico. Però scoprii che potevo frequentare il Conservatorio da uditore: non persi nemmeno una lezione sulle tecniche di direzione d’orchestra. Ero diventato amico di un custode che voleva diventare paroliere, gli davo una mano con i testi e lui mi facilitava l’ingresso, mi indicava gli orari giusti».

Forse senza l’obbligo degli esami si sentiva più libero nell’approccio alla musica.
«Proprio così. Mi ricordo che c’era Enzo Avitabile che studiava il flauto. Per lui e per tutti i professori ero una specie di curiosissimo abusivo».
Che musica le piaceva?
«Vede, molti si chiedono perché i cantautori napoletani siano così venati di blues, rock o jazz. Io ho una mia idea: nel porto di Napoli, negli anni Settanta e Ottanta, c’era un giornalaio che metteva da parte le riviste di musica americana destinate ai marinai statunitensi della vicina base Nato. Anche grazie a loro e ai loro dischi sono nate certe sonorità. Pensi a Pino Daniele. Noi amavamo tutto quello che veniva dal mare e così quando ascoltai per la prima volta Sergio Mendes con Mas Que Nada capii che a Napoli c’era un potenziale enorme. Non solo per questa commistione tra la canzone napoletana e le sonorità d’Oltreoceano, ma anche per un legame più impercettibile con alcune “repubbliche marinare” come Genova».
Un flash: Fabrizio De André che canta Don Raffaè, brano su Raffaele Cutolo.
«Precisamente. Oppure pensi a O frigideiro di Bruno Lauzi, che prendeva le mosse dal portoghese. Oppure ancora, per andare sul personale, la mia lunga collaborazione con Gino Paoli».

Ti lascio una canzone l’ha scritta lei.
«Conobbi Gino a casa di Maria Pia Fanfani, una cena piena di gente, c’era anche Stefania (Sandrelli, ndr.). Ci sistemammo nella stanza dei cappotti, gli feci ascoltare due miei brani. Concordammo sul migliore e quando io poi gli dissi “Bene, è fatta, lavoriamo assieme?” lui si alzò e, allontanandosi, mi rispose “No, manco so chi sei, non ti ho ancora baciato in bocca”».
Caratteraccio?
«Gli voglio bene. Gino ha una pallottola conficcata nel cuore eppure quando poi iniziammo a lavorare assieme e ci isolavamo a Ischia per giorni interi, lui beveva whisky e si immergeva in mare per oltre tre metri. Uomo fortissimo».
Perché poi lei ha studiato architettura?
«Perché quello che davvero mi interessa è il senso delle proporzioni, dell’armonia. È la prima cosa che cerco nella musica e forse anche nella vita. Ho bisogno di equilibrio, così come ho bisogno di avere vicino mia moglie».
(Continua su Corriere della sera)

 

(Nella foto Beppe Vessicchio)