Pubblicato il 28/02/2017, 19:30 | Scritto da Gabriele Gambini

Alan Cappelli Goetz: Volevo essere un Power Ranger

Alan Cappelli Goetz: “Vittorio, il mio personaggio in Amore, pensaci tu è un cinico senza scrupoli”

Un attore non dovrebbe mai perdere la sua patina di mistero, diceva Marcello Mastroianni. «Amo quella citazione», dice Alan Cappelli Goetz, «per questo uso i social con moderazione, per raccontare qualcosa del mio lavoro, ma non il mio privato». Eppure, questo quasi trentenne («Il passaggio ai trenta avverrà quest’anno, sarà un dramma»), ha molto da raccontare. La recente esperienza sul set di Amore, pensaci tu, fiction prodotta da Publispei, in onda domenica 5 marzo in prima serata su Canale 5. Gli esordi come “sosia per caso” di Robert Pattinson. La consacrazione mainstream in Tutti pazzi per amore. Le incursioni hollywoodiane in Zoolander 2, Ben-Hur, e nella serie Crossing Lines. I momenti bui, quelli in cui aspettava invano uno squillo del telefono per riprendere a recitare dopo un intervallo forzato. Perché un attore deve sì rimanere misterioso, ma non può permettersi di smarrire la pazienza.

Ha fatto il botto nel 2012 col personaggio di Jean Claude in Tutti pazzi per amore. Oggi è Vittorio in Amore, pensaci tu. Ci sono punti in comune tra i due progetti?

Il punto in comune potrebbe essere la presenza di Emilio Solfrizzi in entrambi i cast. In Tutti pazzi per amore c’era la scrittura brillante di Ivan Cotroneo, era una comedy divertentissima e folle a cui devo molto. Mi riconoscono per strada ancora adesso grazie al ruolo di Jean Claude. In Amore pensaci tu, è stato rielaborato con gusto un prodotto australiano, una sorta di Desperate Housewives al maschile, molto contemporanea per tempi e stile.

La parola “amore” fa capolino nei titoli.

Amore vissuto in modo multiforme, con attenzione anche a tematiche civili contemporanee. In Tutti pazzi per amore c’era un punto in cui si affrontava il tema dell’omosessualità in maniera molto realista, descrivendo la vicenda di un marito che abbandonava la moglie perché si scopriva gay. In Amore, pensaci tu, tra le coppie protagoniste, c’è anche una coppia omogenitoriale.

Sono trascorsi sette anni tra un progetto e l’altro.

Io sono cambiato tanto. Anche il mondo si è ribaltato. Prima ero più sognatore, oggi sono più cinico, in senso buono. Croce e delizia di una certa maturità acquisita. Sette anni fa avevo ventitrè anni. Non avevo ancora capito che le cose che ti rendono felice, nella vita, possono essere molto semplici.

Semplici come essere scambiato per Robert Pattinson, diventando la sua controfigura?

Accadde sul set di Twilight:New Moon (ride, ndr). Mi sarebbe piaciuto partecipare in veste di aiuto regista, le scene si giravano in Italia. Invece, dalla produzione, notarono una certa somiglianza con Pattinson, e mi proposero di farne la controfigura. Era l’epoca in cui ero protagonista dello spot TIM di Muccino, stavo muovendo i primi passi.

Oggi dice di essere più cinico e realista. Come Vittorio, il suo personaggio in Amore, pensaci tu?

No. Vittorio è proprio uno stronzo, non un realista. Ha una doppia faccia, è dominato da una forte ambizione, concentrato sui suoi scopi. All’inizio sembra quasi un personaggio positivo. Poi non resiste, e diventa machiavellico. Mette in difficoltà il personaggio interpretato da Filippo Nigro. Ma finisce a sua volta nei guai. È vittima e carnefice a un tempo.

A esser stronzi prima o poi la si paga cara?

Io sono karmico. Voglio credere nella redistribuzione dei meriti. Se fai un dispetto a qualcuno, prima o poi ti torna indietro.

Il suo karma per ora le porta bene. Ha lavorato anche in America.

Nella lavorazione di una serie, la differenza principale con l’Italia è che, negli USA, puoi trascorrere un’intera giornata a girare una sola scena. Possono permetterselo, hanno soldi e tempo. Da noi i ritmi sono più serrati. Ma forse l’ambiente è più coeso.

Hollywood non le è piaciuta?

Mi è piaciuta molto. Ma mi è mancata l’Italia, non lo nego. Faccio mia la metafora del pittore: a Hollywood puoi puntare a sentirti Andy Warhol, in Italia, puoi diventare uno stimato artista di provincia. Ma non c’è grossa differenza tra le due cose. Quel che conta, per un attore, è recitare. Anche per attitudine narcisista.

Nell’Italia di oggi si può fare strada?

Forse ci sono meno mezzi rispetto all’America, ma si fa di necessità virtù, si provano a sviluppare idee e creatività. Negli USA hanno più coraggio, osano con le sceneggiature. In Italia, negli ultimi anni, stiamo provando a seguire quell’esempio.

In Amore, pensaci tu si parla di uomini casalinghi con mogli lavoratrici. Se capitasse a lei una cosa del genere nella vita reale?

In una pausa tra un set e l’altro, starei volentieri a casa a badare ai miei figli. Prima però bisogna farli: mi piacerebbe averne un paio. Sono cresciuto in una famiglia con madre casalinga. Svolgeva mille attività, non stava ferma un attimo. Badare alla casa significa farsi il mazzo, a prescindere da chi se lo faccia.

Parla del mestiere di attore come se non avesse desiderato far altro, nella vita.

A cinque anni guardavo i Power Rangers in tv e desideravo essere come loro. Ho iniziato ad appassionarmi al mestiere quando ero al liceo. Ma sono approdato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma seguendo una ragazza di cui ero innamorato, diventata a sua volta attrice.

Si può dire il nome?

Chiara Martegiani. Oggi una mia cara amica, perché ci siamo scoperti meglio assortiti come amici, piuttosto che come fidanzati.

Se non avesse fatto l’attore?

Forse mi sarebbe piaciuto fare il musicista. Nello spot TIM suonavo uno strumento, nella realtà suono piano e batteria. Chissà. Ma non sono affascinato dal palco e dai live. Preferisco comporre in solitudine, a casa. Mi ritengo più creativo che esecutivo.

Si rivede mai in tv?

Può succedere di organizzare gruppi d’ascolto con amici. Ma in generale, non sono fruitore casuale di televisione. Preferisco vedere serie tv o film che scelgo. Guardo poco i contenuti generalisti, eccezion fatta per X-Factor e, a tratti, per Sanremo. Succede anche ai miei amici della mia generazione. I meccanismi di fruizione stanno cambiando davvero.

Non ha mai vissuto un periodo nero, nella sua carriera?

Dopo una partenza ottima, con due, tre anni di soddisfazioni, ho vissuto una battuta d’arresto. Per quasi due anni ho praticamente smesso di lavorare. Non mi chiamavano ai casting, ero convinto ci fosse una sorta di entità superiore che volesse il mio male.

Come ha resistito?

Avevo messo da parte dei soldi. Ho collaborato a sessioni di doppiaggio, imparato a lavorare nelle produzioni. Da lì è nato il documentario Harry’s Bar, che ho prodotto ed è andato su Canale 5 dopo essere stato premiato a Venezia. Ho gestito i miei coni d’ombra. E il lavoro è tornato.

E quando non lavora perché vuole riposarsi?

Durante un viaggio a Bali ho scoperto il surf. Una nuova, travolgente passione. Poi giro i mercatini dell’usato. Scrivo sceneggiature che spero diventino film. E aiuto amici attori a preparare le loro parti.

Prossimi progetti?

Sorelle, una fiction con Anna Valle in onda su Rai1 dal 7 marzo. Nella storia c’è un bilanciamento tra la linea familiare e una linea gialla, quasi thriller. Alla base del racconto, la scomparsa di una donna, Anna Caterina Murario, sorella della protagonista. Il mio personaggio, un ragazzo incompreso vittima di un grande amore destinato a non concretizzarsi, custodisce un segreto che si rivelerà fondamentale per la soluzione del mistero. Poi, probabilmente l’anno prossimo, verrà mandata in onda Il confine, fiction ambientata nella Prima guerra mondiale.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Alan Cappelli Goetz)