Pubblicato il 07/11/2016, 14:32 | Scritto da La Redazione

Aldo, Giovanni e Giacomo: Così il mitico Tafazzi ci ha cambiato la vita

L’anticipazione del libro del trio comico

Rassegna stampa: La Stampa, pagina 35, di Aldo, Giovanni e Giacomo.

Esce l’autobiografia del trio, “quasi un album di famiglia”. “Fu Veltroni a fare la fortuna del personaggio di Mai dire Gol”.

Esce domani in libreria Tre uomini e una vita. La nostra (vera) storia raccontata per la prima volta del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo a cura di Michele Brambilla. Un libro che «narra l’avventura di tre amici che, unendo i tre loro miseri cervelli, sono riusciti a creare una giostra di allegri neuroni. Il che ci ha aiutato a tenere botta per un quarto di secolo». Qui anticipiamo il capitolo su come è nato il successo del personaggio Tafazzi a Mai dire Gol. «Cognome di un personaggio impersonato dal comico Giacomo Poretti che in una trasmissione televisiva si colpiva il bassoventre con violente bottigliate; chi ha un atteggiamento autolesionistico o masochistico». Questa è la definizione che lo Zingarelli riporta alla voce Tafazzi. Te capì? Siamo finiti persino sul dizionario! E dire che la prima volta che abbiamo provato Tafazzi ci sembrava una tale vaccata che avevamo pensato di finirla subito lì. Per noi il nome Tafazzi non è sinonimo di autolesionismo, come per tutti, è qualcosa che ci fa venire in mente l’imprevedibilità della vita, se volete anche la sua casualità; ma soprattutto ci ricorda che la sorte può svoltare quando meno te lo aspetti, e per questo non bisogna mollare mai.

Tafazzi appartiene infatti, e soprattutto, alla stagione di Mai dire Gol, che come abbiamo detto ha rappresentato per noi il momento di passaggio dalla sfiga alla fortuna. Ma forse sarebbe meglio dire che è stato il momento in cui il lavoro di anni è stato premiato; il momento in cui abbiamo raccolto i frutti della gavetta. Quando siamo finiti a Mai dire Gol eravamo già quasi quarantenni, avevamo mollato uno un posto fisso alla Stipel e uno all’ospedale di Legnano. Avevamo abbandonato quelle certezze per dedicarci al cabaret: per un bel po’ abbiamo lavorato molto e raccolto poco. A voler essere onesti, in un paio di occasioni siamo stati anche sul punto di lasciar perdere, eppure non abbiamo mollato. E tanta fatica alla fine è stata premiata. All’improvviso ci è girata giusta: Paolo Guerra si convince a prenderci nella sua squadra e Mediaset ci chiama per partecipare a Mai dire Gol. Vi abbiamo detto della paga, anzi della mancia (280.000 lire lorde, in tre, a puntata, che, tradotto oggi, vuol dire circa 50 euro lordi a testa a puntata) che ci davano per ogni puntata e che non ci era sembrato ragionevole rifiutare.

Mai dire Gol ci ha regalato una popolarità incredibile. Avevamo fatto Su la testa! e Cielito Lindo, ma senza sfondare, perché i protagonisti di quegli spettacoli erano altri. Di solito non riuscivamo a convincere neanche quelli che poi sarebbero diventati i nostri autori; con la Gialappa’s invece abbiamo avuto subito una visibilità pazzesca. [….]. Poi non rompiamo più le balle, ma lasciateci dire che la nostra storia deve servire anche a non perdere la speranza; a capire che non bisogna pretendere di trovare la strada subito e senza fare fatica; a capire che a volte conviene accettare pur di entrare nel giro giusto paghe come quella che abbiamo accettato noi per lavorare a Mediaset con la Gialappa’s, che come diciamo a Milano valgono due cocomeri e un’anguria. Fine del predicozzo.

Con i tre matti della Gialappa’s Marco Santin, Carlo Taranto e Giorgio Gherarducci capiamo sin da subito che possiamo osare. Per esempio il numero di Giovanni che, nello sketch degli arbitri assediati negli spogliatoi, fa il geco attaccato alla parete o il pipistrello sul soffitto. Un numero così alla Rai non ce lo avrebbero mai concesso. O forse sì, dopo qualche centinaio di domande in carta bollata al ministero, ai vigili del fuoco, alla protezione civile e all’ente per la protezione animali. Invece i tre della Gialappa’s erano svelti, erano «avanti». Tu dicevi una cosa e loro: «Pronti, facciamolo». A Mai dire Gol ne abbiamo inventate di ogni. Gli Arbitri (la famosa «terna arbitraria») e poi mister Flanagan che insegna inglese a mister Hodgson, i Bulgari, Nico dei Sardi, gli Svizzeri, i tre tenori, Rolando, i Dottori, l’onorevole Nullazzo, Johnny Glamour, i Maggiordomi, le Mondine… E Tafazzi, appunto.

Avevamo provato a proporlo anche a Cielito Lindo, su Rai 3, nel 1993. In quella trasmissione mettevamo in scena, tra l’altro, il numero dei supereroi: Aldo era Superman, ma aveva la bronchite; Giovanni faceva Flash, indossava la tutina rossa con le alette e aveva un flash della macchina fotografica sul petto: diceva «Flash-flash, sono stato da tua sorella». Alla fine arrivava Giacomo, che faceva Tafazzi il terrore degli spazi, un omino in tuta nera con rinforzo sui cosiddetti, sui quali si tirava bottigliate. A noi faceva ridere un casino. Ma quelli di Rai 3 ci avevano detto, senza girarci troppo intorno: «Queste cose andate a farle all’oratorio». Fine dell’avventura, avevamo pensato. E invece nella primavera del 1995 quelli della Gialappa’s ci dicono: «Perché non riprovate con Teo Teocoli?». E noi eseguiamo.

Ecco allora la scena demenziale della prima di Tafazzi a Mai dire Gol: e Teocoli che accusa il colpo. Dopo quella serata d’esordio di Tafazzi ci avviamo verso casa. Prima di salutare Giacomo, Giova gli fa: «Sai una cosa? Ci siamo giocati male Tafazzi. Non ti offendere, eh, però proprio non funzionavi… Non so, forse non eri in forma, o forse è meglio che quel personaggio lo lasciamo perdere, ce l’avevano detto quelli della Rai, no?». Ha sempre un certo tatto, Giovanni. Giacomo va a letto con un buonumore tale che sui maroni, al posto delle bottigliate, ora si sparerebbe con un cannone. Ma non ce n’è bisogno, perché la mattina dopo la cannonata la spara Annita, la moglie di Giovanni. Alle 9 ci ritroviamo tutti a casa loro per andare in aeroporto: dobbiamo partire per Palermo per uno spettacolo a teatro, una di quelle serate che ci ha organizzato Paolo Guerra. Annita va dritta al punto: «Siete stati bravi ieri, però Tafazzi non vi è venuto mica tanto bene, vero?». Eh, son soddisfazioni, pensa Giacomino. Ma ecco perché diciamo che Tafazzi ci ricorda sempre che la vita è imprevedibile. La sera stessa, mentre aspettiamo di cominciare, Giacomo riceve una telefonata di Gino e Michele: «Uè, ma lo sai che ti sta cercando Veltroni?». All’epoca Veltroni era direttore de L’Unità. Ma che cacchio vorrà da me, pensa Giacomo. «Ho visto ieri sera a Mai dire Gol la gag di Tafazzi. Bella e sfolgorante» dice lui (avete presente come parla Veltroni, no?). «Grande capacità di cogliere, direi perfettamente, l’anima della sinistra italiana, che è autolesionista, si fa del male da sola… Ecco perché perde. Bravo Giacomo. Io non posso scrivere il pezzo perché sono il direttore, lo faccio fare a Sandro Veronesi. La sinistra ha bisogno di imparare dai propri difetti». E così, il giorno dopo, sull’Unità nasce l’identificazione Tafazzi-sinistra italiana, una cosa che sopravvive ancora ai giorni nostri, anche perché la sinistra ci mette sempre del suo per tenerla viva. A noi, però, non era minimamente passata per la testa. Mai. Tafazzi era uno dei tanti dementi che interpretiamo sul palcoscenico per rappresentare la demenza che c’è in noi stessi, altro che la sinistra.

 

(Nella foto Aldo, Giovanni e Giacomo)