Pubblicato il 26/02/2019, 17:04 | Scritto da Tiziana Leone

Pietro Orlandi: Torno a raccontare gli Scomparsi per dare voce a tante famiglie dimenticate

Con l’attenzione di un investigatore e la sensibilità di chi condivide lo stesso destino, Pietro Orlandi raccoglie i ricordi, le speranze e i rimpianti di coloro che, da anni, vivono come lui condannati alla pena di un’attesa eterna

La nuova stagione di Scomparsi, al via questa sera alle 22 su Crime+Investigation, punta i riflettori su sei sparizioni misteriose, sepolte dal tempo negli archivi della giustizia italiana, che rivedranno finalmente la luce, restituendo agli scomparsi il diritto di esistere e a chi ancora li aspetta quello di non essere dimenticati. Prodotto da B&B Film per A+E Networks Italia, diretto da Alessandra Bruno, scritto da Alessandro D’Ottavi, il programma vede Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, la ragazza scomparsa a Roma il 22 giugno 1983, girare per l’Italia in cerca di storie ancora tutte da raccontare.

Pietro, Scomparsi torna con la seconda edizione, vuol dire che con la prima aveva fatto centro?

«È andata bene, soprattutto perché bisogna sempre tenere alta l’attenzione su storie come queste. Anche se c‘è una possibilità su mille di poter risolvere qualcosa, quella possibilità va tentata». 

Qualcuno dei casi raccontati lo scorso anno ha avuto sviluppi?

«La storia di David Fedi, il ragazzo di Livorno, sulla cui scomparsa c’erano state molte incongruenze a livello di indagine. Dopo il nostro programma le forze dell’ordine si sono rese conto che era stato fatto ben poco, i familiari non erano mai stati ascoltati, c’erano situazioni particolari che andavano approfondite, ci hanno garantito che avrebbero fatto ulteriori indagini. Credo volessero addirittura riaprire l’inchiesta».

Certo fa rabbia che per riaprire un’inchiesta serva la tv…

«Purtroppo negli anni ci sono state tante sparizioni che non sono mai state prese in considerazione: quando di alcuni casi si parla tanto dal punto di vista mediatico,  gli inquirenti si muovono. Ci sono casi che dopo una settimana vengono archiviati senza fare un minimo di indagine e le famiglie restano lì in eterna attesa».

Ci saranno migliaia di storie in Italia? 

«È allarmante, noi raccontiamo solo la punta di un iceberg. Ci sono storie dimenticate, nonostante le denunce».

Ma perché secondo lei alcuni casi diventano mediatici ed altri no?

«Ci ho pensato tantissimo in questi anni, ma non so dare una risposta. E’ brutto dirlo, ma io mi sento fortunato perché ho la possibilità di parlare di Emanuela e di sfogarmi, ma  penso alle tante famiglie che ho conosciuto che invece vivono nel totale silenzio. E’ per questo che quando organizzo delle manifestazioni dico sempre che la voce di Emanuela deve essere la voce dei tanti scomparsi».

È anche per questo che ha accettato di condurre Scomparsi? 

«Sì mi ha spinto la voglia di dare voce a queste persone, perché chi vive questa situazione sente  la necessità di aiutare gli altri. Il fatto di essere minimamente conosciuto mi da la possibilità di aiutare questa famiglie e lo faccio molto volentieri».

Come trovate i casi da raccontare?

«Non è facile trovare casi di cui non si parla, perché finiscono nel dimenticatoio. Una volta trovati si parla con le famiglie, non tutti si sentono di parlarne. Chi accetta, lo fa con la speranza che possa servire»

E trovarsi di fronte una persona che può capirle, li aiuta?

«Tra di noi ci si intende subito, a volte parlano con gli occhi, quando vedo riaccendersi quel barlume di speranza per me è una vittoria personale. Se non si vivono queste situazioni di persona, non si riesce a comprendere cosa vuol dire davvero».

Sono vite sospese le vostre?

«Sì, è così. Viviamo una serenità apparente, andiamo avanti come automi, ma è una vita sospesa nonostante i tanti problemi quotidiani. Vai avanti sempre con quella speranza che possa accadere qualcosa. Ti cambia il rapporto con il tempo, io per esempio non vedo più il tempo in maniera lineare, passato, presente e futuro, ma lo vivo come se fosse un gomitolo dove c’è l’oggi, il due anni fa, il trent’anni fa».

Ci sono stati momenti in cui ha davvero creduto che il caso di Emanuela si potesse risolvere?

«Continuamente. Ogni tanto ci sono novità che esplodono dal punto di vista mediatico, ma io continuo ad andare avanti con gli avvocati a investigare in certi ambienti, a cominciare da quello vaticano.Tra un po’ presenteremo un’altra istanza, Emanuela è cittadina vaticana e dovrebbe essere loro dovere cercare la verità, ma non si nuove nulla là dentro. E purtroppo neanche fuori. Da parte della Procura di Roma non c’è il coraggio di puntare il dito nei confronti delle persone che sanno e che stanno all’interno della istituzione vaticana. Ma prima o poi cederanno».

La verità su Emanuela è nascosta tra le mura vaticane?

«È lampante che loro là dentro sanno come stanno le cose. C’è stata persino un’ammissione da parte loro e nonostante questo la Procura non va avanti. Evidentemente dietro questo rapimento c’è qualcosa di così pesante che non lo si vuol lasciare uscire assolutamente, è come un vaso di Pandora che farebbe emergere troppe verità scomode».

Forse più che da tv satellitare Scomparsi sarebbe un programma da servizio pubblico…

«Non saprei, certo che più persone lo vedono e meglio è per le famiglie delle persone scomparse. Magari si potrebbe pensare di fare qualcosa di simile all’interno di “Chi l’ha visto”». 

 

Tiziana Leone

 

(Nella foto Pietro Orlandi)