Pubblicato il 06/06/2017, 19:35 | Scritto da Gabriele Gambini

Esther Elisha: Feven di Tutto può succedere, determinata e avventata

Ester Elisha: “In Tutto può succedere si ride e si piange, c’è una bella forza costruttiva, capace di superare l’individualismo tipico della nostra era”

In un’intervista, Esther Elisha confidò che a 7 anni sognava di diventare una rockstar. «Molti attori hanno il sogno nel cassetto di fare i musicisti: la musica è un linguaggio intimo, una forma d’arte privilegiata, ti consente di esprimerti anche nella solitudine della tua stanza». Poi è arrivato il mestiere di attrice, coltivato fino in fondo: «Nella recitazione, se ci si pensa, spesso è inclusa la musica. È un’arte sia corale, sia individuale, ti mette a confronto col vivere molte vite». Oggi, questa trentaquattrenne dall’accento forte come la natìa Brescia e dai tratti esotici come il Benin, allieva del maestro Kuniaki Ida, ha all’attivo parecchi ruoli a teatro, al cinema (Là-Bas, Last Minute Marocco), in tv (Boris, Don Matteo 5, Il Commissario De Luca) e torna su Rai1 ogni giovedì col personaggio della violinista Feven nella seconda stagione di Tutto può succedere. Una dramedy a tutti gli effetti («Si piange e nel contempo si ride. Per davvero»), in cui presto si scoprirà se la sua storia d’amore con Carlo (Alessandro Tiberi) sia giunta al capolinea.

Feven fa la violinista. In un certo senso chiude il cerchio con la sua passione musicale.

Feven è appassionata in tutto quello che fa. Il suo tratto distintivo è la determinazione. Ha una personalità complessa, pur facendo scelte in un certo senso riconoscibili. Ma fa cose che io, nella mia vita, non farei mai. Per esempio non dice al suo uomo di aspettare un bambino. Poi torna sui suoi passi, si accorge di aver commesso una grossa stupidaggine.

Anche lei, nella vita reale, ha la capacità di ammettere i suoi errori?

Sono molto critica con me stessa. So che a volte risulta difficile capire il motivo di un errore, anche se qualcuno ce lo segnala. L’essenziale è non perdere mai la voglia di mettersi in discussione.

Tutto può succedere è il remake italiano dell’americana Parenthood.

Ho visto tutta la serie americana. Piangevo e ridevo allo stesso tempo. Ho capito come si sente il pubblico nel guardarla. Certo, la versione nostrana è stata rielaborata per renderla riconoscibile agli spettatori italiani. Tuttavia, con le dovute distanze, mantiene un’atmosfera di fondo omogenea, in linea con l’originale.

Si dice sia una serie capace di inserirsi nel solco della tradizione Rai pur garantendo un’iniezione di freschezza.

Lo svecchiamento della scrittura delle serie è importante per un’azienda di stato. Consente di ampliare il target di riferimento, non insistendo sempre e solo su un’unica tipologia di pubblico.

Nel passato lei confidò il sogno di poter recitare in Lost.

Adoro Lost. Negli anni, la qualità dei prodotti seriali è aumentata notevolmente. Penso a Downton Abbey. The Americans. Master of none, con Alessandra Mastronardi, bravissima, sono molto felice per lei.

Qualche titolo a cui le piacerebbe partecipare?

Più che un titolo, penso a una tipologia di scrittura. Mi piacerebbe una storia con protagoniste al femminile capaci di essere motori del loro destino. Senza nulla togliere ai protagonisti maschi, beninteso. Ma la pluralità dei punti di vista consente di avere una visione più completa della realtà che si vuole raccontare.

A proposito di figure femminili di riferimento: ce n’è qualcuna capace per lei di incarnare l’ideale del mestiere di attrice?

Tante. Potrei dire Meryl Streep per diverse ragioni. La dedizione, il talento. L’uso della voce mai scontato. In ogni momento in cui parla, ti fa capire che si sta dando completamente.

Tutto può succedere rappresenta il suo primo avvicinamento alla lunga serialità.

All’inizio ero molto felice di affrontare l’avventura con Lucio Pellegrini e tutto il cast. Poi mi sono un po’ spaventata, temevo di sedermi, di non mantener desta l’attenzione sul lungo termine. Rispetto a un film, in una serie i tempi sono più dilatati. Ma il rischio è stato aggirato grazie anche ai miei compagni di set che hanno più esperienza televisiva di me e da cui ho imparato tanto.

Ha avuto un piccolo ruolo in Boris.

Ero una fan di Boris. Sono stata felicissima di aver partecipato con una piccola parte. Mi riconoscevano per strada, nonostante il ruolo marginale. Questo fa capire quanto Boris sia un cult.

Sua madre è italiana, suo padre del Benin. Lei è cresciuta a Brescia ma si è spostata tanto per lavoro. La città in cui ha vissuto in cui si trova meglio?

Ogni città ha i suoi pro e i suoi contro. Però sono amareggiata nel vedere quel che sta passando Roma. Spero si riprenda, è una città splendida.

Per lei, la famiglia, è stato un ostacolo o un punto di forza, quando ha iniziato questo mestiere?

Un punto di forza. I miei genitori mi hanno sempre lasciata libera di scegliere cosa fare della mia vita. Sono persone oneste, di grande generosità. Mi hanno incoraggiata, senza mai prevaricare.

La famiglia, come concetto culturalmente ampio e rappresentativo della contemporaneità, è anche al centro del racconto di Tutto può succedere.

Sono tante famiglie, complesse e con varie fragilità che le contraddistinguono. Però rimane tutt’intorno un carattere propositivo della serie, un desiderio tutto italiano di venirsi incontro, aggirando il rischio dell’individualismo esasperato. Mi piace credere che ciò sia possibile.

Gabriele Gambini
(nella foto, Esther Elisha)