Pubblicato il 10/02/2022, 19:32 | Scritto da La Redazione
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Alessandro Borghese: Sono il precursore degli chef in televisione

Alessandro Borghese: Sono il precursore degli chef in televisione
La nostra rassegna stampa, con gli estratti degli articoli più interessanti: dalle navi da crociera ai primi programmi di cucina in tv, per arrivare al successo e all’apertura del suo ristorante a Milano. Ecco la storia di uno dei cuochi più amati d’Italia.

Alessandro Borghese: umiltà ai fornelli

Forbes Italia, pagina 124, di Mirco Crocoli.

II coronamento di 30 anni di carriera di Alessandro Borghese ha un nome ben preciso, Ab – Il lusso della semplicità; una luxury location da circa 80 coperti, che fa parte di un gruppo operativo di oltre 50 dipendenti e che si trova nella moderna zona CityLife a Milano. La particolarità? Oltre a servire le sue ricercate pietanze espone opere d’arte inedite e allieta gli ospiti con un dj set tutte le sere. Naturalmente rock and roll, come lo specchio della sua entusiasmante vita. Giusta chiosa per un professionista che dall’età di 17 anni è tra i fornelli delle cucine più prestigiose del mondo. Cresciuto tra gli artisti – la madre è infatti l’attrice Barbara BouchetAlessandro ha preso un’altra strada. «Sentivo la necessità di crearmi da solo».

Un bisogno che lo spinse, neanche maggiorenne, a imbarcarsi sulla prima nave da crociera, alla pari, lavorando senza percepire un centesimo. Dopo anni di viaggi intorno al mondo, Borghese tornò in patria dove lanciò l’idea del “personal chef” a domicilio (poi divenuto un must) format della “cucina in tv” con gli antesignani programmi a tema enogastronomico via satellite, per Discovery Channel. Erano i primi anni Duemila. Da quel momento ha condotto oltre 20 trasmissioni da Cortesie per gli ospiti su Real Time, a Chef per un giorno per La7, da Ale contro tutti per Sky Uno a Cuochi d’Italia e Piatto Ricco per Tv8. Fino all’apprezzatissimo Quattro Ristoranti. Ha anche scritto cinque libri, ama la musica e gli sport motoristici ed è stato anche giudice di Junior MasterChef Italia. Considera la cucina il “lusso della semplicità”. Un atto d’amore per un lavoro che è un esuberante mix di tradizioni, eleganza, allegria e passione.

Ha viaggiato mezzo mondo: New York, Londra, San Francisco, Copenaghen, poi Parigi, la scuola di sommelier. E, infine, Milano e Roma. Insomma, la sua è una vita in movimento.
Tutto nasce da una forza e una voglia imprescindibile di realizzarsi e di fare qualcosa di concreto nella vita. Un ardimento e un desiderio di cimentarmi in qualcosa di diverso da quello che facevano i miei genitori. Mi ritengo una persona semplice che fa del lavoro un atto di devozione. Trent’anni intensissimi, di gioie e di dolori, ma colmi di ricchezza in termini di esperienza.
Era tutto nel dna?
Non proprio nel dna, ma nella voglia di rivalsa. Nello spirito di fare qualcosa costruendola da zero. Avevo il desiderio assoluto di affermarmi e di non voler fare l’attore: non seguire le orme di mia madre, una figura, sotto certi aspetti, anche ingombrante. Tuttavia ci tengo a precisare che i miei genitori mi hanno insegnato l’umiltà, la fatica e il lavoro. Questo è il loro più grande merito.
Come ha iniziato questo mestiere?
Avevo 17 anni quando mi sono imbarcato per la prima volta. Il bagaglio delle scuole americane ti porta a essere pronto a 360 gradi, ti insegna a fare squadra e a vedere le cose ad ampio raggio. E volevo girare il mondo, magari nelle cucine delle navi da crociera poiché cucinare mi divertiva. È senza dubbio la più bella esperienza che un giovane di quell’età possa provare. La prima volta salii a bordo alla pari: vitto e alloggio, ma senza stipendio. Dopo otto mesi arrivò una conferma positiva del mio operato e un ingaggio a 800 mila lire al mese. Ho viaggiato per altri tre anni, molto Mediterraneo, ma anche Sudafrica e tanto altro.
Dalle crociere al grande successo come ci è arrivato?
Costruire e costruire, con ottimismo, in maniera propositiva. La vera fortuna è stato l’incontro con mia moglie. Probabilmente senza di lei mi sarei perso in altre vie. Mia moglie mi ha completato, concretizzato, indirizzato, seguito, sopportato e supportato. Non ho buttato per strada quello che avevo fatto prima ed è stato fondamentale per tenere il timone della nave sempre ben dritto.

La città che le è rimasta più nel cuore?
Roma, il posto dove ho lavorato di più. Tuttavia anche i tre mesi a Parigi, i tre a New York, i sei a San Francisco e l’anno a Londra mi hanno formato in un’età in cui avevo grande fame di sapere e conoscenza.
E poi arriva l’indipendenza…
Mi sono messo in proprio inventando il ruolo del personal chef a domicilio. È nato dalla voglia di non voler lavorare per nessuno. Era il 2004, un anno di svolta. Stavo per ripartire per Hong Kong dove sarei dovuto rimanere per tre anni. E invece iniziai con la televisione. Arrivò un provino televisivo per Discovery Channel. Erano i primi anni del satellite. Fu la mia sliding doors.
Come fu l’approccio con il piccolo schermo?
Una sorta di conduzione con sperimentazione. C’era grande fermento per certi prodotti che stavano nascendo allora. Ricordo che i colleghi mi dicevano: “Stai in televisione? Dovresti stare in cucina”. Non posso negare di essere stato un precursore nel nostro comparto e di aver sdoganato un po’ la “cucina televisiva”.
Lei è molto amato dalle persone per i suoi modi gentili e garbati. Non ha nessuna “maschera” e non c’è finzione nel suo stile. L’umanità in primis?
Io faccio il cuoco: so bene quanti sacrifici ci sono dentro le cucine, e non solo. Prendersi troppo sul serio, in questo mestiere, è sbagliato. Dobbiamo distribuire felicità e gioia alla gente che viene da noi nel tempo libero. Se entro nei ristoranti di qualcuno, dove ci sono famiglie, mutui, sacrifici, pensieri, devo cercare di comprendere, aiutare se mi è possibile, consigliare, ma non certo infliggere sentenze irrevocabili. Stiamo parlando di persone che lavorano alacremente, con passione e amore. Il rispetto si antepone a qualsiasi “gioco” televisivo.
(Continua su Forbes Italia)

 

(Nella foto Alessandro Borghese)