Pubblicato il 02/01/2018, 19:00 | Scritto da Gabriele Gambini

Michele Dalai: A Due di uno mi piacerebbe raccontare le storie di Totti e De Rossi

Michele Dalai: A Due di uno mi piacerebbe raccontare le storie di Totti e De Rossi
Lo scrittore ed editore parla del suo nuovo progetto, "Due di uno", su FoxSports (canale 204 Sky) da venerdì 5 gennaio alle 23: raccontare di volta in volta la storia di due leggende del calcio mondiale, le cui vite si intrecciano in modo molto particolare.

Michele Dalai: “Due di uno mette a confronto, di volta in volta, due vite di calciatori diversissime tra loro: eppure l’una non avrebbe potuto esistere senza l’altra”

Un Ronaldo appena ventunenne, non ancora investito delle stigmate di “fenomeno”, con la maglia del Barcellona scarta il connazionale William, onesto mestierante del pallone che milita nel Compostela, e lo ridicolizza. Un’istantanea, in quella partita di Liga Spagnola del 1997, che certifica la gloria terrena del futuro asso dell’Inter. E fa sparire dai radar il povero William, vittima sacrificale indispensabile affinché le doti di Ronaldo possano emergere, luccicanti.

È una delle storie raccontate da Michele Dalai, col contrappunto musicale di Jack Jaselli, in Due di uno (da venerdì 5 gennaio alle 23 su FoxSports, in replica sabato 6 gennaio alle 12.30 e alle 23.30 e domenica 7 gennaio alle 14.30 e alle 23).

Titolo con richiami letterari, sfrutta la dicotomia del “tanto” contrapposto al “poco”, del vincitore e del non vincitore, dell’eroe e dell’outsider: due entità con destini differenti, e però legate da un percorso inevitabile. Allestendo una narrazione pop e universale delle leggende del calcio mondiale, come se Lupin e Zenigata, Don Chisciotte e Sancho Panza, sgambettassero negli stadi.

Michele Dalai, Due di uno è un titolo con reminiscenze letterarie, quasi un tributo al Due di due di De Carlo.

In realtà il romanzo c’entra relativamente, benché abbia un posto nella memoria della nostra generazione e dunque ne faccia parte. Abbattendo il romanticismo, il titolo potrebbe richiamare anche le classiche offerte “due al prezzo di uno” dei supermercati (ride, ndr). Abbiamo scelto di partire da un’istantanea, da un momento preciso della storia calcistica, per raccontare di volta in volta due carriere e due destini.

Il programma fa storytelling, termine oggi strautilizzato. Lei lo ha già sperimentato con successo su Radio 2, con Ettore, ma anche in tv. Come è possibile liberarlo dalla retorica che la sua sovraesposizione comporta?

Un tempo, utilizzare il termine “narrazione” faceva sorridere i più. Oggi si parla di storytelling dappertutto. Per dargli la corretta dimensione, basterebbe considerarlo per ciò che è: un racconto. Il racconto è alla base del giornalismo d’inchiesta di una volta, venuto meno per ragioni economiche da parte dei committenti e di tempo a disposizione degli autori. Professionisti come Federico Buffa, Giorgio Porrà, hanno il merito di averlo riportato alla luce, e la nostra era si concede il lusso di valorizzarlo con successo.

Qual è il tratto distintivo del modo di raccontare di Michele Dalai?

L’ironia, l’empatia verso chi mi ascolta. L’amore per gli outsider, gli antieroi. Tendo a raccontare l’anti-epica delle cose, che poi è sempre parte dell’epica, demistificandone la portata convenzionale e omologante.

L’aveva già fatto in passato, criticando il Tiqui-Taca di Guardiola al Barcellona nel libro: Contro il Tiqui-Taca, come ho imparato a odiare il Barcellona (Mondadori).

Il tiqui-taca era omologazione verso l’alto, avevo cercato un pretesto eclatante per prendermela con l’idea di bellezza calcistica stereotipata e ancorata ai cliché. Quella secondo la quale Messi era un insieme di numeri e statistiche da record, Iniesta pure. Ecco, proprio Iniesta ha iniziato a diventare umano quando ha ammesso di aver attraversato un periodo di depressione. In quel momento, il racconto ha acquisito corpo, la possibilità di un’istantanea ha superato la banalità dell’omologazione.

Quindi ben venga il romanista Nainggolan turbolento dei video recenti.

Nainggolan è il delitto e castigo di sé stesso, un giocatore immenso che, coi suoi comportamenti fuori dal campo, dimostra di avere qualche problema personale. Ma non deve essere emarginato per questo: ragionando così, Maradona non avrebbe mai potuto giocare.

Come avete scelto gli accoppiamenti da raccontare nelle puntate di Due di uno?

A tavolino. Cercando la portata simbolica delle storie. Ronaldo, talento puro, e William, giocatore normale che, nel momento in cui affronta il Fenomeno, diventa la negazione stessa del talento. Il tantissimo contro il pochissimo. Eppure uno non può esistere senza l’altro. Oppure, Ryan Giggs e Tony Adams, due campioni molto diversi. Il principe e il villano. L’uno educato, stiloso, l’altro alcolista, rissoso. Eppure le loro vicende private mostrano umanità differenti da quelle raccontate all’inizio e, a uscirne bene, è Adams. Poi, ancora, la storia del Cholo Simeone e del suo vice, Burgos. Don Chisciotte e Sancho Panza. In realtà è Burgos a saper leggere le partite come pochi, con una finezza tattica sorprendente.

L’apparenza inganna.

L’istantanea di partenza racconta un momento, poi c’è molto da scavare.

Chi le piacerebbe raccontare nel futuro?

Vinnie Jones e Paul Gascoigne per il loro modo di vivere il calcio dentro e fuori dal campo. E poi, Daniele De Rossi e Francesco Totti: l’uno non avrebbe potuto essere ciò che è senza l’altro, per tante ragioni.

Il racconto oggi è sempre più prerogativa del mezzo video. A scapito della scrittura o si tratta di ambienti distinti?

Sono elementi che vanno di pari passo, uno non esclude l’altro. Anche l’inchiesta video, inevitabilmente, attinge da una costruzione testuale articolata. Sta rinascendo una tradizione capace di raccontare l’epica della vita scavando nel profondo, in modo forte, significativo, attingendo dai grandi maestri del genere, diversi da quella sfilza di autori “carini”, che sono carini, appunto, e niente di più.

Tuttavia il calcio di oggi è individualista, legittimato dalla potenza economica del mercato, e abbatte le bandiere di una volta, dunque disinnesca l’epica di potenziali leggende. Si stava meglio ai tempi di George Best? La contingenza influisce sul materiale da raccontare?

Federico Buffa dice che è diventato difficile individuare un’epica contemporanea dello sport rispetto al passato. Ha ragione. Una volta si impiegava più tempo a imbastire materiale per storie da raccontare, ma era materiale complicato, ricco. Per questo, ben vengano anche oggi i giocatori ricchi di umanità, capaci di discostarsi dall’omologazione del pettinato e perfettino da social.

A che cosa sta lavorando, oltre a Due di uno?

Ho ceduto le quote della mia casa editrice, sto riassaporando il piacere di fare il consulente editoriale. Ho fondato con alcuni amici e colleghi la rivista il Nero e l’Azzurro, che punta a raccontare il calcio alla maniera degli interisti, sull’onda di ottime realtà come Rivista Undici e Ultimouomo.

Un tempo mi confessò che il sogno dei sogni per un autore televisivo è lavorare al Festival di Sanremo, il trionfo del nazionalpopolare.

Vero, lo confermo. Il sogno rimane. Quest’anno, tra parentesi, il Festival si preannuncia molto interessante. Dovrà gestire l’inevitabile contraccolpo del dopo-Conti, uomo virtuoso di minutaggi, che ha saputo raggiungere numeri imbattibili.

Gabriele Gambini
(nella foto Michele Dalai)